Moto Guzzi fa 100, retroscena e aneddoti

di Valerio Boni

Con una cerimonia a Genova, davanti all’edificio nel quale il notaio stipulò l’atto costitutivo della Moto Guzzi, lunedì 15 marzo sono ufficialmente iniziati i festeggiamenti per il primo secolo di vita di una tra le più importanti industrie motociclistiche al mondo. Una cerimonia semplice, con pochi invitati a causa dell’emergenza sanitaria, che si è conclusa con il dono di una copia di quell’atto al sindaco del capoluogo ligure, Marco Bucci. Tra i presenti, anche Carlo Spotti, 59 anni ancora per poche settimane, parmense trapiantato in Liguria e collezionista di moto costruite a Mandello del Lario, oltre che studioso della storia dell’azienda e consulente dell’MG World Club, l’organizzazione ufficiale a livello internazionale che riunisce gli appassionati dei cinque Continenti, presieduta da Mario Arosio. Carlo Spotti è la persona giusta per ripercorrere velocemente i 100 anni di vita di un marchio conosciuto ovunque, partendo dai primissimi giorni, da quando Carlo Guzzi andò a Genova per presentare a Emanuele Vittorio Parodi, padre del socio Giorgio, il progetto GT.

«Era una moto all’avanguardia, con un motore a quattro valvole e albero a camme in testa, un vero capolavoro, ma Parodi che doveva finanziare quella che oggi si definirebbe una start-up diede il nullaosta a patto che la moto da mandare in produzione fosse più semplice, per contenere i prezzi e ridurre il rischio di problemi meccanici. Nel primo anno produssero 17 moto e le prime due furono subito impegnate in competizioni. La prima partecipò alla Milano-Napoli (che sarebbe in seguito diventata la Milano-Taranto) e la mattina dopo tagliò il traguardo. Non vinse, ma si narra che lungo il percorso si ruppe un tubo che supportava la sella, e Aldo Finzi, il pilota, rimediò realizzando una seduta di fortuna fissando un sacco di farina. Ben più fortunata fu la seconda esperienza sportiva, con la partecipazione e la vittoria in un’altra grande gara classica su strada dell’epoca: la Targa Florio».

Concentrare un secolo in quattro modelli non è semplice, ma Spotti ci prova. «Le pietre miliari possono essere considerate Norge, Galletto, Falcone e la Sport. La prima segna una tappa importante nella storia perché delinea il confine tra passato e presente, tra i telai rigidi e quelli con le sospensioni come li conosciamo oggi. Nacque quasi per caso, da un incidente durante un viaggio nei Carpazi di Giuseppe Guzzi, fratello maggiore di Carlo, che ruppe il telaio. Con le competenze di ingegnere riparò la struttura usando una camera d’aria e, rientrato a Mandello, confidò in dialetto: “Ti tel set che la va mej inscì?” (“Lo sai che va meglio così?”). Poi, nel 1950 fu la volta del Galletto, dichiaratamente pensato per le donne e i sacerdoti, e infatti divenne il veicolo a due ruote più diffuso tra i curati. Rappresentava un’alternativa agli scooter classici, a Vespa e Lambretta, offrendo protezione e sicurezza, grazie anche ai cerchi di grande diametro e alla ruota di scorta. Di fatto è il capostipite di scooter come Aprilia Scarabeo e Honda SH. Pochi mesi più tardi fu la volta del Falcone, massima espressione dell’idea originale del 1921, sportivo e affidabile, un sogno per molti a causa del prezzo di 482mila lire. Infine, non si può dimenticare la V7 Sport, diventata la base di partenza per tutte le sportive Moto Guzzi, dalle Le Mans alla Daytona. Il progetto di Lino Tonti prevedeva 200 modifiche rispetto alla V7 Special, e per questo fu scartato. Ma ripescato nel 1971 dal direttore generale, che coraggiosamente diede vita a un’icona».

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