di Andrea Taschini, manager automotive, senior advisor (dal magazine “Parts”)
L’inganno letterario più eclatante dalla caduta del muro di Berlino è stato certamente “La fine della storia” (1992) di Francis Fukuyama e non perché l’autore fu l’unico a sbagliarsi, ma perché rappresenta in maniera piena e compiuta, un pensiero che ha dominato i Paesi occidentali negli ultimi tre decenni, più specificatamente l’Europa e ancor più profondamente la Germania. L’attenuante di Fukuyama è quello di essere un americano di origini nipponiche che ha avuto per sua stessa ammissione, difficoltà a comprendere cosa significhi ‘’storia” per la civiltà occidentale. È nel bene e nel male, per motivi che risalgono alle origini del pensiero greco, che la storia come noi la intendiamo, si produce in Europa e solo qui da secoli ha il suo drammatico compimento.
Questa lezione è stata compresa invece molto bene da Henry Kissinger, nato tedesco da famiglia ebraica, che nel suo fondamentale testo, “Diplomazia della restaurazione” del 1957, ricostruisce dettagliatamente il congresso di Vienna e le origini del corso storico che ha poi segnato tutto il XX secolo, i cui strascichi stanno facendo la storia dei giorni nostri fino all’invasione russa in Ucraina di queste ore. La scarsa conoscenza della storia è la causa principale dei clamorosi errori che la classe dirigente attuale sta compiendo a ripetizione man mano che alle nuove élite viene a mancare quella cultura necessaria per la comprensione delle logiche che governano il mondo occidentale, per ora ancora leader indiscusso ma che con il passare del tempo si dimostra sempre meno all’altezza del proprio ruolo.
La storia che era data per finita, ha invece ripreso incessantemente a battere il suo corso. L’abbaglio intellettuale in cui era caduto Fukuyama era quello di pensare che oramai con la sconfitta dell’Unione Sovietica, il mondo sarebbe stato dominato dalle società liberali e capitaliste senza più alcun antagonista in grado di sfidare la leadership tecnocratica occidentale. Tuttavia, all’inizio del 2022 ci troviamo sorpresi e sull’orlo di un conflitto molto problematico perché non abbiamo di fronte come nemico un Paese sottosviluppato al pari di quanto è successo negli ultimi decenni, ma un’autentica potenza nucleare molto sottovalutata in termini militari.
Come le cose abbiano potuto arrivare a questo punto è sostanzialmente un fatto di carenza culturale, ma non solo. Le classi dirigenti oggi dominanti, complice un’istruzione inadeguata, hanno smesso di studiare per capire la storia ed essendo per lo più impegnate a far affari (ed elezioni) nel breve termine, hanno strutturato il loro modo di pensare indirizzando i loro pensieri solo al futuro, concetto peraltro molto astratto e dai contorni indefinibili dimenticando le indispensabili nozioni sulle origini del presente.
L’invenzione del futuro
La contemporaneità occidentale ha inventato il concetto di futuro: mai in passato le civiltà lo hanno avuto come propria guideline, tanto che non esiste alcun testo classico che lo menzioni. Solo con l’affermarsi delle società industriali nel XIX secolo, il futuro ha iniziato a imporsi anche e soprattutto per una mera necessità di pianificazione economica che ha poi preteso risvolti anche nel pensiero politico moderno. L’avanzamento della tecnica ha amplificato nei decenni successivi l’effetto di un’interpretazione traslata verso il divenire, sottovalutando sempre più gli antefatti della storia.
Tutto se notate è proiettato in avanti, nessuno si sofferma più sulle cause di un problema e come ovviamente poi inevitabilmente accade, il problema è destinato a ripresentarsi.
Lo vediamo sempre più spesso anche in contesti aziendali dove lo studio delle tematiche attuali viene trascurato in favore di salti nel vuoto il più delle volte senza paracadute con conseguenze disastrose per tutti gli stakeholder.
