Pericolo Cina: quelle parole, 20 anni fa, di Mr. Chen

di Franco Fenoglio, esperto in autotrasporto

La ripresa che in questi mesi caratterizza l’economia italiana ed europea e, seppur in maniera eterogenea, il resto del mondo, sta avendo effetti dirompenti sui componenti automotive, siano chips, semilavorati o prodotti finiti, che non si trovano, nonostante i prezzi siano aumentati a dismisura. Il tutto sullo sfondo della guerra commerciale e geopolitica tra Usa e Cina, il cui andamento influenzerà sempre di più e con frequenza le filiere produttive globali che nei trascorsi due decenni, in nome della riduzione dei costi, hanno esternalizzato tutte le produzioni nei paesi dell’estremo Oriente. Ma la crisi di oggi ha origini antiche. In proposito, nell’anno 2000 mi trovavo in Cina, a Chongqing, una megalopoli che soltanto entro i confini municipali supera i 31 milioni di abitanti, rendendola la singola città più popolosa del mondo, oltre che la più estesa.

L’occasione era la firma per conto di Iveco di una importante joint venture con la municipalità di Chongqing per la produzione di camion pesanti stradali, giunta al termine di una lunga e complessa trattativa, per cui noi avremmo portato nell’impero del Sol Levante, tecnologia, design e know-how, in cambio di un promettente sterminato mercato potenziale. Ricordo che all’atto della firma della joint venture era presente anche Mr. Chen, amministratore delegato di Saic, una delle più grandi realtà cinesi a livello globale nel settore dell’automotive, che avrebbe sottoscritto, insieme alla municipalità, il 50% della joint venture per contro del governo cinese. Entrammo in confidenza e a un certo punto chiesi a Mr. Chen, quali fossero le loro intenzioni verso l’export nei Paesi dell’Occidente. La sua risposta fu lapidaria e precisa: “Oggi, in Cina il nostro Pil cresce ogni anno a due cifre, tra vent’anni quando il mercato interno sarà saturo e il Pil crescerà di meno, saremo pronti a guardare oltre i nostri confini, anche grazie al vostro know-how di oggi”.

Quella frase che tanto mi colpì allora, esattamente vent’anni dopo, oggi è realtà! L’espansione orientale è ormai sotto gli occhi di tutti, basta guardare l’Africa, un Continente che ha sempre avuto intensi rapporti commerciali con l’Europa e con l’Italia e oggi è stata completamente colonizzata dalla Cina. Tutto è successo sotto lo sguardo inerme del nostro Paese. La pandemia è stata una grande lezione anche per l’economia che sta promuovendo la politica del reshoring, consistente nel rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato. Un esempio da seguire, in questo senso, è quello della Germania che a suon di massicci investimenti e con i soldi del PNNR tedesco, sta riportando a casa aziende e know-how. I tedeschi hanno imparato dalla pandemia che nel futuro le supply chain non potranno più rischiare di rimanere bloccate perché dall’altra parte del mondo un virus, una criticità di materie prime, una turbolenza geopolitica o la speculazione finanziaria, potrebbe rischiare di chiudere i rubinetti della fornitura.

E in casa nostra? Dai dibattiti televisivi e da giornali sembra che i nostri politici siano in “tutt’altre faccende affaccendati”, a parte parlare del “costo del lavoro”, argomento che fa aumentare lo share, incide sui sondaggi e moltiplica i likes. In altri termini, in Italia non si parla mai di lavoro in senso olistico, si preferisce accreditare ancora oggi all’imprenditore l’immagine del “padrone cattivo”. Le aziende non vanno criminalizzate e gli imprenditori non chiedono interventi a pioggia dati così, ogni tanto, per calmare le proteste. Occorre invece porre il sistema imprenditoriale al centro di un “ecosistema” virtuoso dove tutti, istituzioni, banche, fisco, burocrazia, sindacati, associazioni di categoria, partiti e movimenti politici, scuola, università e lavoratori, facciano la loro parte creando le condizioni per cui l’Italia diventi nuovamente un Paese in cui conviene investire e restare. Serve, quindi, un cambio di passo che porti a un piano industriale, piano di cui nel nostro Paese se ne sente la mancanza da tempo immemore.

I finanziamenti del PNNR sono un’occasione storica per preparare l’Italia al futuro che non sarà un’evoluzione, ma una rivoluzione, basti pensare all’impatto delle propulsioni elettriche sul mondo dell’automotive o all’avvento del 5G. Gli italiani sanno eccellere quando agiscono come individualità e lo hanno dimostrato le recenti olimpiadi e paralimpiadi, ma devono imparare a fare squadra per vincere. L’estate scorsa, la straordinaria Nazionale di calcio ce lo ha insegnato. Il futuro è adesso, “solo noi possiamo essere artefici del nostro destino”.

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