Quello che oggi si dice “Audi”, una volta si scriveva “Lancia”
di Riccardo Bellumori
Un post per veri eretici
Come i vari confronti, le analisi, le conclusioni a cui si arriverà alla fine di questa storia. Perché alle volte c’è bisogno di tornare ad essere eretici, per raggiungere l’impossibile.
Comincia tutto da una data: 1965. All’International Motor Show, la Volkswagen, acquisiti i diritti sul marchio “Auto Union” dalla Mercedes, presenta in effetti la “Auto Union Audi” basata sul corpo vettura di una Dkw, altro marchio appartenente al gruppo di Wolfsburg.
Dal 1969, con la incorporazione della stessa Dkw nella nuova realtà Audi, questo marchio a tutti gli effetti inizierà la sua nuova vita.
Nel 1969 la “Fulvia HF” regalava alla Lancia il suo primo Titolo Internazionale (di ben 11 totali nella storia del marchio) nei Rally, il Campionato Europeo. Pochi mesi dopo Bertone avrebbe presentato la Concept “Zero” da cui avrebbe preso vita la fantascientifica “Stratos”. Ma già 15 anni prima del battesimo Audi, la Lancia aveva vinto a Montecarlo, partecipando inoltre anche nella F1, alla Mille Miglia, la Targa Florio, avendo vinto una Carrera Panamericana, e parecchio altro in mani di piloti e squadre non ufficiali in tutto il mondo.
Ma nel 1969, accade un fatto importante : nell’anno di nascita dell’Audi, Carlo Pesenti cede alla Fiat la Lancia e si concentra sul contrasto a Sindona nella scalata alla “Italcementi”.
Nessun anatema sulla influenza di Mirafiori nella tipica produzione della Lancia, ma intanto – casualmente – dopo pochi anni dall’ingresso in Fiat la produzione del celebre V4 “stretto” Lancia terminò; e ben presto anche la serie dei bellissimi “V6” di cui Lancia fu capostipite con De Virgilio nell’Aurelia del 1950.
Senza contare le cronache e i commenti degli appassionati che riportano, dopo il 1969, un generico crollo della cura costruttiva, della affidabilità dei motori, e persino della tenuta della carrozzeria alla corrosione.
Una Lancia senza Fiat. Che storia sarebbe stata?
Certo, senza l’appartenenza al Gruppo Fiat la “Stratos” non avrebbe montato il “Dino Ferrari” e la Thema “8.32” non sarebbe forse mai nata. E probabilmente Ferrari e Lancia sarebbero state avversarie sia nei Rally che a Le Mans…. Non dimentichiamo che senza l’appartenenza a un gruppo, qualunque Gruppo Automotive, dagli anni ’80 in poi difficilmente Lancia avrebbe potuto sopravvivere alla globalizzazione che imponeva il rispetto sempre crescente di normative e vincoli costruttivi e la condivisione di piattaforme costruttive e tecnologiche.
Tuttavia, è un fatto che dal 1969 sno alla fine degli anni ’80 la lunga rincorsa tra due marchi – filosoficamente omologhi sia rispetto al gruppo di appartenenza sia rispetto al posizionamento di mercato – abbia avuto l’inesorabile sorpasso di Audi su Lancia prima del dovuto, più per un crollo dell’immagine del marchio (e del Paese) che non per meriti, comunque riconoscibili, della Casa tedesca.
Pensate se la famosa scalata Pirelli su Continental del 1990 non fosse finita come è finita. Pensate anche se in quel 13 Settembre 1992, la cosiddetta “notte della lira” invece che Giuliano Amato ai Tg italiani si fosse presentato Helmut Kohl alle Tv tedesche per raccontare l’uscita del marco dallo Sme. Fantascienza, d’accordo.
E pensate se Tangentopoli e la caduta degli Dei fosse stata celebrata nei Tribunali bavaresi invece che a Milano. Invece il crollo, la quasi crisi e il lungo declino toccarono all’Italia. Dentro la quale la Fiat si cominciò a innamorare di qualunque linea di business che non fosse l’automotive, generando una “implosione” di marchi, modelli e tecnologie preoccupante.
“Questi tedeschi, se non avessero fatto la guerra…”
Eppure nemmeno tra i Nibelunghi le cose sono sempre andate bene in quel periodo.
