Sergio Marchionne e il Magnifico Rettore dell’Università di Trento, Mario Collini
Marchionne a briglia sciolta su auto elettrica e guida autonoma
Ecco il testo della Lectio magistralis svolta da Sergio Marchionne, ad di Fca e presidente della Ferrari, all’Università di Trento. Il top manager ha ricevuto la laurea honoris causa in Ingegneria meccatronica. A fare gli onori di casa il magnifico Rettore, professor Paolo Collini.
Magnifico Rettore,
Autorità,
Signore e Signori,
Cari studenti,
buongiorno a tutti.
Ricevere questa laurea è un grande onore e desidero ringraziare il Rettore, professor Paolo Collini, il Dipartimento di Ingegneria Industriale e tutto il Senato Accademico per avermela voluta concedere.
Grazie anche al Professor Dario Petri e al Professor Mauro Da Lio per le belle parole e per la presentazione che hanno voluto farmi.
Un saluto particolare lo voglio rivolgere al Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Ugo Rossi.
A parole, siamo sempre tutti d’accordo nel sostenere che la competitività di un Paese passa attraverso la centralità della formazione e della ricerca e attraverso un collegamento più stretto con il mondo del lavoro.
Ma è una piacevole sorpresa vedere che qui, a Trento, alle parole seguono i fatti.
Se Trento è la migliore Università pubblica in Italia per le attività di ricerca, se il nostro CRF di Trento è diventato un punto di riferimento per tutta FCA a livello globale, se possiamo contare su un luogo d’eccellenza come questo Polo scientifico… lo dobbiamo anche ad un’amministrazione illuminata, che crede nell’innovazione e che investe per svilupparla.
Il Polo Meccatronica di Rovereto – un progetto innovativo creato su un’area industriale dismessa – non è solo una testimonianza di come sia sempre possibile cambiare, ricreare, rinnovare.
È soprattutto un esempio, quasi unico, di integrazione tra imprese, enti pubblici, fondazioni di ricerca e università. Qui davvero si realizza quell’effetto-sistema di cui si parla spesso in Italia, ma che è poi così raro da ottenere.
Confesso che essere qui oggi è un piacere e una grande emozione.
Lo è per i rapporti storici che esistono tra la nostra azienda e il Trentino.
Negli ultimi 15 anni, abbiamo lavorato a molti progetti in comune, con l’Università, ma anche con la Provincia e l’Agenzia Trentino Sviluppo, specialmente sui sistemi avanzati per la sicurezza preventiva e di ausilio alla guida. Abbiamo imparato gli uni dagli altri, ci siamo confrontati, siamo cresciuti insieme.
La sperimentazione in corso sull’Autostrada del Brennero, proprio a due passi da qui, tra Rovereto Sud e Rovereto Nord, è solo un esempio di come le nostre ricerche siano reali. Mi fa piacere potervi anticipare che il tratto sperimentale verrà presto esteso anche verso il confine con l’Austria, come ponte tecnologico verso l’Europa, cosa che permetterà all’Italia di lavorare sull’integrazione e sulla compatibilità dei sistemi a livello internazionale.
Sono convinto che il recente trasferimento del CRF presso la Fondazione Bruno Kessler farà da ulteriore stimolo ai processi di open innovation.
L’emozione di oggi è legata anche al titolo che mi conferite.
Primo, perché è il riconoscimento delle capacità dei nostri leader nel rovesciare un passato difficile, nell’aver dato alla Fiat un orizzonte mondiale e con esso la speranza e il coraggio di costruire un futuro migliore.
Poi, perché in qualche modo aiuta me a ridurre quell’inevitabile senso d’inferiorità che si prova, di tanto in tanto, a non essere ingegnere in un ambiente dove si è circondati da tanti bravi ingegneri.
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Il compito che mi è stato assegnato oggi è portarvi la mia visione su come le innovazioni tecnologiche cambieranno l’automobile e, probabilmente, la fisionomia dell’intero settore.
