Transizione industriale: occorrono strumenti strategici
di Marco Stella, presidente del Gruppo Componenti di Anfia
Dopo la pesante flessione registrata nel primo semestre 2020 (-28%), l’export della componentistica italiana chiude l’anno della pandemia con una significativa contrazione a due cifre (-15,3%). Le conseguenze della crisi pandemica hanno profondamente impattato il trade del settore, ma, nella seconda parte dell’anno, grazie alla graduale ripresa delle attività produttive e al progressivo allentamento delle misure restrittive in diversi Paesi, il trend è migliorato. Nell’intero 2020, l’export del nostro comparto è risultato in diminuzione verso tutti i Paesi UEe-Efta eccetto la Norvegia (+9%) – la variazione negativa è stata del 13,7% nei confronti della Germania, primo mercato di destinazione, e del 18,6% con la Francia, secondo Paese di esportazione, mentre con il Regno Unito, che mantiene il primato in termini di saldo positivo per la bilancia commerciale italiana (992 milioni) e passa dal terzo al quinto posto come mercato di destinazione, la flessione è stata del 25,9%. Stessa cosa nei confronti dei Paesi extra
Ue, con l’eccezione della Corea del Sud (+4,9%) e degli Usa (+0,7%). Per la componentistica italiana, il 2020 si è chiuso con un calo del 25,9% dell’indice della fabbricazione di parti e accessori per autoveicoli e loro motori, mentre la contrazione è stata del 12,3% per gli ordinativi e del 13,8% per l’indice del fatturato, nel contesto di un ribasso complessivo del 21% dell’indice di produzione dell’intera filiera automotive. In UE, le perdite di produzione di autoveicoli nell’anno segnato dal Covid19, ammontano a 4,23 milioni di unità, pari al 23,5% della produzione totale nel 2019, di cui 3,8 milioni di autovetture (-24%).
In Italia sono stati prodotti 138.000 autoveicoli e 91.000 autovetture in meno rispetto al 2019. Grazie al recupero registrato a partire dal quarto trimestre 2020, tuttavia, le prospettive sono in miglioramento – anche per l’export della componentistica – ammesso che si dia seguito, a livello nazionale, al rifinanziamento degli incentivi per l’acquisto di autovetture della fascia emissiva 61-135 g/km di CO2, recentemente esauriti, per sostenere il mercato italiano che ancora non riesce ad esprimere un pieno recupero.
Inoltre, contiamo su interventi strategici per governare la transizione industriale della nostra filiera e garantire alle imprese adeguato supporto – soprattutto per gli investimenti in ricerca e innovazione e di prima industrializzazione orientati alle nuove tecnologie, dalle batterie alle fuel cells, dai nuovi materiali ai componenti elettronici e dispositivi per il veicolo connesso – attraverso la proposta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, attualmente in fase di riscrittura e successivo riesame del Parlamento, che dovrà essere inviata al Parlamento europeo entro fine aprile. Oltre a dover colmare gap e ritardi su alcuni dei domini tecnologici emergenti e in forte crescita, al nostro settore servono politiche fiscali e strumenti che favoriscano una maggiore collaborazione e aggregazione tra i player, per superare la frammentazione del tessuto produttivo.
Questi interventi acquisiscono ulteriore importanza in un contesto, come l’attuale, dominato da vari fattori di incertezza: dalla crisi di approvvigionamento dei microchip, dell’acciaio e delle materie prime plastiche – gli ultimi due interessati anche da forti rincari – che rallenta produzione e consegne incidendo anche sulle esportazioni, alla crisi logistica negli scambi con la Cina e gli altri Paesi del Far East, e, nel nostro continente, con il Regno Unito, dove gli adempimenti burocratici figli della Brexit dilatano le tempistiche e creano problemi agli operatori.