Ploué (designer di Stellantis): le “youngtimer” come passione

di Roberta Pasero
Francia, Borgogna, anni Sessanta. C’era un bambino che teneva il suo destino in tasca. Un destino che aveva la forma di due automobiline, una Lancia e un’Alfa Romeo. Parigi, anni Settanta. C’era un ragazzo che sognava il suo futuro guardando i prototipi firmati dai designer italiani – da Bertone, Gandini, Giugiaro – e che volava con la fantasia quando vedeva sfrecciare una Lancia Stratos.
2021. Quel ragazzo di ieri é Jean-Pierre Ploué, uno dei più grandi car designer del mondo, “autore” in passato anche di Twingo e Mégane per Renault, e di C4 e DS3 per Citroën. Da qualche mese è il numero uno del Centro stile Stellantis, ovvero il direttore del design di un bouquet di marchi che sembrano non finire mai: Abarth, Alfa Romeo, Citroën, DS Automobiles, Fiat Europa, Opel, Peugeot. Soprattutto è lui a concertare il “rinascimento” di Lancia alle Officine 83 di Torino, per restituirle i valori di origine, ossia eleganza e bellezza delle forme.
Però, la sua passione per le automobili va ben oltre il suo lavoro di car designer. Nella sua vita parallela le batte il cuore per le youngtimer, tanto da collezionarle.
“Sono quelle auto che mi hanno fatto esplodere la passione. Sin da bambino, prima che mia mamma, decoratrice d’interni, mi spingesse a inseguire la mia vocazione, erano le automobili del passato che disegnavo senza sapere nemmeno che esistesse la professione di car designer. Erano le youngtimer a farmi emozionare”.
Le ha fortemente volute sin dalla sua prima auto.
“Sì, allora lavoravo in Renault, guadagnavo 7.500 franchi al mese e al momento di decidere ne selezionai tre: una Renault Alpine Berlinette 1300 G che costava 35.000 franchi, un’Alfa Romeo Giulietta Sprint coupé Bertone che aveva lo stesso prezzo e una Ferrari Dino che però costava 50.000 franchi, un’enormità per me, così acquistai l’Alpine Berlinette. Da allora non ho più smesso di collezionarle e di utilizzarle per viaggi memorabili. Oggi ne posseggo otto vintage, anche Due Cavalli, Porsche, Land Rover e un’Alfa Romeo Coupé Bertone. Tengo le loro foto sul cellulare, e ogni tanto le osservo e inizio a sognare”.
 
Le auto di ieri erano più belle di quelle di oggi?
“Erano meno standardizzate, più essenziali, più pure. E ognuna rappresentava un capitolo della storia a quattro ruote e della società nella quale si muovevano. Una Porsche, per esempio, era sport e leggerezza, un’Alfa Romeo sportività, eleganza, emozione”.
 
Al volante di queste auto verso quali mete è bello viaggiare?
“Adoro viaggiare in automobile, meglio se con una cabriolet. È il modo migliore per scoprire i grandi spazi, per fermarsi a osservare la natura. I miei viaggi più belli sono con mia moglie e miei figli più piccoli, un ragazzino e una ragazzina gemelli di 14 anni. Partiamo con due automobili, due walkie talkie per tenerci in contatto, ognuno con un gemello e attraversiamo così Francia, Austria, Italia. E’ un modo diverso anche per riscoprire la famiglia”.
 
Il suo cuore è diviso tra Francia e Italia.
“Oh, sì. Perché sono una l’opposto dell’altra. La Francia è ossessionata dalla perfezione, l’Italia è la bellezza dell’imperfezione, in Francia tutto è straordinariamente chic, in Italia tutto sembra lasciato al caso, invece è più naturale e altrettanto impeccabile. E in cucina, poi: quella francese è sofisticata e elaborata, quella italiana è essenziale e con un pomodoro, una mozzarella, un filo di olio e una foglia di basilico sa creare emozioni. Le stesse che voglio trasmettere con le Lancia e le Alfa Romeo del domani che, attraverso la bellezza delle linee esterne e la sorpresa dei loro interni, rappresenteranno il meglio della cultura italiana”.
Lei ha regalato a suo figlio di 21 anni un’Alfa Romeo Coupé Bertone uguale a quella che ha nella sua collezione. Ma i giovani non si sono disamorati delle automobili?
“E’ vero. Oggi l’idea di libertà per i ragazzi è rappresentata dal telefonino. Io a mio figlio, per la fine degli studi, ho regalato invece di un orologio, come fanno solitamente i genitori, un’auto heritage. Perché sono convinto che si debba insegnare ai ragazzi a vedere le macchine non soltanto come forma di mobilità, ma a osservarle con un altro sguardo. Come bellezza, ingegno, passione, stile. Lo stile che, come diceva Seneca, è l’abito del nostro pensiero”.

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