Ci sono, però, due cose che di sicuro NON farò.
Non vi farò nessuna lezione formale. L’ultima cosa di cui avete bisogno è sorbire una presentazione di grafici e numeri. Vi assicuro che ne ho viste e continuo a vederne moltissime – e neanch’io le ammiro poi così tanto.
E non vi presenterò un futuro idilliaco ad ogni costo.
Se c’è una cosa che mi distingue è quella di non usare giri di parole.
Anche oggi, con voi, sarò molto diretto.
Quando parliamo di innovazione dobbiamo essere pragmatici.
Raccontarci che tutte le nuove tecnologie, anche se vanno tanto di moda, saranno la soluzione magica ai nostri problemi, non solo è ingenuo, ma può essere anche pericoloso.
Vorrei iniziare raccontandovi una storia, che riguarda il più famoso detective al mondo, nonché uno dei personaggi più geniali che la letteratura ci abbia lasciato, Sherlock Holmes.
Sherlock Holmes e il Dottor Watson decidono di andare in campeggio. Piantano la tenda sotto le stelle e vanno a dormire.
Nel mezzo della notte, Sherlock Holmes sveglia Watson e gli dice: “Watson, guarda il cielo e dimmi cosa vedi”.
Watson risponde: “Vedo milioni e milioni di stelle”.
E Sherlock Holmes: “E che cosa ne puoi dedurre?”.
Watson riflette e gli dice: “Se ci sono milioni di stelle, e se anche solo alcune di esse hanno dei pianeti, allora è molto probabile che esistano altri pianeti come la Terra. E se esistono altri pianeti come la Terra, allora potrebbero esserci altre forme di vita”.
E Sherlock Holmes: “Watson, sei un idiota. Vuol dire che qualcuno ci ha rubato la tenda”.
Arthur Conan Doyle, che ha creato Sherlock Holmes e la sottile arte della deduzione, ci ha anche lasciato una grande lezione ricordandoci che “Non c’è nulla di più ambiguo e ingannevole di un fatto ovvio”.
Se c’è una cosa ovvia, oggi, è che ci troviamo alle soglie della più grande rivoluzione nel mondo dei trasporti, almeno da quando l’automobile ha sostituito cavalli e carrozze.
Siamo di fronte a forze di innovazione, anche dirompenti, che stanno scardinando gli abituali paradigmi.
Nessuno sa dire quale sarà il risultato di queste tendenze o cosa ne sarà del nostro settore tra 10 o 20 anni.
Neppure io ho una sfera di cristallo e purtroppo non ho nessuna verità universale da offrirvi oggi.
Ho vissuto a sufficienza per sapere che aveva ragione il premio Nobel per la Fisica, Niels Bohr, quando disse che: “Fare previsioni è molto difficile, specialmente se si tratta del futuro”.
Quello che posso fare, comunque, è condividere con voi alcune riflessioni sui fattori che avranno un ruolo decisivo nel cambiare il nostro settore e come noi, in FCA, ci stiamo preparando ad affrontare questi cambiamenti.
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Ogni volta che partecipo a un dibattito – che il pubblico sia composto da studenti, analisti finanziari, investitori o giornalisti –sono sempre due le domande ricorrenti.
La prima riguarda i veicoli elettrici e quali prospettive ritengo possano avere. La seconda è sulle auto che si guidano da sole.
Queste sono le due aree su cui intendo concentrare il mio intervento di oggi, perché sono convinto che si tratti dei cambiamenti tecnologici più significativi che vedremo nel prossimo futuro.
La più grande sfida ambientale e sociale che tutti quanti abbiamo davanti è quella di ridurre la dipendenza dal petrolio.
La diffusione di forme di propulsione alternative, tra cui l’elettrico, è legata all’emergere di una coscienza collettiva sul pesante ruolo delle emissioni di anidride carbonica nei cambiamenti climatici.