Percezione geografica del mondo occidentale
Il mondo è grande, variegato e complesso ma una cultura contemporanea fortemente sostenuta dallo storytelling della globalizzazione ha distorto la nostra percezione del reale.
Siamo otto miliardi sulla terra, l’occidente rappresenta si e no circa un miliardo di individui. Questo miliardo di cittadini più che benestanti, viaggia frequentemente, naviga su per ore su Internet e si è fatta in tal modo la convinzione che il mondo sia sostanzialmente piccolo, omogeneo, privo di alcuna differenza culturale mentre le nazioni circostanti siano una specie di parco divertimenti dove passare indimenticabili vacanze.
La realtà è che solo alle porte dell’Europa si combattono quotidianamente conflitti e la maggior parte dell’umanità che incontriamo nei nostri tour esotici vive stanzialmente esattamente come i loro avi facevano centinaia d’anni fa. Senza la geografia non si può comprendere la storia e nelle nostre scuole, tutte protese all’apprendimento delle materie scientifiche, si è anche dimenticato di studiarla tanto che i nostri giovani (ma non solo) fanno fatica a rispondere alla domanda su quale altro stato confini con un qualsiasi paese dell’Unione Europea.
Le conseguenze
Questo macro contesto culturale accompagnato dalla convinzione che la tecnica fosse il fine ultimo delle nostre esistenze e non un mezzo, ha portato nel migliore dei casi a una sottovalutazione dei contesti mondiali e nella peggiore a una serie di errori fatali le cui conseguenze ci stanno venendo ora incontro ad una velocità accelerata. La storia non solo non è finita ma ha ripreso a correre e ha trovato gli europei impreparati: la Russia è tornata a essere una concreta minaccia militare, mentre la Cina è nei fatti divenuta padrona dei nostri destini industriali essendosi accaparrata sottotraccia, tutte le materie prime più ricche ed indispensabili alla complessità del nostro sistema industriale.
L’Europa, illusasi che le bocce potessero rimanere ferme all’infinito sotto un’egida mercantilistica, ha cominciato a legiferare follie su temi energetici e di mobilità con l’arroganza di chi è stato abituato a disporre delle altre nazioni a proprio piacimento. È patetico osservare come un continente prigioniero di ideologie ambientaliste, possa vivere l’incubo che da un momento all’altro la Russia chiuda i rubinetti degli idrocarburi e corra così a riaprire le centrali a carbone appena messe fuorilegge e che la Cina decida di non fornire più i microchip indispensabili per le auto elettriche, cosa molto probabile nel caso in cui Pechino decidesse di prendersi Taiwan.
Non dimentichiamo, inoltre, che avendo l’Europa raso al suolo interi comparti merceologici, mancano acciaio, cereali, e persino alcuni prodotti di prima necessità. È sintomatico che il buon andamento economico che alcune aziende hanno ottenuto nel 2021 sia stato più che altro dovuto alla propria capacità di avere disponibilità di prodotto più che al valore aggiunto che esse potevano generare. Chi ha gestito e programmato le politiche economiche europee negli ultimi vent’anni ha miseramente fallito il proprio compito portando l’Europa sull’orlo di un collasso inflazionistico e di eccesso di debito.
Il Covid-19, la cui gestione andrebbe approfondita attentamente, è stata solo la goccia finale di un vaso che era già stracolmo di problemi e che la crisi Ucraina ha definitivamente rovesciato. La stessa drammatica guerra che è in corso tra Mosca e Kiev è stata generata da un susseguirsi di errori ed equivoci occidentali dettati da miopia e scarsa conoscenza delle logiche del mondo slavo se non addirittura da un’indegna ingordigia economica. È vero, la storia questa ha svoltato sul serio, ma non nella direzione che le élite politiche e scientifiche auspicavano, bensì in una direzione molto più tradizionale in cui le fantasie e i “frills” contano poco, ma dove al contrario servono al contempo sia concretezza, sia personalità di alto profilo intellettuale in grado di interpretare in quale piega della storia il destino ci sta portando.