Maver: windsurf come una Land Rover e golf molto Jaguar
di Roberta Pasero
Volare sull’acqua più veloce del vento, vento reale e vento apparente, mandando i pensieri oltre i confini del mare. Nella sua vita parallela, Daniele Maver, presidente e amministratore delegato di Jaguar Land Rover Italia, insegue e cavalca le onde, sfidando su un windsurf il mood degli abissi.
Presidente Maver, quando è iniziata la sua vita da rider?
“Una trentina di anni fa,,, durante una vacanza al mare con mia moglie. Io dopo pochi minuti diventavo insofferente, perché non mi è mai piaciuta la vita da spiaggia, stare ore fermo sotto il sole. Così un giorno vedendomi inquieto mi ha detto: “Trovati qualcosa da fare”. L’ho presa in parola e ho iniziato a buttarmi tra le onde”.
Insomma, una passione nata per conservarne un’altra. Ma perché proprio il windsurf?
“A me il mare piace da sempre. All’inizio ho provato anche la barca a vela e il catamarano. Però, queste imbarcazioni, seppur piccole, hanno il problema della stanzialità, bisogna sempre far capo a un circolo nautico. Invece il windsurf è il simbolo della libertà. Io metto la tavola sul tetto dell’auto e posso andare dappertutto: un giorno al mare, un giorno al lago, al Nord, al Sud, senza confini. Per esempio, se vado a trovare gli amici a Terracina, mi porto la tavola e se esce un bel vento mi butto in acqua”.
Windsurf un simbolo di libertà, un po’ come Land Rover.
“Hanno lo stesso spirito. Andare a fare un giro in fuoristrada oppure in windsurf significa essere immersi nella natura, rispettarla e temerla. E vuol dire, appunto, andare dappertutto: ovunque si può entrare in acqua e farsi un giro, così come con una Land Rover, grazie alle sue capacità, si può andare dove si vuole”.
Quali mari preferisce attraversare?
“Vado molto nel Mediterraneo, in Grecia, soprattutto nelle isole Cicladi, in Sardegna, per esempio a Porto Pollo, o in Corsica, in località di mare già organizzate per il surf, ma anche in posti improvvisati, dove non c’è nessuno, o imprevisti. Come capitò quando eravamo in attesa di prendere un traghetto nel Sud della Grecia per attraversare un braccio di mare abbastanza corto, una decina di minuti in nave: siccome c’erano le condizioni ideali ho detto a mia moglie che ci saremmo visti dall’altra parte del mare. Sono sceso al porto, ho preso la mia tavola, mi sono tuffato e, tra operazioni di imbarco e di sbarco, sono arrivato prima io del traghetto”.
Una sfida al mare che richiede una dotazione minimal.
“Di solito porto con me due tavole e tre o quattro vele per adattarmi alle differenti condizioni del vento. La tecnologia si è continuamente evoluta e oggi si trovano tavole in carbonio da 130 litri di volume leggerissime, che pesano soltanto 6 chili. E si evolvono anche le tecniche, per esempio negli ultimi anni ha conquistato anche me il windsurf foil, il surf con una pinna che esce mezzo metro dall’acqua e solleva la tavola come se si volasse sul mare. Ciò consente tanti vantaggi, come di cavalcare le onde pure con minor vento e di bagnarsi meno e, dunque, di praticare lo sport anche nelle stagioni fredde. Inoltre diminuisce il rumore tutt’attorno”.
La stessa sensazione che si ha guidando un’automobile elettrica.
“Proprio così. Il windsurf sbattendo sull’acqua produce una serie di rumori naturali, invece, uscendo in foil, all’inizio fa quasi impressione perché si è circondati dal silenzio, proprio come capita su una macchina zero emissioni”.
Quali pensieri si hanno stando su una tavola in mezzo al mare?
“Per me è una grande occasione per rilassarmi e concentrarmi su altro. Nei momenti iniziali occupandomi degli aspetti tecnici riesco a mettere da parte i pensieri di lavoro, poi quando sono in andatura, senza dover più aggiustare nulla nell’assetto, mi vengono in mente idee. Il windsurf è un po’ come lo sci, consente di staccarsi dal contesto, di liberare la mente dai problemi piccoli e di pensare un po’ più in grande, a cose personali o del business, pensieri che non affiorano nella vita di sempre. E stare immersi nella natura da soli, con una tavola e una teletta di vela, consente di avere una visione molto più ampia, come se il vento spingesse i pensieri altrove”.
C’è un’idea professionale uscita dal mare?
“Il lancio, qualche anno fa, in Italia, dello skyview di Land Rover, il tetto trasparente regalato per un periodo a scopo promozionale per enfatizzare ciò che allora era una novità e dava grande luminosità alla vettura. Venne proposto con il claim “Il cielo non è un optional” e con affissioni dove appariva soltanto una cornice con un buco in mezzo”.
Lei è anche un appassionato giocatore di golf. Non è difficile dividersi tra due sport dal temperamento così differente?
“Golf e windsurf hanno in comune l’immersione nella natura: ci sono campi bellissimi, il mio preferito è quello a Bonifacio, in Corsica, a strapiombo sulle rocce, con le palline che facilmente volano in mare. Ma se il windsurf è come una Land Rover, il golf è molto Jaguar, con tanta britishness e uno spirito un po’ più elitario”.
Fare il rider è per lei una passione da vivere in solitudine o da condividere?
“Se riesco vado in mare con gli amici anche per motivi di sicurezza. Quando non è possibile, mi porto il cellulare in una sacca impermeabile per chiamare in caso di problemi. Una delle gioie maggiori è fare windsurf con mio figlio, Giovanni, che ha 28 anni e ci va sin da quando era bambino: l’estate trascorriamo sempre un periodo di vacanza insieme proprio perché gli fa piacere andare in mare con me e questo crea una bella complicità”.
La sfida al mare aumenta il fascino di questa passione?
“Capita soprattutto quando il mare è abbastanza arrabbiato. O quando c’è da affrontare un imprevisto, per esempio se si rompe qualcosa e si è obbligati a lasciare la vela per continuare a navigare soltanto con la tavola. O come capitò quando, con un mio amico, cominciammo a circumnavigare la punta dell’isola di Rodi, ma ci allontanammo troppo e fummo costretti a risalire con onde molto alte. La sfida aumenta il fascino, però la prudenza non è mai troppa in mare”.
Cosa ritrova del windsurf nella sua professione?
“Una delle caratteristiche di questo sport è essere solo di fronte alla natura, ai problemi, alle sfide. Un po’ come capita a volte ai top manager che gestiscono un’ azienda e che, pur avendo un team di collaboratori, possono trovarsi un po’ soli davanti a una sfida. Ricordo che, quando prima del lockdown andavo a riunioni a livello europeo, in Germania, e tornavo con tantissimi obiettivi da raggiungere, che il giorno dopo in ufficio avrei spiegato al mio team, nel tragitto dall’aeroporto a casa ero solo con tutto questo carico sulle spalle. Ecco, questo senso di solitudine che prova il numero uno di un’azienda è un po’ lo stesso che si sente cavalcando le onde”.
Uscire in mare per lei è stato un supporto in questo periodo complicato della nostra vita?
“Moltissimo. Quando si è in mare si riesce a lasciare tutti i problemi, grandi e piccoli, parcheggiati per qualche ora sulla spiaggia”.