Senza nemmeno richiamare il rischio di fallimento della stessa Vw nel 1993, con l’intervento governativo della Bassa Sassonia in aiuto della fabbrica, nell’esercizio (consentito) di controllo del 20% dell’azionariato della Volkswagen, vale la pena ricordare la mamma di tutte le crisi americane del gruppo tedesco, che in America non ha avuto guai solo con il Dieselgate.
“Questi tedeschi, se non avessero fatto la guerra…”, recitava così Woody Allen ne “Il Dormiglione” del 1973.
In un celebre passaggio di questo film, trovando una Volkswagen “Maggiolino” abbandonata in una grotta, Woody la metteva in moto al primo colpo, celebrando con la battuta la perfezione costruttiva proverbiale dei tedeschi.
Scorrendo la storia commerciale del gruppo Volkswagen in America, si potrebbe affermare che l’unico prodotto ad andare avanti su questo mercato fu il “tutto dietro”, cioè la vecchia produzione Volkswagen a motore posteriore: dal Maggiolino esportato fin dal 1949 alla Tipo 3 dello Spot nel quale un divertente Dustin Hoffman cercava il motore, per finire al mitico Bulli, celebrato nelle campagne pacifiste e a Woodstock.
Nel proseguio, per Vw sono arrivate grane grandi o piccole, tutto sommato in linea con la concorrenza. Ma la vera prima “tragedia” è del 1986.
All’epoca, il brand che Volkswagen intende lanciare a livello internazionale era Audi, già presente dalla metà degli anni ’70 negli Usa con versioni export della 80 e della 100 denominate Fox e 5000.
Reduce da un “sold out” con la Nuova 100 dal 1983 in Europa, Audi presentò nel 1983 la gemella di lusso 200 denominata di nuovo 5000 in America.
Audi, l’America e le accuse pesantissime alla “5000”
Nel giro di due anni le vendite si impennarono fin quasi a raddoppiare.
Ma nel 1986 accadde un fatto gravissimo: la National Highway Traffic Safety Administration (Nhtsa) indagò su un incidente mortale accaduto in un garage pubblico in cui una 5000 improvvisamente accelerò senza controllo investendo e uccidendo un gruppo familiare che in quel momento la circondava, in una comunissima fase di parcheggio.
Audi, a sua difesa, sostenne che il guidatore aveva erroneamente premuto il pedale dell’acceleratore invece che quello vicino del freno di stazionamento, ma la dinamica ed il comportamento dell’auto reseroplausibile l’ipotesi di un guasto all’acceleratore elettronico, attraverso cui si spiegarono tanti altri incidenti, più o meno gravi, avvenuti sulle strade americane in quegli anni con lo stesso tipo di vettura.
Il risvolto fu non solo legale (spese giudiziarie e peritali, risarcimenti, maxi richiami) ma anche commerciale.
Audi, in America, passò dalle 75.000 vetture vendute nel 1985 a 10.000 nel 1991, e dovette attendere la commercializzazione della A6 alla fine del 1997 per tornare su livelli degni del suo Marchio.
Una storia parallela Lancia/Audi. O quasi….
Della storia della Fiat abbiamo letto tanto, della storia della Lancia un po’ meno. Provo a raccontarla facendo un rapido parallelo, appunto “eretico” con la storia dell’Audi. Vi va ?
La prima svolta è nel 1981: debutta nei rally mondiali l’Audi Quattro, la prima partecipante con la trazione integrale, e la Casa dei quattro anelli torna nel mondo delle corse.
Nel 1982 la seconda svolta: Audi presenta la sua ammiraglia, la 100.
Finalmente una berlina bella, prestigiosa e con un Cx di 0,30, il più basso al mondo per un’auto di serie.
Può bastare questo per tentare il sorpasso dei marchi premium tradizionali?
Direi di no.
A parte i successi con la Fulvia e con la devastante Stratos, tra il 1983 ed il 1992 la Lancia si fa valere nei rally con modelli vincenti, quali 037 Rallye, Delta S4, e Delta Integrale e nel Mondiale Endurance e nella 24 Ore di Le Mans è praticamente l’unica avversaria seria delle imbattibili Porsche.
