Priorità decarbonizzazione: e sull’auto elettrica…
di Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologia
(dall’intervento ad AutomotiveLab2021, evento digitale di “Auto”)
Entro il 2030 dobbiamo produrre 55% di CO2 in meno rispetto al 1990 ed essere carbon neutral nel 2050. A quella data mancano 30 anni, mentre il ricovery plan ha durata di 5 anni. Quest’ultimo, quindi va utilizzato come un acceleratore, come il primo stadio di un missile per andare in orbita e metterci in traiettoria. Dopo questa spinta, ci sono 25 anni che vanno gestiti con la nostra cultura, la nostra organizzazione e con le nostre idee ed è a questo punto che ci serviranno o buoni piloti e buone leve, ovvero una burocrazia svelta, che permetta di portare a termine gli obiettivi di quella che è una maratona, non uno scatto sui 100 metri.
È un obiettivo da rispettare nei confronti di chi ci paga e delle prossime generazioni perché chi fallisce avrà una doppia responsabilità: quella di non aver rispettato gli accordi e quella di aver consegnato un mondo peggiore ai nostri figli.
Non esiste una soluzione unica alla mobilità urbana. L’impronta di carbonio di una macchina elettrica dall’uscita dal concessionario al termine del suo ciclo vitale è molto bassa. E cala ulteriormente se il cittadino la ricarica tramite fonti rinnovabili, come un impianto fotovoltaico domestico.
Il discorso cambia, ovviamente, se si considera l’inizio di produzione, partendo dall’estrazione delle terre rare per la produzione delle batterie fino alla sua rottamazione e in questo ci sono simulazioni che dimostrano come non sia più tanto green come scelta. In contesti urbani, muoversi in elettrico è un vantaggio perché permette di non inquinare, ma in casi di mobilità diversa, l’ibrido è il giusto compromesso. La tecnologia non va demonizzata, anzi offre la soluzione più adatta a seconda dei profili dell’utente. L’auto elettrica offre soluzioni promettenti, ma non risolve tutti i problemi nel breve periodo.