Il settore dei trasporti, nel suo complesso, rappresenta il 14 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, principalmente per l’uso di combustibili a base di petrolio. Di questo 14 per cento, la quota in capo alle automobili è circa la metà, mentre il resto è prodotto dai sistemi ferroviario, aereo e marino.
Se anche è chiaro che il nostro settore, da solo, non può essere LA soluzione, di certo possiamo svolgere un ruolo importante.
Ma dobbiamo essere chiari: non esiste una soluzione unica, né una formula magica per questo problema.
Le “fughe in avanti”, dove si voglia dimostrare di avere trovato la panacea di tutti i nostri mali ambientali, sono pure illusioni.
E in tempi recenti ne abbiamo viste più d’una.
Ricorderete che un decennio fa ci è stato raccontato il sogno dell’idrogeno.
Poi si è scoperto che, oltre ai problemi della durata e dei costi delle fuel cell, introdurre l’idrogeno su larga scala avrebbe solo spostato il problema alla fonte. Ci avrebbe dato vetture pulitissime, ma ottenute a scapito di enormi quantità di energia ed emissioni inquinanti a causa del processo di produzione dell’idrogeno.
Ora che l’idrogeno è passato di moda, è la volta dell’elettrico.
Non sto dicendo che sia un progetto da non considerare, ma va fatto con lungimiranza e realismo.
Noi, in FCA stiamo lavorando su tutte le diverse forme di auto elettrica: dagli ibridi leggeri a 48 volt, agli ibridi tradizionali, ai plug-in, ai sistemi totalmente elettrici.
Ma non possiamo ignorare alcuni elementi importanti.
Prendiamo, ad esempio, la 500 elettrica.
Cinque anni fa l’abbiamo lanciata in alcuni Stati americani, come la California, dove i regolamenti impongono la presenza di un livello minimo di veicoli a “emissioni zero”.
La verità è che per ogni 500 elettrica che vendiamo negli Stati Uniti, perdiamo circa 20.000 dollari.
Un’operazione che, fatta su larga scala, diventa un atto di masochismo economico estremo.
Ma i limiti dell’elettrico non riguardano solo i costi, l’autonomia, i tempi di ricarica o la rete di rifornimento.
C’è un elemento molto più importante che non viene quasi mai considerato ma che, come il cielo per Sherlock Holmes, è invece abbastanza ovvio.
Prima di dare per scontato che i veicoli elettrici siano la risposta definitiva, dobbiamo considerare il loro impatto ambientale durante tutto il ciclo di vita, specialmente per quanto riguarda la fonte da cui si ricava l’energia elettrica.
A livello globale, due-terzi dell’energia elettrica deriva da fonti fossili. Il carbone, che è il peggiore in termini di inquinamento, pesa per circa il 40 per cento.
Nel corso degli ultimi 20-25 anni, la quota di energia elettrica generata dallo sfruttamento di fonti non rinnovabili è cresciuta di quasi 10 punti percentuali.
La quantità di energia elettrica prodotta a livello globale è più che raddoppiata nel corso degli ultimi 15 anni, spingendo lo sfruttamento dei combustibili fossili a livelli allarmanti.
Anche se l’elettrico – spesso per ragioni politiche – viene presentato come la soluzione che salverà il pianeta, la realtà è ben diversa.
Le emissioni di un’auto elettrica, quando l’energia è prodotta da combustibili fossili, nella migliore delle ipotesi sono equivalenti a un’auto a benzina.
Già quattro anni fa, una ricerca svolta dalla Norvegian University of Science and Technology sosteneva che le vetture elettriche costituiscono una minaccia ambientale quasi doppia rispetto ai veicoli tradizionali, in termini di potenziale riscaldamento globale del pianeta.
L’attuale livello di CO2 in atmosfera non è mai stato così alto da 66 milioni di anni.
Ci si aspetta che arrivi a circa mille parti per milione (ppm) entro il 2100.
Un tale livello di concentrazione di CO2 porterebbe alla scomparsa dei ghiacciai e all’aumento del livello del mare di 40 metri.
