Quella volta che Hyundai volle “interrogarmi” sula Fiat
Autunno 2011: ricevo una telefonata sul cellulare. «Buongiorno signor Bonora, ci sono delle persone che le vorrebbero fare delle domande. Le va bene il giorno tal dei tali alle 12 al ristorante XY in via… a Milano?». Accetto. Arrivo nel posto stabilito e vengo accompagnato al cospetto di un gruppo di manager coreani dalla fisionomia più o meno simile. Saluti di rito e mi fanno accomodare a un tavolo, proprio di fronte a loro, schierati l’uno accanto all’altro. Mi vengono presentati dalla persona che poi farà da interprete. La sala è riservata e sono l’unico italiano. «Fanno parte di Hyundai Motor Group e provengono direttamente da Seul. L’hanno fatta contattare in quanto vedono che lei scrive molto sul Gruppo Fiat e sull’ad Sergio Marchionne. Inoltre, perché lei ricopre il ruolo di presidente dell’Unione italiana giornalisti automotive. Gradirebbero che rispondesse ad alcune domande».
Un interrogatorio inatteso
Passati quasi sei anni da quel giorno e visti i recenti rumors rilanciati dalla stampa sudcoreana su un possibile interesse del Gruppo Hyundai-Kia nei confronti di Fca, con la conseguente nuova impennata delle azioni torinesi in Borsa, mi ritengo libero di svelare questo episodio di storia dell’auto, coinciso con gli anni che vedevano il Lingotto impegnato a disegnare la sua nuova strategia globale attraverso il fondamentale contributo di un nuovo partner. Proprio in quel periodo, il gruppo, fallito l’assalto alla tedesca Opel, era impegnato a completare l’acquisizione di Chrysler. Altro che pranzo di lavoro condito da due chiacchiere… Gli emissari di Hyundai, quel giorno, mi sottoposero a una sorta di interrogatorio chiedendomi cosa pensassi della strategia del Gruppo Fiat, perché Marchionne fallì l’operazione Opel; quindi, la Chrysler, i rapporti fra Torino e Barack Obama, la gamma, i conti, gli obiettivi, la politica asiatica di Fiat, il caos politico in Italia e il peso dei sindacati nelle scelte aziendali.
Curiosi su Marchionne
Un martellamento, con tanto di proiezione di slide, durato almeno tre ore, intervallato più volte da rapide consultazioni tra i membri della delegazione guidata (scoprii più tardi) dal responsabile dei piani strategici del gruppo. Volevano sapere tutto del Lingotto e di come la famiglia Agnelli lo controllasse. Ma l’attenzione maggiore dei manager coreani, ricordo perfettamente, era incentrata sulla figura di Marchionne, sul suo modo di fare, sulla sua storia, sui rapporti con gli altri dirigenti e su come era approdato alla guida operativa del gruppo. E perfino sul suo modo casual di vestire: pullover e pantaloni neri.
L’impressione che ebbi, subito dopo quel «terzo grado», era che Hyundai fosse realmente interessata a Fiat, alla luce soprattutto della graduale imminente espansione del suo business negli Usa grazie a Chrysler. E ora, a distanza di sei anni, ecco riemergere la parte buona della Corea, con Hyundai e le nuove voci che riguardano Fiat Chrysler Automobiles.