E nella produzione di serie, tra il 1980 ed il 1985, Giorgetto Giugiaro presenta dei veri best seller a marchio Lancia: Delta, Prisma e soprattutto Thema, di cui nel 1987 appare la versione 8.32 con motore Ferrari.
1986: la tragedia negli Usa, la svolta in Europa. Anche per la Lancia
Ma nel 1986 Audi mette sul mercato la “80 III Serie”. E davvero, da quel momento, le berline di Ingolstadt non sembreranno mai più le stesse.
Nel 1994, ancora, Audi dà vita alla terza e più significativa svolta: presenta la A4, la berlina media super-equipaggiata che da sola solleva le vendite di tutto il marchio e presenta la A8, la prima ammiraglia con chassis in alluminio e tecnologia di avanguardia. Queste due berline, insieme, danno il via alla vera svolta commerciale dell’Audi, con una progressione di mercato che in 20 anni la porta a essere la diretta concorrente di Mercedes e Bmw.
Negli stessi anni non si regista alcuna contromossa di rilievo da parte della Lancia, a livello di mercato, se non la presentazione della più potente trazione anteriore al mondo per quel periodo, la terribile “Thema 8.32 Ferrari”.
Purtroppo però in campo sportivo, dopo l’abbandono della squadra dalle gare di Endurance, si prepara la tragedia nei Rally. In Corsica la “Delta S4” di Toivonen/Cresto si distrugge e con essa condanna i suoi due piloti intrappolati nell’abitacolo. Da quell’incidente la Fia decretò la fine del Gruppo B.
Dall’inizio degli Anni 90 il catalizzatore (che segna la fine del carburatore) e la nuova ricerca ecologista nell’industria dell’auto riducono di molto l’appeal tipicamente e storicamente sportivo della produzione italiana, peraltro penalizzata rispetto all’immagine tedesca in termini di qualità costruttiva e di sicurezza.
Nel 1993 il gruppo Fiat vende proprio ai tedeschi di Bosch i diritti del sistema Common Rail, una invenzione epocale che, a conti fatti, rinforza come non mai il successo commerciale proprio dei marchi di quel Paese.
2002: entra in campo l’euro, il deficit spending e la svalutazione competitiva non possono più essere utilizzati come arma commerciale del Paese. Forse da questo momento, che di lì a poco porterà alla scomparsa dell’uomo simbolo del gruppo Fiat (l’Avvocato), il sorpasso di Audi, con il declino e l’oblio di Lancia diventano, da eventualità temuta, una condizione reale.
Che, tuttavia, nessun appassionato della Lancia può negarsi di sognare che possa essere una condizione superabile, e che da questo oblìo possano tornare le glorie di un tempo.
Interessante articolo Riccardo, con molti accenni storici da poter analizzare.
L’inesorabile declino da parte del marchio Lancia (e un po’ del gruppo Fiat in generale), iniziato nella seconda metà degli anni 80, ha paradossalmente coinciso con il periodo di maggior vendite del brand che arrivò a toccare in Europa le 600 mila auto/anno. I motivi di tale declino sono molteplici e complessi. A mio modesto parere, è mancata soprattutto una forte leadership aziendale (dovuta anche alla mancanza della figura dell’imprenditore) mitigata poi solo in parte da Sergio Marchionne, che ha senz’altro avuto il grande merito di salvare e risanare il gruppo FIAT ma ha anche avuto la scellerata idea di pensare di rilanciare Lancia con alcuni modelli Chrysler finendo per “uccidere” di fatto il brand con la famosa frase della “Scelta di Sophie”. Se parallelamente analizziamo il contemporaneo successo commerciale di VW (fino a farlo diventare il primo gruppo automobilistico mondiale), vediamo che negli stessi decenni la presenza della famiglia Piech/Porsche ha fortemente influenzato la conduzione manageriale e strategica del gruppo portandola a degli incredibili successi commerciali culminato con il famoso “Dieselgate” che ne sta segnando a sua volta il declino. Nulla dura all’infinito. Sono ovviamente di parte, ma sono altrettanto fermamente convinto che l’unica possibilità di rilancio di Lancia è come marchio dedicato al 100% alla propulsione elettrica. Bisogna ripartire dalle origini del DNA Lancia: innovazione ed eleganza.
