Riceviamo e pubblichiamo dal Centro studi associazione Motus-E, a commento di un’opinione a firma di Pier Luigi del Viscovo dal titolo “Il bluff dell’elettrico”.

Il “complotto cinese” e la sindrome di “è tutta colpa dell’Europa: un approccio non ideologico alla mobilità elettrica

Oggi, per la rubrica “Paleontologia dell’automotive, il grido degli ultimi dinosauri”, ci troviamo a rispondere a un attacco diretto alla tecnologia e al mercato dei veicoli elettrici da parte di Pier Luigi del Viscovo, pubblicato sul numero de Il Giornale del 29 agosto e sul magazine online Fuorigri de ilgiornale.it. Stupisce che una persona della caratura e autorevolezza di del Viscovo possa scivolare in considerazioni così semplicistiche, costruendo un editoriale molto debole in termini di contenuti, dati e fonti a supporto.

L’autore conduce una disamina, invero piuttosto acritica, sul business dell’elettrico, affrontando temi legati al prezzo delle materie prime, al rallentamento dei piani infrastrutturali, alla lentezza delle ricariche, alla dimensione ambientale, fino a considerazioni di carattere geopolitico sulle reali motivazioni della (ineluttabile) spinta verso la mobilità elettrica. 

Vediamo più in dettaglio.

Il prezzo delle materie prime costituenti le celle delle batterie è in insostenibile aumento.

Su questo fronte è quanto mai necessaria un’analisi prospettica, che prenda in considerazione l’affacciarsi di nuovi esportatori (ad es. australiani), la standardizzazione di un mercato fino all’anno scorso poco trasparente e la vicina creazione di un sistema di prezzi correlati a un indice (non più dipendente da soli contratti di approvvigionamento a lungo termine).

Questi elementi stanno portando gli analisti a considerare un attestamento del prezzo delle commodity (litio e cobalto) verso valori non più preoccupanti. È comunque del tutto fuori luogo parlare del prezzo delle materie prime senza considerare che il costo unitario delle batterie è in trend progressivo di forte diminuzione da dieci anni a questa parte.

Altro assioma di del Viscovo che sintetizziamo: gli investimenti pubblici nelle colonnine tardano ad arrivare e, con il mercato libero, affidarsi ai privati significa pagare un prezzo più alto. Non comprendiamo del tutto la correlazione tra gli investimenti dei privati e il mercato libero dell’energia. Ad ogni modo, il modello di business in cui sono i privati a pagare l’installazione e la manutenzione delle colonnine e ad erogare i servizi di ricarica è stato deciso in sede europea attraverso la Direttiva “Dafi”, che l’Italia ha recepito nel 2016. Ciò significa che, rispetto al vecchio “modello distributore”, nel quale i distributori di energia elettrica (concessionari dello Stato in regime di monopolio legale) erano i responsabili dell’installazione delle colonnine e venivano di fatto ripagati attraverso le bollette degli italiani, oggi sono i privati a sobbarcarsi l’onere e a dover recuperare il margine per ripagare l’investimento.

La catena del valore è stata impostata in questo modo proprio per avere più concorrenza e più libertà di installazione delle colonnine per coprire capillarmente l’intero territorio.

È purtroppo vero che le infrastrutture di ricarica pubblica sono a oggi ancora poche in Italia. Per questo, alcuni attori privati (quali Enel X, ad esempio, con il suo piano nazionale di 14mila colonnine pubbliche entro il 2022) stanno investendo di tasca propria interfacciandosi con gli enti locali per l’installazione. Ci sono ancora tante azioni da intraprendere per ovviare a questi problemi (tutte coperte dai piani di attività e sviluppo di Motus-E), in termini di semplificazione delle procedure e di sostegno e formazione agli enti locali, ridefinizione del sistema tariffario e manutenzione delle colonnine esistenti.

Stentiamo anche a comprendere perché l’autore punti il mirino sul mercato libero dell’energia, che è al momento molto meno fluttuante dei prezzi dei carburanti alla pompa, e sugli investimenti pubblici, che sono stati recentemente attivati attraverso l’aggiornamento del Pnire lo scorso giugno (Piano Nazionale Infrastrutturale per la Ricarica Elettrica, 60 milioni a disposizione degli enti territoriali). Ovviamente tutti in Motus-E, e in realtà sembra sia auspicio dello stesso del Viscovo, speriamo in un maggior sostegno e in una maggiore agilità burocratica da parte degli attori coinvolti, enti statali, territoriali e privati.

