Pubblichiamo l’intervento di Michele Crisci, presidente di Unrae, in occasione della conferenza stampa sul tema “La visione strategica della mobilità secondo Unrae”, che si è tenuta al recente Dealer Day di Verona.

Non è un caso se abbiamo intitolato questconferenza stampa “La visione strategica della mobilità secondo Unrae”. In una fase caratterizzata dai prodromi di importanti cambiamenti è infatti opportuno ragionare con calma, provare a immaginare un “futuro voluto” scandito da scelte precise ma di carattere progressivo. Non serve ed è potenzialmente dannoso lasciarsi fascinare da parole chiave, da slogan, assumere posizioni fideistiche pro o contro le possibili soluzioni che le contingenze lasciano intravedere. Due sono state le interessanti ricerche che abbiamo voluto sviluppare con due dei più prestigiosi enti di ricerca italiani.

Lo studio del Censis

Quella del Censis ha dimostrato che l’auto mantiene (ed anzi aumenta) la sua centralità per la mobilità delle persone nel nostro Paese e che questo avviene per due fondamentali ragioni: perché siamo tutt’ora un Paese ad insediamento diffuso, con una struttura urbana complessa fatta di poche grandi realtà metropolitane e di tanti medi e piccoli centri, quindi con densità relativamente basse; – perché nelle poche aree urbane densamente popolate il TPL, tranne poche eccezioni, ha indici di gradimento tra i più bassi in Europa. Inoltre il ritardo accumulato, non è realisticamente colmabile nel breve.
In queste condizioni pensare di migliorare la mobilità urbana spostando quote significative di popolazione mobile dal mezzo privato al mezzo pubblico appare molto poco realistico. Meglio sarebbe, probabilmente, concentrare le risorse su una reale promozione dell’intermodalità da un lato, e provare a comprendere quanto di nuovo sta oggi avvenendo sul fronte della mobilità individuale per indirizzarlo verso una massimizzazione dell’utilità collettiva. A questo riguardo, il Censis ci ha ricordato che stanno profondamente e rapidamente cambiando sia il quadro dell’offerta che quello della domanda, al punto tale da fare descrivere la fase attuale con il termine “transizione”.

La trasformazione in atto

Una transizione che, se ben guidata, ci condurrà verso un modello di mobilità nuovo, più efficiente, meno impattante, più sicuro. Infatti: l’offerta di mercato, grazie alla combinazione virtuosa tra evoluzione normativa e sviluppo tecnologico, rende disponibili auto sempre più sicure e dalle emissioni sempre più contenute; la domanda dei cittadini e delle imprese, in relazione al parallelo sviluppo delle tecnologie della condivisione e ai mutamenti degli stili di vita di cui sono protagoniste soprattutto le nuove generazioni, va nella direzione di concepire l’auto sempre più come un servizio, da cui l’interesse verso le nuove modalità di fruizione improntate alla flessibilità e alla condivisione. Nella sostanza – come peraltro Unrae va sostenendo da tempo – abbiamo già oggi molte anticipazioni di un futuro prossimo in cui l’auto si caratterizzerà: per emissioni sempre più contenute (tendenti allo zero nel caso dell’auto elettrica); per standard di sicurezza sempre più avanzati (con i diversi livelli di assistenza alla guida e in prospettiva con la guida autonoma); per una capacità di “dialogo” con l’esterno sempre più evoluta grazie a una connettività spinta; per un superamento del legame tra proprietà e utilizzo grazie allo sviluppo sia di forme di accesso non proprietario che dell’utilizzo in condivisione.

Lo studio del Cnr

La ricerca del Cnr ha fatto invece chiarezza sul reale impatto delle differenti tipologie di motorizzazioni attualmente disponibili, in particolar modo per quanto concerne i motori diesel. Oggi molti amministratori pubblici parlano degli scenari futuri della mobilità privata, interpretando il loro ruolo nella definizione di “date obiettivo” per la messa al bando “tout court” dei motori diesel dalle loro città o da perimetri definiti. Le analisi condotte ci inducono a sottolineare l’esigenza fondamentale, in questa fase di transizione, di non assumere provvedimenti dogmatici o ideologici finendo per demonizzare motorizzazioni che sono tra le più evolute tra quelle a disposizione come è certamente la seconda generazione dei diesel Euro 6.

Il vero nemico è la demagogia

Una improvvisa messa al bando di tali motori ad elevata efficienza andrebbe solamente a nuocere alla mobilità con effetti di poco conto in termini di salute pubblica: da un lato creando problemi non indifferenti ai tanti utenti che hanno legittimamente acquistato un auto diesel di nuova generazione; dall’altro generando spaesamento in tutti coloro che si trovano oggi nella condizione di dover sostituire un’auto senza disporre di necessarie certezze sul piano regolativo, tecnologico e infrastrutturale.

