Pmi e virus: ricavi giù per 420 miliardi, cosa fare

di Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi di Cgia

La cifra è di quelle da far tremare i polsi: 420 miliardi  di euro. A tanto ammonta la perdita di fatturato registrata nel 2020 dalle imprese italiane a causa del Covid-19. La stima è stata elaborata dall’Ufficio studi di Cgia. Al netto delle misure a sostegno della liquidità e agli effetti dello slittamento delle scadenze fiscali, il Governo nel 2020 ha stanziato 29 miliardi di euro di aiuti diretti alle imprese colpite dalla pandemia. Ciò vuol dire che a fronte di un crollo del fatturato dell’intero  sistema economico del nostro Paese di circa 420 miliardi di euro, il tasso di copertura ha sfiorato il 7 per cento. Un impatto insignificante, sebbene in termini assoluti l’importo complessivo delle misure messe in campo a sostegno delle attività economiche abbia la dimensione di una Finanziaria.

L’Ufficio studi di Cgia tiene a precisare che il fatturato totale delle imprese in Italia è pari a poco più di 3.100 miliardi di euro. Con una perdita dei ricavi relativa al 2020 che dovrebbe aggirarsi attorno ai 420 miliardi, la contrazione  rispetto al 2019 sarebbe del 13,5 per cento. Di tutt’altro segno, invece, i risultati ottenuti dalle multinazionali del web presenti nel nostro Paese. In attesa del dato annuale, secondo l’area studi di Mediobanca, nel primo semestre  del 2020 il fatturato dei big digitali è aumentato del 17 per cento: un vero e proprio boom.

E’ comunque necessario precisare che alle Pmi che hanno subito i contraccolpi più negativi della crisi, ovvero quelle che hanno dovuto chiudere per decreto, i ristori erogati dall’Esecutivo hanno coperto mediamente il 25 per cento circa del calo del fatturato. Le misure di sostegno al reddito approvate da Governo Conte, infatti, sono andate in larghissima parte alle attività che hanno registrato un crollo del giro di affari di almeno il 33 per cento rispetto al 2019.

Resta il fatto che anche per queste realtà gli aiuti economici sono stati insufficienti. Escludendo gli alberghi, i ristoranti, i bar, le pasticcerie e tutte le attività che ruotano attorno al settore del turismo, Cgia elenca le aree economiche maggiormente colpite dalla crisi, tra cui quella del trasporto delle persone (taxi, ncc, bus operator).

Gli aiuti erogati alle imprese. Scartando le misure che sono state introdotte a sostegno della liquidità e agli effetti dovuti allo slittamento di alcune scadenze fiscali, quest’anno il Governo ha messo a disposizione delle imprese 29,1 miliardi di euro. La voce più importante è stata quella dei contributi a fondo perduto che ammonta a 11,3 miliardi di euro. Seguono Altri interventi che assommano a 7,9 miliardi e la cancellazione del saldo 2019 e dell’acconto 2020 dell’Irap che ha consentito uno sgravio di 3,9 miliardi. Le agevolazioni fiscali per le sanificazioni e i canoni di locazione hanno permesso un risparmio pari a 5,1 miliardi, mentre la cancellazione dell’Imu e della Tosap/Cosap ha garantito una riduzione della tassazione locale pari a 802 milioni di euro.

Passare dalla logica dei ristori a quella dei rimborsi. In merito alle misure a sostegno delle attività costrette a chiudere completamente o parzialmente, Cgia sottolinea che lo Stato e le Regioni hanno il diritto/dovere di predisporre tutte le restrizioni che ritengono utili per tutelare la salute pubblica. E’ altresì evidente che a fronte di provvedimenti che impongono la chiusura delle attività economiche, queste ultime devono essere aiutate economicamente in misura maggiore di quanto è stato fatto fino ad ora.

E’ vero che questa ulteriore spesa corrente contribuirebbe ad aumentare il debito pubblico, ma è altrettanto vero che se non salviamo le imprese e i posti di lavoro,  non gettiamo le basi per far ripartire la crescita economica, unica condizione in grado di ridurre nei prossimi anni la mole di debito pubblico che sta minando il futuro del nostro Paese. Alle attività chiuse per decreto non sono più sufficienti dei semplici ristori, ma è necessario uno stanziamento che compensi quasi totalmente sia i mancati incassi sia le spese correnti che continuano a sostenere. Insomma, bisogna passare dalla logica dei ristori a quella dei rimborsi.

Lo stesso trattamento va riservato a quei comparti che seppur in attività è come se non lo fossero. Segnaliamo, in particolar modo,  le imprese commerciali ed artigianali ubicate nelle cosiddette città d’arte che, come dicevamo più sopra, hanno subito un tracollo delle presenze turistiche straniere. Particolare attenzione merita il trasporto pubblico locale non di linea (bus operator, autonoleggio con conducente e taxi) che sebbene siano sempre stati in servizio continuano ad avere i mezzi fermi nelle  rimesse o nei posteggi.

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