Il partito anti-auto: c’è e illude l’opinione pubblica

di Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro studi Fleet & Mobility

C’è in Italia un partito anti-auto. Nulla di dichiarato, ovviamente. Roba fluida, che non fa capo a niente e a nessuno. Anche perché non ha una missione positiva. Non deve costruire. Vuole sì sostituire l’auto con altri mezzi, ma non nel senso solido, compiuto, di spostare l’efficienza e la ricchezza che l’auto esprime su uno o più altri sistemi. Se n’è parlato alla Capitale Automobile, in un’edizione solo online, in cui sono intervenuti alcuni dei più grandi concessionari del Paese, insieme ai vertici dei più importanti costruttori esteri.

Questo partito inconsapevole ha la maturità economica di un bambino che chiede il giocattolo, senza interrogarsi sul suo prezzo e sulla convenienza di quell’acquisto. Segue l’istinto. Il monopattino è cool? La macchina è démodé? Allora dai, leviamole di mezzo, che aspettiamo? Poco importa se le persone fanno 30 km al giorno, portano la borsa della palestra e poi la spesa, accompagnano dei bambini.

Tra macchine nuove e usate, assistenza, ricambi e carburanti il settore produce ricchezza per circa 120 miliardi di euro, sette punti di Pil. Ogni anno, 365 giorni e poi ricomincia. Di quei miliardi, 43 vanno a finire nelle casse dello Stato in forma di Iva e accise. Si pagano tanti stipendi con 120 miliardi. Grazie a quelle odiate macchine, centinaia di migliaia di famiglie, forse un milione, vivono e spendono.

Però le bici elettriche e i monopattini sono belli e cool, moderni. Per produrre la stessa ricchezza se ne dovrebbero vendere tanti, ma proprio tanti, nell’ordine di 240 milioni di pezzi, l’una per l’altro. Ogni anno. Più che tanti, sembrano troppi. Illudere l’opinione pubblica che stiamo cambiando forma di mobilità è una menzogna.

La verità è che qualcuno sta seminando povertà, avvelenando l’acqua che irriga quel campo da cui le persone si aspettano il proprio sostentamento, offrendo in cambio una piantina di mentuccia. È la decrescita infelice. 

A chiedere in giro, nessuno vuole la fine dell’auto e tantomeno la povertà, ma è ciò che avremo grazie a quest’ideologia a metà tra il bucolico e il salviamo-il-mondo. C’è un intero secolo a testimoniare cosa può fare un’ideologia, se solo qualcuno si prendesse la briga di ricordarcelo. Già, ma chi? Ci vorrebbe un partito pro-auto, ma questo lo vedremo prossimamente…

5 Comments

  1. Joe says:

    Il partito anti auto ha sempre albergato a sinistra. Ossia dalla stessa parte di chi ha seminato povertà come se non ci fosse un domani.
    Dire che “qualcuno” ha seminato povertà o “c’è un partito anti auto” vuol dire o essere completamente avulsi dal mondo reale oppure vuol dire essere di sinistra ma non avere il coraggio di dirlo.

  2. Guido Francesco Vicario says:

    Il partito antiAuto, antiTUTTO, anti TAV, anti ILVA, anti CHI LAVORA è un partito al governo, con posizione nominale di maggioranza, il 5*, il partito di destra ma anche della decrescita felice, delle migliaia di navigators nullafacenti, degli analfabeti, dei comici, dei dj, dei baristi napoletani azionisti della srl proprietaria di un movimento politico.
    La sinistra riformista di Renzi vuole ben altra cosa, ostacolata in ogni modo e da ogni parte.
    Come già avvenuto con i Savoia e con Mussolini, gli italiani impareranno a votare solo dopo la catastrofe.

  3. spiderbatbug says:

    Avendo vissuto in una città malamministrata dai sinistri per 45 anni, non posso che confermare la loro pervicacia nell’impedire in tutti i modi l’uso dell’auto a coloro che non sono “più uguali degli altri”, in perfetta sintonia col sistema sovietico di corsie preferenziali per la nomenklatura. Ormai posso chiamare questa persecuzione solo “genocidio degli automobilisti”.

  4. adry says:

    E’ l’ecologismo, bellezza. D’altronde se i seguaci di greta si chiamano gretini, un motivo ci sara’ pure.

  5. Luca Fal says:

    Veramente la bicicletta e altri modi di trasporto alternativi vanno fortissimi in economie molto più forti delle nostre con fabbriche di automobili importanti, come la Germania. Infatti l’industria automobilistica vive di auto nuove, che si continuano a vendere, e non dei troppi vecchi macinini che girano da noi.
    Quello che si chiede in Italia è di ridurre l’abuso dell’auto, dalla sosta in seconda fila all’eccesso di velocità, rilasciando un po’ dello spazio (a Roma tipicamente una corsia è occupata dalla sosta in seconda fila) per consentire l’uso, soprattutto urbano, di mezzi nettamente più efficienti.

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