Non voglio suonare apocalittico, ma la produzione di veicoli elettrici su larga scala non farebbe che esacerbare la situazione.
Dobbiamo essere realisti.
La auto elettriche possono sembrare una meraviglia tecnologica, soprattutto per abbattere i livelli di emissioni nei centri urbani, ma si tratta di un’arma a doppio taglio.
Forzare l’introduzione dell’elettrico su scala globale, senza prima risolvere il problema di come produrre l’energia da fonti pulite e rinnovabili, rappresenta una minaccia all’esistenza stessa del nostro pianeta.
Quella dell’elettrico è un’operazione che va fatta senza imposizioni di legge e continuando nel frattempo a sfruttare i benefici delle altre tecnologie disponibili, in modo combinato.
È certamente più utile concentrarsi sui miglioramenti dei motori tradizionali e lavorare alla diffusione di carburanti alternativi, soprattutto il metano, che per la sua origine e le sue qualità è oggi il più virtuoso e più pulito in termini di emissioni.
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Il secondo tema che vorrei affrontare con voi oggi, credo vi stia particolarmente a cuore.
È proprio partendo dai sistemi cooperativi — per cui questo polo di Rovereto è un centro di eccellenza — che si sviluppano quelle tecnologie indispensabili in un futuro a guida autonoma.
Mi fa piacere sapere che abbiate deciso di creare proprio qui un sito per simulare la mobilità in ambito urbano. Sono scelte importanti per garantire al Trentino un ruolo di riferimento nello studio di soluzioni innovative.
I benefici che possono derivare dalla guida autonoma sono moltissimi: in termini di sicurezza, riduzione del traffico e potenziale azzeramento degli incidenti causati da errore umano, oltre ad un nuovo livello di indipendenza e di qualità della vita per le persone anziane e disabili.
Secondo uno studio della Commissione Europea, circa 70 persone perdono la vita ogni giorno sulle strade europee. Il 30 per cento a causa di un guidatore in stato d’ebbrezza. Il che significa un morto ogni 82 minuti in un incidente causato dall’alcol.
Secondo un altro studio, se non dovessimo più guidare, guadagneremmo circa due ore di tempo al giorno, per fare altre cose.
Sono tanti gli attori al lavoro per portare questi benefici al mondo reale: non solo i costruttori di automobili, ma anche soggetti esterni, come alcuni giganti tecnologici, che hanno fatto incursione nel settore e ne stanno in qualche modo sovvertendo i processi tradizionali.
Ci sono due approcci alla guida autonoma.
Il primo, che potremo chiamare “evoluzionista”, prevede uno sviluppo progressivo della tecnologia, attraverso cinque livelli successivi.
L’altro, di tipo “rivoluzionario”, consiste invece nel saltare la progressione e lavorare da subito allo sviluppo di un sistema totalmente autonomo.
Noi, in FCA, pensiamo che il giusto approccio sia a metà strada.
Per questo, da una parte, stiamo lavorando sull’evoluzione delle tecnologie, per tappe successive; dall’altra, siamo impegnati in un progetto rivoluzionario sulla guida autonoma insieme a Google.
Da circa un anno, ingegneri di FCA e di Waymo, che è la società di Google dedicata alle vetture autonome, lavorano fianco a fianco per integrare e sperimentare le tecnologie a guida autonoma su una flotta di Chrysler Pacifica Hybrid.
Nessuna sa esattamente quando appariranno le prime auto che si guidano da sole e quanto velocemente si diffonderanno.
Uno studio di Frost & Sullivan evidenzia che, nel giro dei prossimi 7-8 anni, sulle strade di Europa e Stati Uniti, il numero di vetture con sistemi di guida parzialmente autonomi potrebbe raggiungere i sei milioni, mentre quelle totalmente autonome sarebbero ancora sotto le 100.000 unità.