L’automotive è vitale per il Paese

Oltre a quanto riportato dalle due ricerche prese in esame, vorrei sottolineare le opportunità che si potrebbero dispiegare per il settore produttivo del Paese. La filiera dell’automotive è tra le più ricche e variegate ed è composta da chi produce autoveicoli entro il territorio italiano, dalla rete di distribuzione e assistenza delle Case automobilistiche estere, alla miriade di piccole imprese manifatturiere che supportano con la componentistica sia le Case produttrici che direttamente il consumatore finale. Un aggregato che ha fatturato in Italia nel 2016, secondo la più recente stima disponibile, circa 165 miliardi di euro, equivalenti a poco meno del 10% del Pil nazionale. Le opportunità legate ai nuovi possibili scenari saranno tante e molto positive: riguarderanno certamente la sicurezza stradale (e quindi l’abbattimento dell’incidentalità), la qualità dell’aria, la vivibilità degli spazi urbani. Ma si ridurrà anche la fatica quotidiana di dover progettare volta per volta i propri spostamenti in un orizzonte di incertezza e preoccupazione. Una volta definita l’esigenza di spostamento si sceglierà con maggiori gradi di libertà in un range di possibilità dai confini più ampi e maggiormente definiti.

Più concretezza e meno parole

Noi di UNRAE siamo ben lieti che le opportunità in essere sul fronte tecnologico stimolino e innalzino le ambizioni di chi deve garantire la mobilità urbana e la salute dei cittadini. I costruttori sono pronti ad affrontare l’evoluzione della mobilità. Ma vi è preoccupazione che l’enunciazione di grandi obiettivi per il futuro non sia seguita da programmazione, provvedimenti e azioni concrete che ne consentano l’effettivo raggiungimento. Nonostante il ritardo accumulato, siamo convinti che sia ancora possibile per il nostro Paese (anche se non per molto) affrontare – da una posizione che permetta di gestirne gli effetti – le grandi trasformazioni che toccheranno la mobilità individuale con il nuovo ciclo dell’auto. Solo in un arco temporale più ampio, si potrà avere un pieno dispiegamento delle opportunità legate al nuovo scenario.
È per questo che siamo qui oggi a ribadire, con ancora più forza, che questo processo non può basarsi sullo spontaneismo, ma va accompagnato e che quindi vi è la necessità di stilare e mettere in atto una “Agenda della transizione”: una road map che tenga conto del Paese reale e che sia da guida per gestire il cambiamento. In questa logica secondo la nostra associazione è necessario immaginare un percorso graduale, per tappe serrate e coerenti, all’interno di una visione strategica chiara e integrata.

Le nostre proposte

Rinnovare il parco circolante. Il primo step riguarda l’obiettivo di promuovere un significativo ingiovanimento del nostro parco circolante, che è uno dei più vecchi d’Europa e quindi dei più inquinanti. Oggi assistiamo a una divaricazione nel corpo sociale: da un lato esiste un segmento di domanda che può permettersi di cambiare auto frequentemente guidando mezzi tecnologicamente aggiornati; all’opposto una platea che, non disponendo di risorse economiche adeguate, si rivolge prevalentemente ad un mercato dell’usato fatto in gran parte di vetture obsolete, che peraltro a livello locale vengono fatte oggetto di provvedimenti di limitazione della circolazione. È evidente che senza un meccanismo incentivante mirato alle 5 fasce sociali medio-basse, il rischio è di non riuscire a smaltire (se non in tempi molto lunghi, stimabili in 20 anni) il parco realmente inquinante. Tramite meccanismi che facilitino un mercato dell’usato virtuoso, si può immaginare – in un arco di tempo relativamente breve (3-4 anni) – di ridurre in misura significativa l’età media del parco auto nazionale eliminando il segmento più vecchio, inquinante ed insicuro: 7,6 milioni di auto ante Euro 3, vetture con oltre 17 anni di età.

La leva fiscale

In questa logica si può pensare alla detraibilità dei costi di acquisto per chi compra un’auto recente, a basse emissioni, rottamandone una vecchia (ante Euro 3), con l’estensione della detraibilità anche all’acquisto di un usato in classe Euro 5 o Euro 6, nonché a misure che tendano a ridurre l’impatto fiscale che oggi grava in maniera significativa sugli automobilisti. Penso per esempio a una revisione del regime del bollo dell’IPT e a una eliminazione del superbollo, certamente partendo dalle vetture più recenti e meno inquinanti (come ad esempio le ibride plug-in).

