Incubo Covid-19: riflessione sulla logistica
di Tito Zavanella, Senior Partner e Managing Director di di GEA
Del settore della Logistica e del Trasporto si è parlato durante l’emergenza coronavirus solo marginalmente. E certamente molto poco da un punto di vista umano, non citando abbastanza coloro che – pur nell’emergenza – sono dovuti restare a lavorare nei magazzini o a bordo di un camion per consegnare delle merci, a rischio di contagio. Non si parla di eroi, come medici o infermieri, ma di persone comunque meritevoli di un ringraziamento corale da parte di tutti noi concittadini.
Fatta questa doverosa premessa, dobbiamo riflettere su cosa ha funzionato bene e cosa meno nella Logistica del nostro Paese, per uscirne tutti più consapevoli e preparati per affrontare il dopo, chiedendoci: “Cosa è mancato durante l’Emergenza Covid-19 che se ci fosse stato sarebbe stato meglio” e anche “cosa nelle comuni prassi è servito a poco e sarebbe bene non ci fosse in futuro”. Perché tutti noi abbiamo ormai capito da questa Emergenza, che i pericoli più grandi che dovremo affrontare in un prossimo futuro non saranno più solo i conflitti nucleari o le migrazioni di popoli dalle regioni del mondo più povere, bensì il rischio contagio da virus ignoti, causa di un Pianeta sempre più affollato, interconnesso e deforestato, che rende difficili le separazioni e le segregazioni tra Popoli e tra mondo umano e animale (da cui questo Covid-19 sembra arrivare).
Una prima risposta alla prima domanda riguarda la mancanza di un impianto normativo adeguato a fare fronte al distanziamento sociale, al lockdown di intere aree o alla chiusura delle frontiere tra Paesi della Ue, che ha fortemente compromesso gli scambi delle merci e l’esecuzione del servizio Logistico anche per i prodotti di prima necessità. Norme sulle quali si dovrà cominciare a ragionare e lavorare nell’immediato futuro, prima a livello di istituzioni internazionali e nazionali e poi di comunità logistica in senso stretto.
Si dovrà poi, in stretta successione, pensare anche a nuove prassi digitali, operative o ad attrezzature da utilizzarsi a bordo camion o nei luoghi di consegna, per evitare le interazioni e rendere più sicure le operazioni di carico/scarico. Nuovi modelli operativi per le grandi città Una seconda considerazione riguarda tutto il dibattito speso in passato sulla City Logistics, che ha portato a poco più che sporadiche sperimentazioni in qualche città nordeuropea e anche in Italia (Padova, se non ricordo male era una di queste).
Il concetto era chiaro: se si identifica un solo soggetto a cui affidare tutte le consegne in città, si riduce il numero di mezzi in circolazione, diventa più facile sviluppare una conoscenza approfondita del territorio e mettere a punto modelli evoluti di consegna (non presidiata e con accesso autorizzato, sfruttando corsie preferenziali o utilizzando mezzi pubblici adibiti per persone ed anche merci) e si ha anche, come contropartita, un minore impatto per la collettività (meno traffico, meno incidenti, più qualità dell’aria che respiriamo). Tutto ciò non ha preso piede, perché nel saldo tra costi emergenti e costi cessanti non si è mai messa in conto la salute del cittadino. Ora che con l’Emergenza la tutela della salute del cittadino è diventata una priorità assoluta, se avessimo avuto queste soluzioni in campo, avremmo di certo ricevuto un servizio di consegna più affidabile e accessibile di quanto si è potuto ottenere nell’Emergenza.
La terza considerazione, sempre al primo quesito, è di più ampio respiro e riguarda come si sono modificate e sviluppate le filiere di rifornimento negli ultimi 10-15 anni, allungandosi fortemente nella direzione dei Paesi del Far East, guidate dalla delocalizzazione. La (principale) ricerca del minore costo ha favorito queste scelte e solo recentemente, e per settori non certo di prima necessità o strategici (come il fashion per esempio), si è assistito ad un graduale dietro front, con il re-shoring. Se avessimo avuto in questa Emergenza fonti di approvvigionamento più vicine o addirittura in territorio nazionale (per materie prime, semilavorati o anche prodotti finiti) tutto sarebbe andato certamente meglio, soprattutto per tutte quelle industrie di molteplici settori industriali che, loro malgrado, hanno dovuto continuare a produrre in questo periodo di lock-down del Paese.
