Investimenti ESG: mobilità elettrica, occhio alla “S”  

di Nesche Yazgan, Senior Corporate Analyst, BlueBay Asset Management

Quando si parla dei criteri ESG nel settore automotive, ci si concentra spesso sul fattore ambientale (E), legato al contenimento dell’impatto dell’industria sul cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni di carbonio. Viceversa, spesso viene prestata meno attenzione alle conseguenze che la transizione verso una mobilità più sostenibile potrebbe avere a livello sociale, cioè nell’ambito della componente S dei criteri ESG. Le tre componenti hanno pari rilevanza, e per questo è importante essere consapevoli di come possono influenzarsi reciprocamente.

Negli ultimi anni i politici hanno potuto evitare conflitti tra E e S, dal momento che l’industria ha beneficiato di condizioni macroeconomiche favorevoli e ha generato profitti consistenti con cui ha potuto finanziare i costi della transizione dai veicoli che utilizzano motori a combustione interna (MCI) a quelli elettrici.

Tuttavia, il ciclo aveva già iniziato a deteriorarsi prima dello scoppio della pandemia e ora ci troviamo in piena recessione, un contesto che mette particolarmente in difficoltà le società automotive. Storicamente, i licenziamenti hanno rappresentato una pratica comune per queste società nello sforzo di tagliare i costi e oggi anche questo potrebbe non bastare.

Un caso studio interessante da analizzare in questo senso è la Germania, data l’importanza dell’industria automotive per l’economia tedesca. Il settore infatti è il principale datore di lavoro del Paese e uno dei più longevi, quindi dal suo futuro dipendono non solo centinaia di migliaia di lavoratori, ma anche un numero altrettanto ampio di pensionati.

Il Governo tedesco vuole chiaramente spingere le persone a comprare automobili ‘green’, ma i consumatori si mostrano ancora refrattari per varie ragioni, tra cui la distanza percorribile e la convenienza del diesel. Di conseguenza, i veicoli elettrici rappresentano solo il 4% di quelli venduti nel Paese. Se da un lato questa percentuale è in aumento e vi sono numerosi incentivi, dall’altro ciò non è neanche lontanamente sufficiente per rendere i veicoli elettrici profittevoli per i produttori e per avere un impatto positivo sui loro bilanci.

Allo stesso tempo, la mancanza di incentivi per i veicoli MCI e i disincentivi per i veicoli diesel, che storicamente hanno rappresentato una cosiddetta !cash cow” per i produttori, ne hanno scoraggiato gli acquisti. Ciò è in netto contrasto con quanto avvenuto dopo la crisi del 2008, quando gli incentivi del Governo avevano aiutato l’industria ad evitare licenziamenti di massa.

Negli ultimi 5 anni molte società automotive tedesche hanno incrementato significativamente i propri investimenti in nuove tecnologie. Ciò è stato reso possibile dai buoni livelli di profittabilità di cui hanno goduto. Ma cosa succederà ora che i profitti sono in calo e il Governo sta attivamente scoraggiando i consumatori a comprare le automobili più remunerative per i produttori? Queste circostanze stanno mettendo le società in una situazione in cui avranno un’unica scelta, vale a dire una ristrutturazione radicale.

C’è un altro aspetto da considerare. Mediamente, un veicolo MCI è composto da circa 2.600 parti, mentre un veicolo elettrico a batteria ha solo 400 componenti. Una semplice analisi “top down” mostra che una tale diminuzione del numero di componenti essenziali si traduce in un restringimento della supply chain e di conseguenza in un significativo calo dei posti di lavoro da essa supportati. Inoltre, data la natura meno complessa dei componenti necessari per i veicoli elettrici, la maggior parte di essi può essere prodotta internamente, eliminando la necessità di coinvolgere fornitori esterni. Molti di questi fornitori, che perderebbero così il proprio business, si trovano a loro volta in Germania.

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