L’INTERVISTA: Alberto Clò
“Ristrutturare l’industria dell’auto in poco più di 10 anni? Non è fattibile”
di Pierluigi Bonora
Il professor Alberto Clò, direttore della rivista “Energia”, già ministro tecnico dell’Industria nel governo guidato da Lamberto Dini (1995-1996), grande esperto di problemi legati all’ambiente e all’energia, ha risposto alle mie domande sui temi più caldi del momento. Ecco come ha risposto.
Professor Clò, la transizione energetica in corso è ormai un processo irreversibile: il piatto della bilancia pende più verso l’ideologia o gli aspetti razionali nel programmare il cambiamento al quale tutti dovranno sottostare?
“Cominciamo col precisare che quel che si definisce come transizione energetica – ovvero la transizione a un mondo senza fossili – è un fatto più nominale che reale perché le fonti fossili mantengono inalterato il loro dominio con l’84% della copertura dei fabbisogni energetici mondiali, contro nemmeno il 5% delle fonti rinnovabili che dovrebbero sostituirle. Non tenerne conto è ascrivibile all’isteria ecologista che condiziona pesantemente il dibattito sulle politiche climatiche”.
Tutto ormai viene politicizzato e anche le questioni ambientali finiscono per essere strumentalizzate in vista di appuntamenti importanti. Anche le questioni ambientali sono ormai diventate una sorta di business?
“La crisi climatica è un fenomeno globale affrontabile solo con una grande intesa internazionale che si tenta invano di conseguire. Da soli non si va da nessuna parte. Il flop, checché se ne dica, del G20 di Napoli sta a dimostrarlo. Dal 2015, quando il mondo intero siglò l’Accordo di Parigi, le cose sono peggiorate. Una politica regionale come quella dell’Unione europea non sortirà alcun risultato efficace. Se tutto quel che propone fosse in teoria conseguito le emissioni mondiali si ridurrebbero di una quantità marginale, a fronte di costi esorbitanti”.
In Italia, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, si è “smarcato” dall’ideologia, in particolare quando parla di mobilità elettrica.
“Il ministro Congolani si è affrettato a dire che seguendo le assurde proposte di Bruxelles “la Motor Valley chiude”. Parliamo di un’industria che conta in Europa 11 milioni di occupati, in Italia 1,5 milioni, con un fatturato di 350 miliardi. I settori tradizionali che nel nostro Paese ne sarebbero direttamente interessati sono una quarantina con 2,1 milioni di addetti!.
Il piano Ue “Fit for 55″e che prevede l’addio alle motorizzazioni tradizionali benzina, Diesel e anche ibride nel 2035: quali interventi di messa a punto richiederebbe?
“Il passaggio all’auto elettrica, la sua stessa convenienza climatica, dipende da molte variabili a partire dal tipo di fonte con cui si produce l’elettricità. Un’auto elettrica in più, in Germania, peggiorerebbe le cose, visto il suo ampio ricorso al carbone incredibilmente aumentato quest’anno, senza che nessuno, specie a Bruxelles, osi dirlo. Non penso che ristrutturare tutta l’industria automobilistica europea in poco più di un decennio sia fattibile, anche se i danni si avvertiranno egualmente”.
Negli Usa, la Casa Bianca pure sta accelerando sulla mobilità full electric. Chi prevarrà tra Ue e Usa? Sarà la Cina a ottenere i maggiori benefici?
“Non vi è dubbio alcuno che – allo stato delle cose – l’unica vincente sarebbe la Cina che ha un controllo quasi monopolistico tecnologico e manifatturiero delle nuove rinnovabili e dei materiali critici della mobilità elettrica”.
Quali i contraccolpi del “tutto elettrico” sul mondo petrolifero?
“Il petrolio resta la prima fonte di energia e il suo consumo nel 2020 ha ripreso a crescere raggiungendo ormai i livelli pre-pandemia di 100 milioni di barili al giorno. Chi profetizzava che la sua caduta del 2020 fosse strutturale avrebbe ora di che ricredersi. Il punto dirimente, dell’assedio a cui il mondo del petrolio è soggetto, è la sua risposta al crollo degli investimenti. Un dollaro speso in meno oggi è un barile in meno disponibile domani. Da qui la prospettiva che nel giro di pochi anni si vada incontro a un pesante, e irrimediabile, deficit di offerta con prezzi che alcune banche d’affari proiettano a 150-200 dollari al barile. Dagli ormai 2 euro al litro della nostra benzina si andrebbe verso i 4 euro”.
Non si è ancora entrati nell’era della mobilità elettrica, e già si parla di idrogeno come si evince anche dal Recovery Plan. Così non si genera ancora più confusione anche nel mondo dei costruttori e tra i consumatori?
“Condivido pienamente. Il passaggio all’idrogeno comporta la costruzione di un’intera filiera industriale, lontanissima dal potersi dire anche solo avviata. Un passaggio che richiede enormi risorse finanziarie che non so quanto i privati siano disponibili a investire, a meno che non si vogliano addossare interamente allo Stato. Anche in questo caso, solo in una dimensione europea, questa prospettiva, comunque lontanissima nel tempo, potrebbe realizzarsi dopo i molti fallimento del passato”.
“Calcolare le emissioni su tutto il ciclo di vita e non limitarsi allo scarico”, reclama il presidente di Unem, Claudio Spinaci.
“Il presidente Spinaci ha perfettamente ragione: solo utilizzando metodologie corrette è possibile mettere a confronto le diverse tipologie di mobilità. E sicuramente lo è quella denominata “Life-Cycle Assessment” che, se applicata correttamente, porta a risultati diversi da quelli che si tende a propagandare”.