Per l’immediato futuro credo si debba aggiungere a una valutazione di economicità – quanto mai necessaria e pertinente – anche una valutazione sui possibili rischi collegati a una interruzione delle forniture, rilocalizzando e ridondando opportunamente le fonti di approvvigionamento potenzialmente più critiche o strategiche per il nostro Paese e la nostra vista quotidiana.
Tra le prime cose che sono invece servite poco o nulla in questo periodo di Emergenza, c’è stato sicuramente il servizio Prime a cui tutti noi ci eravamo ormai abituati (meglio assuefatti), lanciato da Amazon qualche anno addietro e diventato uno standard anche per aziende che non distribuiscono né prodotti di prima necessità né tanto meno prodotti freschi e come tali non chiamate a offrire un servizio super veloce.
Ciò che si è rivelata fondamentale invece – e lo è ancora in questi giorni di Emergenza – è la certezza che una consegna avvenisse, più che la sua rapidità. E gli esperti della materia sanno bene che nella Logistica anche una sola mezza giornata guadagnata sulla tabella di marcia è denaro certo risparmiato, perché si possono organizzare meglio le attività in magazzino, distribuire meglio i carichi di lavoro ed anche il trasporto ne beneficia, con giri di consegna più saturi e più razionali nelle percorrenze. Mi auguro pertanto che in futuro si guardi con maggiore rigore al servizio che realmente serve al cliente e non a quello che contribuisce solo a sprecare più risorse del necessario, economiche, sociali ed ambientali.
Una ultima riflessione – sempre in relazione a ciò che è servito poco o nulla in questa Emergenza – merita quella complessità derivante dalla numerosità di prodotti ed articoli gestiti con la quale ogni azienda è oramai abituata da tempo a convivere, soprattutto in alcuni settori del largo consumo. Un fattore questo che, combinato con la propensione al servizio di consegna rapido, limita fortemente le opzioni agibili a livello logistico e l’economicità delle operazioni, obbligando ad avamposti di prodotto, ridondanti e costosi ed a modelli di gestione dei flussi – di movimentazione e trasporto – spesso poco razionali e inefficienti.
Ogni emergenza – e questa di certo ha la E maiuscola – pone l’accento sul necessario e meno sul superfluo, è evidente. Ma è anche vero che tra lo stretto necessario ed il superfluo c’è un ampissimo spazio di azione e di manovra nel quale ogni azienda, grande o piccola, nel dopo crisi, dovrebbe ricercare nuove configurazioni, più radicali rispetto al passato, ma pur sempre adeguate dal punto di vista della risposta commerciale e di marketing al proprio mercato di riferimento.
Ricapitolando:
1. Si deve lavorare affinché le carenze normative emerse durante l’Emergenza – sia a livello nazionale sia internazionale – siano velocemente sanate e operare poi di conseguenza, dotando le strutture di consegna e i luoghi di scarico di soluzioni, dispositivi ed apparati idonei, a tutela del servizio e della salute di tutti gli operatori coinvolti.
2. Ha senso (ri)avviare una riflessione sulla Logistica nelle grandi città, sotto nuove premesse e con operatori del settore ed Istituzioni locali posti attorno ad un tavolo comune di lavoro; ci sono grandi opportunità oggi non colte per rendere la gestione dei flussi nei grandi centri urbani più razionale, più efficace e più a tutela della salute del cittadino, sia in condizioni normali che tanto più di fronte a simili Emergenze.
3. Le aziende dovrebbero seriamente ripensare strategicamente alle proprie catene di fornitura, alla delocalizzazione, all’offerta di prodotti-servizi da veicolare sul proprio mercato, integrando la dimensione “rischio fornitura” nell’equazione ed eliminando tutta quella complessità inutile che condiziona così pesantemente le scelte operative, impattando (molto) sui costi e solo marginalmente sulla top-line.
Concludo con un’ultima raccomandazione; una volta usciti dalle nostre case con l’inizio della Fase 2, agiamo tutti concretamente e con vero commitment – ciascuno nel proprio campo e con i propri strumenti e forze – affinché quanto successo sia da stimolo per sperimentare nuove prassi ed approcci, abbandonando riferimenti e schemi consolidati, e poter essere così pronti a reagire con maggiore forza e resilienza ove una simile Emergenza dovesse mai ripresentarsi alle nostre porte.