McKinsey stima che la quota di veicoli a guida autonoma possa arrivare anche fino al 15% del mercato nel 2030, se verranno risolti i problemi legali e normativi, oltre che il nodo dei costi.
Noi crediamo che la guida autonoma sarà una realtà nel giro di un decennio e che i sistemi avanzati di ausilio alla guida svolgeranno un ruolo cruciale nel preparare legislatori, consumatori e aziende per un mondo in cui il controllo dell’auto sarà passato nelle mani dell’auto stessa.
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Il poeta Paul Valéry disse che: “Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta”.
Non potrebbe avere più ragione oggi.
Negli ultimi 50 anni, il settore dell’auto, a livello mondiale, è finito in un tritacarne di crisi economiche e finanziarie, regolamenti governativi, cattivi esempi di leadership. E’ stato messo in ginocchio, ha visto la bancarotta dall’interno, ha perso i tradizionali punti di riferimento più e più volte.
Quelli che sono riusciti a sopravvivere hanno dovuto cambiare modello di business.
Eppure tutto questo sembra un gioco da ragazzi rispetto alla rivoluzione che ci apprestiamo ad affrontare oggi.
L’insieme di queste due forze di innovazione – propulsione elettrica e guida autonoma – provocherà un cambio di paradigma totale, che è destinato a cambiare il volto dei trasporti come lo abbiamo sempre inteso.
Nel giro di qualche anno, il motore – che è una delle nostre competenze fondamentali – non sarà più un elemento distintivo.
Vedremo anche emergere nuovi attori: aziende con grandi capitali alle spalle, provenienti da settori diversi da quello dell’auto e pronti a giocare un ruolo devastante.
La pressione sarà inesorabile. Specie su un mondo conservatore e lento a reagire come quello dell’auto.
Sta accadendo ciò che abbiamo già visto succedere in tanti altri settori, dal turismo, alla musica, alla politica: il modello tradizionale entra in crisi per l’irruzione di nuovi attori, nuovi intermediari, logiche di fruizione diverse.
L’auto è nel mezzo di un simile processo di trasformazione radicale.
Quando questo processo arriverà a compimento, lascerà i costruttori di auto alle prese con alcune domande esistenziali. Ci troveremo a riflettere su chi siamo, su cosa potremo offrire ai consumatori, se esisterà ancora un valore associato al marchio e perché ai clienti dovrebbe importare…
Ci sono solo alcuni marchi, molto forti e altamente specializzati, che rimarranno indenni o saranno solo parzialmente toccati da questa rivoluzione.
Per quanto ci riguarda, mi riferisco ad esempio ad Alfa Romeo e Maserati, la cui identità è nell’esperienza stessa di guida.
Penso anche a Jeep, che è un’icona dei fuoristrada ed è sempre stato associato ai concetti di libertà e avventura.
E penso, ovviamente a Ferrari, che vive del suono del motore e di qualcuno alla guida.
Ma nel mercato di massa, il marchio non sarà più così importante.
In una vettura elettrica, il valore aggiunto del costruttore è relativo, dal momento che acquista le batterie e i motori elettrici da un fornitore esterno.
Allo stesso modo, in un’auto che si guida da sola, il sistema di propulsione diventa abbastanza irrilevante. In più, gli algoritmi che governano il processo di guida autonoma richiedono competenze che non fanno parte del “DNA” di un costruttore e, magari, possono essere sviluppate meglio e più velocemente da uno dei nuovi attori esterni.
Nonostante la cronica inefficienza del settore dell’auto durante gli ultimi 30 e più anni, la nostra esistenza non è mai stata minacciata dall’innovazione.
Siamo sempre stati in grado di controllare il nostro destino, fin dall’inizio dell’epoca industriale.
Certo, abbiamo dovuto sottostare a leggi e regolamenti, spesso stringenti.
Abbiamo anche dovuto subire le conseguenze di scelte sbagliate, che noi stessi abbiamo preso
Siamo morti e risorti più volte, a causa di pessime decisioni imprenditoriali, dell’incapacità di sanare processi inefficienti, del rifiuto egoistico di rinunciare alla nostra indipendenza per ridurre i costi e condividere i rischi.
