Quindici anni senza l’Avvocato

“Non vedo successori in giro. D’altronde uomini così non nascono tutti i giorni. E poi era figlio di un’altra epoca“. Scriveva così lo storico Valerio Castronovo, quindici anni fa, il 24 gennaio del 2003. Quel giorno alle 8,30 della mattina, a Villa Frescot, residenza della famiglia sulle colline torinesi, moriva Gianni Agnelli, dopo lunghi mesi di malattia. Parole, quelle dell’autore di una monumentale monografia sulla Fiat, che tratteggiano e scolpiscono la figura dell‘ultimo capitano d’industria, simbolo e protagonista indiscusso di un lungo capitolo della storia del Paese e che ha rappresentato la sua città, Torino, e l’Italia nel mondo. Quel giorno di 15 anni fa, quando la notizia fece il giro del mondo come breaking news sui media internazionali, c’è chi scrisse: “È morto l’ultimo re d’Italia“. Ma Gianni

Era prossimo a 82 anni

Agnelli era, per l’immaginario collettivo, soprattutto l’Avvocato. Avrebbe compiuto 82 anni il 12 marzo del 2003. Era nato, infatti, nel capoluogo piemontese, nel 1921. Il suo nome è quello del nonno Giovanni, il fondatore della storica Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino). Figlio di Edoardo, tragicamente morto in un incidente aereo nel 1935, 

Agnelli era entrato in Fiat a 22 anni come vicepresidente per prendere le redini dell’azienda di famiglia nel 1966, a 45 anni: a passargli il testimone era stato Vittorio Valletta, che aveva guidato la Fiat nel ventennio precedente. Anni in cui l’Avvocato si era tenuto lontano dagli affari. Cosa, questa, si narra, che non dispiaceva affatto allo stesso Valletta. Scapolo d’oro, raffinato play boy scavezzacollo, amante delle macchine veloci e delle belle donne (ma con grande riserbo), ma anche appassionato di pittura e tifoso della Juventus, era il prototipo del giovane che di affari non vuole saperne.

Un uomo di charme

Come scrisse il Time: ”prima di passare alle pagine della finanza egli fece una brillante carriera sulle colonne della cronaca mondana’‘. Viveva per buona parte del tempo in Costa Azzurra in una grande villa a Beaulieu e disponeva di un aereo personale e yacht. Innatamente elegante, estremamente compito e anche attraente, la celebre erre moscia di casa

Agnelli non faceva che aggiungere charme. Per molti, l’ ”illuminazione” dell’erede sulla via dell’impero familiare avvenne con l’incidente stradale che stava per costargli la vita nel 1952, allorche’ sulla strada tra Cannes e il Principato di Monaco finì contro un autocarro. Poi, in convalescenza, l‘incontro con l’aristocratica Marella Caracciolo di Castagneto, amica delle sorelle Cristiana e Maria Sole e del fratello minore Umberto, che sposerà nel novembre del 1953 e dalla quale avrà due figli: Edoardo e Margherita.

La Fiat nelle sue mani

Ma è sulla plancia di comando della Fiat che Agnelli è destinato e designato a salire e a rimanere saldamente in testa all’azienda (anche se dal ’96 come presidente onorario) per oltre un trentennio. Quando l’Avvocato prese il timone della Fiat erano gli anni del boom economico. Anni in cui gli italiani impazzivano per la ‘600. Ma erano anche gli anni in cui stava per aprirsi la stagione del movimento studentesco e delle grandi lotte operaie che nel ’68 sfociarono nell’autunno caldo. La Fiat allora stava espandendosi per la prima volta oltre i confini nazionali e gli scioperi, l’assenteismo, i boicottaggi di quegli anni ebbero sull’azienda pesanti effetti. Nel ’74 venne eletto presidente della Confindustria e scese a patti con i sindacati siglando l’intesa per il punto unico di contingenza con la Cgil di Luciano Lama. Seguirono anni molto difficili e duri. La Fiat, in difficoltà economiche nel 1976 aprì l’ingresso nel proprio azionariato alla Lafico, la finanziaria del governo libico. E pesante era il clima di un Paese sotto la cappa degli anni di piombo e che vide la Fiat pagare il suo drammatico tributo di morti e feriti. Arrivò poi il 1980, l’anno dei 61 licenziamenti. Il sindacato reagì con l’occupazione di Mirafiori per trentacinque giorni a cui l’azienda rispose con la marcia dei 40mila. Protagonista di quel periodo fu Cesare Romiti, a cui pochi anni prima Agnelli aveva delegato la direzione del gruppo.

Insieme a Romiti

Agnelli rilanciò la Fiat in campo internazionale trasformandola in pochi anni in una holding con ramificazioni nel campo dell’editoria e delle assicurazioni. E mentre il gruppo non era più solo auto, ma un colosso globale che va a gonfie vele, l’Avvocato divenne sempre più un personaggio nazionale e internazionale. Da punto di riferimento costante dell’azienda, divenne punto di riferimento anche oltre i confini italiani e dell’economia. Era sensibile al richiamo della politica ma non si schierò con un partito, pur ammettendo che il proprio cuore batteva repubblicano. Nel 1991 venne nominato senatore a vita dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

La morte in un momento difficile

La morte di Agnelli arrivò in uno dei momenti più complessi della storia del gruppo, quattro anni dopo averne festeggiato il centenario, con conti in perdita, indebitamento altissimo, il macigno del prestito convertendo da 3 miliardi e il rischio che le banche prendessero il controllo, mentre già vacillava l’accordo con General Motors. Intanto, dopo la morte prematura del nipote prediletto Giovannino, figlio del fratello Umberto, è il giovane John Elkann, figlio di Margherita, il successore designato dell’Avvocato. I 15 anni che sono seguiti alla morte di Agnelli, hanno portato profondi cambiamenti nel gruppo che ha guidato per 30 anni. In 15 anni è stata scritta una storia nuova e con un futuro tutto da scrivere. E se pur figlio di un’altra epoca, c’è da scommettere che l’Avvocato, con il suo carisma e autorevolezza, di questo futuro sarebbe stato comunque protagonista.

La biografia è di Adn-Kronos

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