L’ex ministro dell’Ambiente, Corrado Clini
Intervista all’ex ministro Clini: “L’Ue ha sprecato 10 anni sull’auto verde”
di Pierluigi Bonora
«Ho sempre sottolineato l’esigenza, anche in Europa, di accertare su strada, e non solo in laboratorio, le performance dei veicoli. Il Dieselgate ha fatto saltare la strategia europea che per 20 anni ha puntato tutto sui motori Diesel con motivazioni ambientali con non hanno retto la verifica su strada delle emissioni». Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente e ora docente di Scienze ambientali a Pechino, rivela al Giornale una serie di retroscena che hanno portato l’Europa ad «accettare» che le vetture, grazie ai test di omologazione sui rulli, venissero messe sul mercato con emissioni abbondantemente superiori rispetto a quelle reali. Il nuovo regolamento, che rende obbligatori i test su strada e in vigore dall’1 settembre, secondo Clini «determinerà il cambiamento dello scenario, costringendo i costruttori a prendere decisioni drastiche nel futuro prossimo per restare competitivi». La strada porta ai motori ibridi ed elettrici: chi ha giocato d’anticipo adesso è avvantaggiato, altri hanno accelerato investimenti già in corso e altri ancora (Fca) hanno capito che è tempo di svoltare. Intanto, dopo Francia e Regno Unito, anche la Cina, per voce del viceministro dell’Industria, si prepara a bandire dal 2040 le auto con motori tradizionali.
Professore, dunque aveva visto giusto.
«Ho sempre ricordato, in fase di negoziazione del regolamento Ue nel 2006, che sarebbe stato un grave errore inventarsi una procedura diversa da quella di Usa e Giappone. Per tutta risposta mi hanno sempre accusato di essere filo-americano».
Intanto i test in laboratorio hanno dettato legge per tanti anni.
«Nel 2006 l’Ue disse di voler abbattere le emissioni di CO2 dei motori insieme a quelle degli inquinanti: particolato e ossidi di azoto. Considerati i limiti stringenti fissati, i motori ibridi rappresentavano l’unica tecnologia già allora disponibile per ridurre i consumi (CO2) e gli inquinanti. Ma visto che l’industria europea, e quella tedesca in particolare, avevano puntato sul Diesel, fu approvato nel 2007 un regolamento che permetteva il rispetto formale dei limiti tramite prove di omologazione in laboratorio che, di fatto, non corrispondono a quelle su strada. Insomma, un trucco».
E adesso?
«L’Ue è arrivata alla meta con 10 anni di ritardo colpevole. Si è perso tempo prezioso. I costruttori sono così costretti a realizzare piani di riconversione, in direzione dell’ibrido e dell’elettrico. Le industrie tedesche, da Vw a Bmw, la “cinese” Volvo, Renault, e le “indiane” Jaguar e Land Rover hanno già avviato programmi di questo tipo. O li stanno rafforzando, come fanno le lungimiranti Toyota e Nissan».
Angela Merkel ha posto in primo piano la salvaguardia, in Germania, di 800mila posti di lavoro legati all’auto.
«Giusto. Ma la riconversione dei cicli produttivi apre anche nuovi scenari legati all’automazione. La riconversione di Volkswagen, a esempio, dovrà assicurare efficienza competitiva con il principale concorrente nel mercato delle auto ibride. Oggi ogni addetto di Vw produce 18 auto, contro le 30 alla Toyota».
Fca si prepara a dire la sua sul tema “elettrificazione“.
«A Torino hanno perso grandi occasioni. Alla fine degli anni ’90, con fondi pubblici italiani, Fiat realizzò la prima flotta di Multiple con motore ibrido, modelli molto più efficienti di una Toyota Prius. Ma Torino abbandonò il progetto, considerando questi veicoli fuori dal mercato. Eppure la legge italiana, a quei tempi, aveva previsto un contributo del 60% a favore di chi avesse acquistato una vettura ibrida».
L’avversità del Lingotto ora sembra sia finita.
«Aggiungo che nel 2012, dopo che con il governo cinese si era giunti a un accordo che prevedeva una collaborazione tecnologica per produrre auto elettriche in quel Paese, mi trovai di fronte al rifiuto di Fiat. Il gruppo preferì costruire una fabbrica, a Changsha, con Gac. Per loro l’auto elettrica era un imbroglio ambientale perché beneficiava dell’energia prodotta dal carbone. In parte è vero, ma era già in atto la grande svolta energetica della Cina, che negli ultimi anni ha realizzato un’imponente rete di colonnine per la ricarica delle auto elettriche alimentate da fonti rinnovabili. Non è stata una scelta lungimirante quella di Fca».