Ma è sempre successo a causa nostra.
NOI siamo stati i colpevoli del nostro fallimento, come gli artefici della nostra rinascita.
Ma, nonostante tutto, non siamo mai stati minacciati dall’esterno.
Oggi lo siamo.
La velocità dell’innovazione e il ritmo del cambiamento stanno riscrivendo le regole dell’industria automobilistica.
I nostri concorrenti non sono solo più gli altri costruttori, ma sono anche aziende esterne al settore che stanno adottando formule del tutto nuove.
Si sta aprendo una frontiera nuova e la transizione sarà dolorosa per molti.
Il più grande errore che possiamo commettere è pensare che la storica capacità di sopravvivere del settore possa essere di qualche garanzia per il futuro.
Non sappiamo esattamente quanto tempo richiederà questo processo.
Non sappiamo chi davvero vuole i nuovi veicoli o quanto costeranno.
Non sappiamo quali saranno i tempi per creare le necessarie infrastrutture.
Non sappiamo neppure quale sarà il ruolo dei governi del mondo nel favorire l’adozione dell’elettrico, come già sta succedendo, o nello scrivere le regole della guida autonoma.
Ma se c’è una cosa chiara è che il cambiamento sta arrivando, rapidamente, in ogni angolo del settore. E sarà dirompente.
Se nel mezzo di tutto ciò non rimaniamo consapevoli e flessibili, rischiamo di svegliarsi una mattina come Sherlock Holmes e Watson e di accorgerci che la nostra tenda è sparita.
Le opzioni per reagire non ci mancano.
Possiamo trasformarci in un’azienda della Silicon Valley.
Possiamo decidere quale livello di interazione avere con gli “intrusi”.
Possiamo scommettere su uno dei nuovi attori, sperando di aver puntato sul cavallo giusto e non su quello che ci porta al fallimento.
Possiamo scegliere la via del consolidamento e condividere competenze, rischi e investimenti con un altro grande costruttore.
Alcune di queste alternative non sono neppure praticabili.
Ma ve lo ho portate perché sono convinto che oggi, più che mai, dobbiamo rimanere aperti a tutto. Anche a inventarci da capo.
Non possiamo illuderci pensando di rimpiazzare i giganti tecnologici.
Ma dobbiamo essere pronti al nuovo, ad accoglierlo ed a trarne beneficio.
In FCA ci siamo allenati per tredici anni e mezzo, ogni giorno.
Abbiamo già affrontato momenti difficili, abbiamo imparato a vivere nell’incertezza e siamo pronti per qualunque eventualità.
Se c’è una cosa che ci rende diversi è l’impegno a guardare il futuro e l’ignoto come a una straordinaria opportunità, ad accogliere la sfida del nuovo.
La nostra squadra di leader è composta di uomini e donne che comprendono l’importanza di vivere una cultura del cambiamento.
L’idea che le tecnologie stiano ridisegnando il nostro ambiente competitivo e il nostro settore non ci fa arretrare.
Abbiamo già smentito più volte, in passato, le previsioni sulla nostra fine.
Abbiamo dimostrato di avere il coraggio per fronteggiare e superare le difficoltà.
Abbiamo sviluppato un istinto naturale per adattarci ai cambiamenti del mercato e, se necessario, anche per cambiare noi stessi.
Potrei portarvi molti esempi.
Come nel 2004 abbiamo strappato la Fiat al fallimento e l’abbiamo portata al più alto risultato operativo della sua storia.
Come, nel mezzo della crisi mondiale, abbiamo visto un’opportunità in una Chrysler in bancarotta, l’abbiamo ristrutturata e unita a Fiat, creando uno dei principali costruttori globali.