Gentilissimo Gianfranco…..Sono così poco avvezzo alla comunicazione autoreferenziale che rispondo dopo solo 3 anni di ritardo a questa Tua. Si, Tua, e sono onorato di averti tra gli amici ed i contatti social e professionali. Intanto, complimenti e buon percorso per la Tua avventura Automotive, di cui ho letto. Tre anni dopo, su Lancia, ripeto tuttavia i pensieri di diversi anni fa. 1) Subito un Kit Retrofit marchiato Lancia per le trasformazioni delle auto Youngtimer e classiche in circolazione, e un Network di Autoriparazione e produzione Componentistica Certificati e autorizzati dal Marchio, poi il futuro si vedrà…
bell’articolo e di una tristezza infinita per il declino del simbolo della tecnologia, dello sport e della qualità dell’auto italiana che è Lancia e che forse rappresenta anche lo stesso declino del paese.
Per il resto inutile nascondere una triste verità: la morte di Lancia è iniziata nel 1986 a causa innanzi tutto di un tumore entrato nel gruppo Fiat, ovvero la sempre indebitata e mai “ripagante” Alfa romeo. Alfa è stata il tumore di Lancia e di tutto il gruppo certo assieme all’arrivo di manager del dopo Ghidella, leggasi Romiti-Cantarella, che dovevano far tutto meno che occuparsi dell’auto italiana.
Adesso cmq la speranza è che si decidano e abbiano il coraggio di vendere il marchio Lancia, magari anche a Cinesi e a chiunque, tanto nessuno saprà far peggio.
bell’articolo e di una tristezza infinita per il declino del simbolo della tecnologia, dello sport e della qualità dell’auto italiana che è Lancia e che forse rappresenta anche lo stesso declino del paese.
Per il resto inutile nascondere una triste verità: la morte di Lancia è iniziata nel 1986 a causa innanzi tutto di un tumore entrato nel gruppo Fiat, ovvero la sempre indebitata e mai “ripagante” Alfa romeo. Alfa è stata il tumore di Lancia e di tutto il gruppo certo assieme all’arrivo di manager del dopo Ghidella, leggasi Romiti-Cantarella, che dovevano far tutto meno che occuparsi dell’auto italiana.
Adesso cmq la speranza è che si decidano e abbiano il coraggio di vendere il marchio Lancia, magari anche a Cinesi e a chiunque, tanto nessuno saprà far peggio.
La Lancia è morta per svariate ragioni, innanzitutto con l’acquisto di Alfa, che andava venduta a Ford e non a Fiat, si è creata una sovrapposizione di marchi che a lungo termine, nemmeno troppo ha fatto enormi danni ad entrambi, poi per il vizio tutto nostrano di puntare sul basso costo e non sull’innovazione, se qualcosa ti riesce bene, vedi common rail oppure cambio sequenziali, i primi furono montati da Volvo e Ferrari a fine anni ’90, non sei capace di sfruttarli, non da ultimo l’idea di fare derivare auto di gamma superiore da piattaforme inferiori, vedi Tempra, tutto il contrario della filosofia VAG dove le auto di rango inferiore derivano sempre da piattaforme studiate per Audi appunto. Non si è capito in quel periodo, di profondi cambiamenti, anni ’90 che si doveva cambiare paradigma, che il mercato era globale, che la berlina non era più l’auto della classe medio-bassa ma delle borghesia agiata che non ha problemi a spendere 40-50 mila euro se il prodotto è valido ed ha appeal, le berline da 30.000 euro erano morte, infetti auto di quel tipo non se ne vedono quasi più a listino. La svalutazione competitiva esiste già con l’euro, che si svaluta ogni anno in range accettabili rispetto al dollaro, la verità che in tanti amanti del mito dei fattori esterni auto assolutori non vogliono sentirsi dire è che in questo come in tanti altri casi mancanza di visione di lungo termine, che in Italia manco si sa cosa sia fanno crollare aziende e poi non ci si rende nemmeno conto del perché. Un paese con enormi debiti con l’estero, dipendente dall’estero per fonti energetiche allora ancora di più di oggi e senza materie prime, con un mercato interno asfittico, non può pensare di svalutare la sua moneta del 15-20% annuo e poi non andare in default, visto che tutto, da debito, a petrolio a materie prime se non avessi l’euro lo pagheresti in $ – USD