Dove investire

Investire su infrastrutturazione e smart road. Un secondo passaggio, parallelo al primo ma che richiede un impegno su un arco temporale intermedio (di 5-6 anni), riguarda l’obiettivo di attrezzare e preparare il Paese a recepire le nuove tecnologie. Questo significa, in un’ottica di neutralità tecnologica, realizzare investimenti in infrastrutture sia sul versante elettrico (colonnine) che su quello degli altri carburanti alternativi (ad esempio, il gas nelle sue diverse accezioni e l’idrogeno) in adempimento a quanto previsto dal Pnire (Piano Nazionale Infrastrutturale per la Ricarica dei veicoli alimentati ad energia Elettrica) e dalla DAFI: due provvedimenti in vigore molto importanti per i quali manca ancora una efficace ed incisiva attuazione. Peraltro in questo lasso di tempo saranno pienamente visibili gli effetti dei piani di produzione delle Case automobilistiche relativamente al lancio di nuovi modelli di auto elettriche. È quindi fondamentale e urgente, nel frattempo, accelerare su questo fronte realizzando una rete efficiente di punti di ricarica da rendere via via più capillare. Tanti sarebbero gli effetti penalizzanti di una infrastrutturazione ritardata e carente, non ultimo quelli sul versante dell’appeal turistico internazionale: gli stranieri che oggi raggiungono l’Italia con la propria auto, viaggiando in un prossimo futuro in 6 elettrico si vedrebbero scoraggiati a tornare nel Belpaese a causa della difficoltà di ricarica del proprio mezzo.
Non da ultimo occorrerà promuovere la diffusione delle buone pratiche tecnologiche nel processo di trasformazione digitale della rete stradale nazionale, nonché autorizzare la sperimentazione su strada delle soluzioni smart road e di guida connessa e automatica, così come previsto dal Decreto del ministero delle Infrastrutture e Trasporti approvato recentemente e che speriamo possa essere reso presto operativo.

Occorre maggiore consapevolezza

Istituire una Cabina di regia della mobilità che accompagni la transizione. Le misure di limitazione della mobilità privata sono state applicate dalle singole amministrazioni in modo difforme sul territorio nazionale con conseguenti disparità di trattamento: il quadro complessivo risulta, infatti, piuttosto disomogeneo e confuso. Le misure adottate restano spesso di natura emergenziale e locale, e riguardano in sostanza interventi temporanei di limitazione dell’uso dell’auto, come i blocchi del traffico o la circolazione a targhe alterne. Si tratta d’interventi che, anche quando pianificati con anticipo, non possono certamente costituire un valido strumento risolutivo a lungo termine. Infatti, l’efficacia di tali misure è manifestamente limitata nel tempo e nello spazio, specialmente se attuate in giornate non lavorative in cui comunque il livello della circolazione non è paragonabile ai giorni feriali. L’esito è una disomogeneità delle misure con grave nocumento per cittadini e imprese. La disorganicità decisionale tra i due livelli (europeo/locale) è tanto più incomprensibile perché dal monitoraggio, in alcuni casi, emerge financo il blocco alla circolazione dei veicoli Diesel Euro 6 (Roma unica città), la cui incidenza sulla produzione complessiva di Pm è trascurabile ed è impercettibile il vantaggio ambientale escludendoli dalla circolazione (a Roma, meno del 4% del totale circolante).
Riteniamo quindi una esigenza indifferibile, l’istituzione di un tavolo di lavoro permanente, istituzionalmente previsto, sul tema della mobilità sostenibile e delle connessioni che vi sono tra il traffico veicolare e il problema ambientale, al fine di indirizzare in maniera uniforme le scelte delle amministrazioni, programmandone gli strumenti e le azioni. Una sorta di Cabina di regia composta da rappresentanti delle Istituzioni nazionali e locali competenti, nonché delle associazioni di categoria interessate, che possa garantire la mobilità individuale dei cittadini monitorando in maniera uniforme le problematiche correlate ai fenomeni dell’inquinamento ambientale e dell’incidentalità stradale e coordinando i necessari interventi.

Più conoscenza della realtà

Unrae porterà all’attenzione di tutti gli stakeholder le ricerche discusse. Con le Istituzioni Nazionali, quando saranno definite, e con le Istituzioni Locali organizzerà un piano di visite a rotazione tra i principali comuni italiani con l’obiettivo di sensibilizzare i Decisori nazionali e locali nella realizzazione di un’Agenda della transizione. L’obiettivo che Unrae intende raggiungere è quello di garantire a tutti i cittadini una mobilità sostenibile economicamente e verso l’ambiente, ad impatto tendenzialmente nullo, in linea con quanto previsto dalle convenzioni internazionali e nell’ottica della neutralità tecnologica.

di Michele Crisci, Presidente di Unrae

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