Come abbiamo trasformato Jeep da un marchio che vendeva poco più di 300.000 unità all’anno, nel 2009, ad una casa mondiale che ha macinato cinque anni di vendite record consecutivi, tre dei quali superando il milione di vetture vendute.
Come abbiamo sviluppato una strategia ambiziosa per Maserati, che è diventato in pochi anni un attore di spicco nel mercato del lusso, raggiungendo il più alto livello di profitti della sua storia ultracentenaria.
Potrei anche portarvi come esempio la velocità con cui abbiamo riallineato la nostra rete produttiva in Nord America, per focalizzarci su pick-up e SUV, non appena abbiamo visto il mercato cambiare in quella direzione.
E, ovviamente, potrei anche citare come ci siamo mossi sulle tecnologie per la guida autonoma, lavorando sia con Google negli Stati Uniti sia, qui in Europa, con BMW, Intel Corporation e Mobileye.
E tutto questo lo abbiamo fatto senza grandi proclami.
Questo è il nostro stile. Restare focalizzati sui nostri obiettivi, adattarci alle condizioni che cambiano e lasciare che siano gli altri a giudicarci dai risultati.
Questo è il modo in cui vogliamo continuare a parlare, anche mentre ci accingiamo ad affrontare la prossima rivoluzione: con i fatti.
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Vorrei concludere rivolgendomi direttamente agli studenti presenti.
Ho un solo consiglio per voi.
Il mio consiglio è: qualunque convinzione abbiate oggi, per quanto forte sia, rimanete comunque aperti a cambiare voi stessi e il vostro percorso. Non fatevi intrappolare in un luogo di lavoro che soffoca la vostra creatività e la vostra crescita.
Voi avete la fortuna di essere a contatto con un’istituzione che ha saputo cogliere in anticipo le tendenze della società moderna.
L’Università di Trento non è solo la migliore università statale per la qualità della ricerca in Italia.
È soprattutto un Ateneo che ha dimostrato una mentalità aperta e ha realizzato un ambiente vivo e creativo.
Ha stretto accordi con Università di tutto il mondo e con Istituti di ricerca europei e internazionali.
Ha fatto da precursore anche su alcune delle grandi innovazioni che oggi si stanno facendo strada. Quando la nostra società sognava un futuro popolato di macchine volanti, alla fine del secolo scorso qui c’era qualcuno che già iniziava a lavorare sui sistemi cooperativi.
Dietro allo spirito pionieristico, all’apertura internazionale, alle collaborazioni con il mondo scientifico, con le imprese e le istituzioni, c’è un’idea precisa.
L’idea che, alla fine di tutto, il compito dell’Università sia quello di preparare le generazioni future, dare loro gli strumenti culturali ed umani per diventare, a loro volta, artefici di qualcosa di valore.
Non sarò certo io a dirvi quale strada seguire. Si tratta di un percorso che dovrete compiere da soli. Come scrisse Friedrich Nietzsche:
“Nessuno può costruire il ponte su cui voi, e solo voi, attraverserete il fiume della vita.
Certo esistono innumerevoli sentieri, strade e semidei che sarebbero lieti di portarvi, ma al prezzo di rinunciare a voi stessi”.
Il viaggio alla scoperta di sé può essere pieno di insidie, ma dovrete compierlo in autonomia, senza evitare gli ostacoli.
Cercate da soli la vostra strada, cambiatela tutte le volte che volete, seguite i vostri sogni.
Non lasciate che l’educazione, le abitudini, i vostri stessi preconcetti diventino una prigione.
Abbiate sempre il coraggio di cambiare voi stessi – le vostre idee, il vostro approccio, il vostro punto di vista – perché è l’unico modo per cambiare le cose che non vanno e per migliorare la vostra vita e quella di tanti altri.
E mentre cercate la vostra strada, tenete a mente chi volete diventare.
Pensate a quale impronta volete lasciare, a quale differenza volete fare.
Rimanete ambiziosi nei vostri obiettivi, perché rassegnarsi a una vita mediocre non vale mai la pena.
Grazie a tutti.