Salone di  Monaco: che c’azzeccano i costruttori?

di Pier Luigi del Viscovo. direttore del Centro studi Fleet & Mobility

 

Il Salone di Monaco sostituirebbe quello di Francoforte, secondo i media. Vediamo se è così. Intanto, si chiama Mobility, che è un’altra cosa, e il messaggio è: con che cosa ci sposteremo dopo? Dopo cosa? Ovvio, dopo la macchina, questo residuato tossico. Poi, la locandina. In primo piano una centometrista e un cantante, perché chi si muove canta, si sa. Appena dietro, una in bici e un motociclista col casco che corre a piedi e non si capisce che problema abbia, se scappi o insegua. Poi un’auto, di quelle tipo-mouse, e uno in monopattino col caschetto; quindi tranquilli, sopravviverà, al massimo qualche frattura. Infine una macchina vera ma in sharing, infatti è una Smart, davanti al famoso minibus a guida autonoma, di una bruttezza inarrivabile. Sopra tutti, l’immancabile drone e un taxi volante. In fondo, la destinazione di tutti: Gig Robot. Ora, fare un Salone sui Pronipoti di Hanna-Barbera ci sta, ma per chi si occupa di macchine la domanda è: che c’azzeccano i costruttori con questa manifestazione?

Loro non cantano, non costruiscono droni o monopattini, non corrono i 100 metri. Loro fanno macchine. Progettarle e fabbricarle è molto complesso e richiede competenze sofisticate, ma diverse da chi voglia aiutare le persone a spostarsi. La mobilità è un’altra roba, di cui i costruttori non si sono mai occupati. È vero che i clienti comprano le macchine, ma a muoversi ci pensano da soli. Alstom fabbrica treni, ma è Trenitalia a produrre mobilità.

«Io faccio il metalmeccanico», diceva Sergio Marchionne. «Abbiamo restituito la dignità del lavoro alla gente degli stabilimenti che era stata quasi completamente abbandonata» e così «siamo riusciti a ricreare una cultura della produzione che Fiat aveva perduto». Per molti si riferiva alla scelta di Cesare Romiti ed Enrico Cuccia di spostare gli interessi della famiglia nella finanza, investendo tra l’altro nella distribuzione e nelle assicurazioni, in contrasto con la strategia auto-centrica di Vittorio Ghidella. Non sono le Guerre Puniche, ma la storia recente dell’industria automobilistica, che i capi dei gruppi automobilistici farebbero bene a ripassare, prima di raccontare che nel prossimo futuro venderanno mobilità.


La mobilità è una cosa bellissima, come del resto la musica, ed è fantastico che possiamo muoverci con tanti mezzi diversi, per i quali molti attori svilupperanno competenze e organizzazioni per intercettare la domanda. Però, è un’altra industria. L’auto, sebbene oggi poco trendy, di questa mobilità è un mezzo essenziale e lo sarà a lungo. Qualcuno deve costruirle e non è una vergogna. I costruttori le sanno fare e ne sono fieri, ma non basta: devono anche andarne fieri, abbandonando l’approccio bipolare le-faccio-ma-non-lo-dico.


Quindi, perché andare ad arricchire un Salone che dichiaratamente promuove il loro superamento? Magari sarebbe stato apprezzabile un gesto diverso, da schiena dritta e fiera. Alla locandina «con che cosa ci sposteremo dopo?», rispondere con una contro-locandina «ancora con l’auto, soprattutto».

1 Comments

  1. Giovanni says:

    Il motore elettrico forse è il futuro ma… ci sono tanti ma. Vediamo un po’. Un motore termico è composto mediamente da circa 800 pezzi mentre un motore elettrico (guarda un po’) di pezzi ne ha circa 80 e non basta, è anche semplice da montare e smontare. A questo punto la folla applaude…senonchè ci si scorda che mentre il motore termico in due minuti fa il pieno di benzina o di gasolio e ti porta in giro per 400 chilometri, l’elettrico per ricaricare le batterie al litio ci mette minimo minimo due ore e … non basta perchè le batterie al litio sono oggettini non del tutto sicuri ( chi ha un cellulare forse sa che le litio si gonfiano e possono anche esplodere). Infine se tutte le auto fossero elettriche quanta energia elettrica si dovrebbe produrre? Una enormità. Per concludere: forse l’elettrico un giorno vincerà ma non oggi e neanche domani o posdomani.

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