Stefano Domenicali accanto al Super Suv Urus
Intervista a Stefano Domenicali, chairman e ad di Lamborghini
di Pierluigi Bonora
Eccolo l’Urus, il Super Suv di Automobili Lamborghini. Facciamo la sua conoscenza sia all’inizio della fase di montaggio sia quando, ormai completo, viene avviato ai vari test. Urus ha una fabbrica tutta per sé, costruita a tempo di record all’interno del polo Lamborghini. Grazie al Super Suv, 400 persone (e presto altre 200) hanno coronato il sogno della vita: entrare a far parte del team guidato da Stefano Domenicali. L’investimento è di tutto rispetto (si parla di un miliardino sul ciclo di vita della vettura) e le ricadute sul territorio, all’interno della Motor Valley, importanti. Tutto ruota attorno al concetto di industria 4.0: ci sono 23 stazioni e diversi robot «collaborativi» il cui scopo è quello di rendere più agevole il lavoro dell’operatore. Macchina e uomo fianco a fianco, dunque. Perché è proprio l’uomo al centro del progetto Lamborghini del chairman e ad Domenicali. Lo incontriamo, camicia bianca e maniche tirate sù, poco dopo aver salutato i lavoratori in vista delle ferie. «Rientrate in azienda più motivati che mai», la chiosa dell’ad che ha fatto appendere un po’ dappertutto, tra le immagini delle supercar, le gigantografie dei «suoi» operai, come per ribadirne la centralità e l’abilità artigianale. Le nuove sfide sono alle porte: prima fra tutte il lancio mondiale del Super Suv, Urus, il 4 dicembre, con Sant’Agata Bolognese al centro del grande evento.
«Sono mesi intensi – spiega il manager di Imola -: abbiano una linea di montaggio nuovissima e dotata di tecnologie innovative: dovrà sfornare un prodotto diverso. Ma il risultato sarà una Lamborghini in tutto e per tutto, anche se di un segmento differente. E lo sarà per il Dna che porta, l’unicità e la potenza a seconda del suo utilizzo. Urus è il frutto di un accordo con Governo, Regione e territorio al quale abbiamo garantito 600 posti di lavoro. Devo ringraziare i nostri azionisti di Audi perché credono in noi e ci supportano».
E dopo l’Urus? Quali novità ha in serbo nell’impianto che sforna le supercar Aventador e Huracán?
«Facciamo passare 3-5 anni per portare alla stabilizzazione l’Urus e, nel frattempo, penseremo al nuovo modello. Dobbiamo dare consistenza alla crescita. Fino a pochi anni fa sembrava impossibile poter produrre più di 7.000 auto. E per arrivare a questi numeri è necessario un enorme sforzo sia per quanto riguarda la rete di vendita e assistenza sia per far capire ai clienti il cambiamento in atto».
Il polo Lamborghini, nuova palazzina degli uffici inclusa, è stato realizzato pensando alla eco-sostenibilità.
«La nostra palazzina uffici ha conseguito la certificazione LEED Platinum. La responsabilità sociale è importante».
Le sinergie con l’Audi e il contributo dell’indotto italiano.
«Con l’Audi le sinergie sono fondamentali, si ragiona in una logica di gruppo con grandi potenzialità e con autonomia. Sui nostri prodotti, la rete dei fornitori in Italia contribuisce in media per un buon 40%, che sale a circa il 50% per Aventador».
Stefano Domenicali, qui a Sant’Agata Bolognese, e Claudio Domenicali, a capo della Ducati, a Borgo Panigale, a solo 30 minuti di macchina. Che cosa si dice sulla possibile vendita della Ducati da parte di Audi?
«Non posso commentare. C’è comunque un approccio costruttivo».
Intanto, l’auto tedesca è nell’occhio del ciclone, tra Dieselgate, accuse di fare «cartello» e altri scandali. Preoccupati?
«Quanto accade è da considerare una spinta a essere protagonisti del nostro destino. Il nostro modo di fare, in questa fase storica, rappresenta uno stimolo a essere ancora più concentrati sul lavoro. E di non essere un problema per la capogruppo, grazie alla nostra autonomia e profittabilità. In Audi sanno che di noi si possono fidare».
Immagina una Lamborghini elettrica?
«Il megatrend dell’elettrico è sulla bocca di tutti. Ma vedo buttare la palla molto avanti. Pensare realisticamente che tra 10-15 anni ci sarà la fine dei motori termici è esagerato. Nessuno, poi, parla del problema delle materie prime necessarie per le batterie. Produrre oggi automobili elettriche e fare profitti? Ce n’è di strada da fare. Nelle super sportive non vedo un trend immediato. Non immagino, oggi, una Aventador elettrica. Magari potrà succedere dopo il 2030. Il passaggio vero per noi, invece, si chiama ibrido».
E se Lamborghini venisse quotata? Gli analisti ci hanno ricamato sopra.
«Non sono l’azionista e non sta a me commentare. Dico solo che il valore dell’attuale capitalizzazione della nostra azienda è significativo. Al gruppo le decisioni che ritiene più opportune»
Come evolvono i vostri mercati di riferimento?
«In testa ci sono sempre gli Usa: valgono il 30%. Segue il Giappone, per noi un mondo unico e straordinario. Quindi, Regno Unito, Germania, Cina e Middle East. Positivi anche il Canada e l’Australia. Quest’anno chiuderemo con un altro record dopo le 2.091 vendite nel primo semestre (+4%). Ovviamente in attesa del Super Suv che farà raddoppiare le consegne nel 2019».
In Italia le supercar sono ancora malviste.
«Il mercato italiano, ma anche altri nell’Ue, vedono queste auto con scetticismo, come l’ostentazione di un lusso. Ci aspettiamo che un forte brand come Lamborghini possa contribuire a cambiare questa tendenza».
Anche la Ferrari, dove lei ha lavorato come capo del team di F1, sta pensando a un veicolo diverso, che però non vuole chiamare Suv.
«Dico: mai dire mai…».
Funziona la Motor Valley?
«Il nostro museo, qui all’interno dell’azienda, va bene Abbiamo tantissimi visitatori. È giusto valorizzare questo territorio. E lo facciamo anche a livello universitario, con Bologna, Modena e le altre province emiliane per formare le professionalità dell’automotive di domani. Ci troviamo in un’area di grande fermento e crescita, e il rischio è di non avere le risorse sufficienti in alcune fasce professionali».
Sembra sia in corso una ricucitura dei rapporti con la famiglia Lamborghini. Lei ha voluto far affiggere all’ingresso della fabbrica un enorme cartello che riporta questa storica frase di Ferruccio Lamborghini, il fondatore: «Questo è stato il momento in cui ho deciso di creare un’auto perfetta».
«Nel 1973 la famiglia Lamborghini uscì da qualsiasi tipo di partecipazione e attività. Le radici, però, non devono essere dimenticate. C’è la volontà di trovare una quadra affinché non ci sia più confusione tra i marchi in giro per il mondo. Tonino Lamborghini è venuto più volte a trovarci. È un bel segnale. Mai dire mai».
E una pista tutta vostra?
«È nel piano strategico che voglio portare avanti. Insieme a un museo adeguato a questa azienda».