Un breve cenno sulla supposta “lentezza delle ricariche”. L’autore sa sicuramente meglio di noi che dipende molto dalla potenza dei punti di ricarica che si utilizzano e dalla potenza con cui il mezzo è in grado di ricaricarsi. Dire aprioristicamente che i tempi di ricarica sono in assoluto lenti sembra un po’ troppo semplicistico. Oggi con un punto di ricarica da 22 kW (le cosiddette colonnine “quick”) il tempo di ricarica (sempre a seconda del modello di auto) per l’80% della capacità si attesta fra 1 e 2 ore, ciò partendo dalla constatazione che le auto rimangono parcheggiate per la stragrande maggioranza della propria vita utile. Per un uso continuativo si utilizzano le cosiddette ricariche “fast” (50 kW) per ricaricare le batterie in minor tempo (15-20 minuti) e si stanno comunque sviluppando delle alternative come le ricariche HPC (“High Power Charging” a 350 kW), con infrastrutture in grado di ricaricare con tempistiche paragonabili a quelle di una pompa di benzina.

Altro argomento: la presunta “decadenza” dei benefici ambientali della mobilità elettrica. Viviamo in un Paese che, a giugno del 2018, ha prodotto il 49% del suo fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. Riteniamo corretto che sia applicato un approccio “Lca” (Life Cycle Assessment) sulle emissioni di CO2 dell’intero ciclo vita dei veicoli. Oggi i dati del confronto tra motorizzazioni termiche ed elettriche sulla CO2 per tutto il ciclo di vita dell’auto in Italia è senza dubbio impietoso, come certificato da istituti autorevoli come il Joint Research Center. Troviamo poi curioso che il professor del Viscovo abbia ignorato invece i vantaggi sostanziali delle auto a batteria sugli inquinanti locali. Per tali inquinanti, molto pericolosi per la salute, non c’è partita: la auto elettriche non li generano.

Per quanto riguarda il tema dello smaltimento delle batterie al litio, si stanno facendo passi da gigante nel trattamento dei pacchi batterie a fine vita (ne sono una dimostrazione i progetti già avviati da Cobat per il recupero delle materie prime essenziali, a costi concorrenziali rispetto alla produzione da fonte mineraria). Inoltre, molti progetti si stanno già sviluppando (Nissan e Hyundai in primis) per dare una seconda vita alle batterie delle auto (che mantengono mediamente una carica residua dopo 10 anni di circa l’80%) alla fine del loro regime di utilizzo, per creare, ad esempio, degli accumuli in grado di massimizzare la produzione da rinnovabili. Se non è sostenibilità questa!

Dulcis in fundo, l’analisi geopolitica condotta da del Viscovo sui motivi che stanno alla base della spinta verso il vettore elettrico: dietro la transizione, infatti, ci sarebbero la tecnologia cinese e la Commissione europea che ha abbassato in maniera determinante i limiti delle emissioni.

Non vogliamo affrontare argomenti così complessi in poche righe, ci limitiamo a ricordare che gli ostacoli e l’opposizione di tanti in Europa alla diffusione della mobilità elettrica portano 21 miliardi di euro di investimenti delle aziende costruttrici europee di auto in Cina contro i 3,2 in Europa, come a dire che le opportunità di mercato, non tanto le tecnologie, guidano gli investimenti. In questo settore c’è comunque ampio spazio per le industrie europee e italiane, così come ci sarebbe ampio spazio per l’industria dei componenti meccanici ed elettronici nostrana, se ci fosse la volontà di investimenti mirati del comparto.

Capitolo Europa. Non possiamo che dirci soddisfatti della presa di coscienza delle Istituzioni europee sulla lotta al cambiamento climatico. Le emissioni climalteranti sono una piaga che investe non solo la salute dei cittadini, ma compromette anche l’indotto di moltissimi comparti.

In conclusione, non comprendiamo davvero l’acredine dell’articolo nei confronti dei veicoli elettrici, stiamo parlando di un mercato interessantissimo che nei prossimi anni dovrà affiancare (e poi superare) quello dei veicoli termici, offrendo anche importanti opportunità di lavoro e sviluppo all’industria europea e italiana. Ciò, tuttavia, a condizione di iniziare a guardare alla tecnologia e alle sue applicazioni con rigore scientifico, giusta attitudine e puntuale programmazione.

Articoli come quello che abbiamo letto ci fanno pensare (con un sorriso fiducioso) alle parole pronunciate dall’avvocato di Henry Ford nel 1903: “l’auto è passeggera, il cavallo resterà”. Le ultime parole famose…

Centro studi associazione Motus-E 

3 Comments

  1. lucamax says:

    Lei scrive di elettrico ma non ne capisce nulla , ad esempio cita la ricarica all’80% in 1 o 2 ore , suggerendo che all’80% la ricarica ormai è fatta, nulla di più sbagliato perché la batteria non si carica in modo lineare, specie se la celle devono essere bilanciate coem tensione, quindi fino all’80% può metterci un tempo e poi dall’80 al 100% ce ne può mettere molto di più.

    Il punto è che l’infrastruttura di ricarica perché la dovremo pagare noi tutti quando fa comodo solo alla lobby elettrica ?

    L’inquinamento con l’elettrico è solo DELOCALIZZATO , punto, non è che scompare.

    L’elettrico 100% è una BUFALA !!!

  2. giuseppe Manzi says:

    Con lo sviluppo delle auto elettriche non c’è nessun vantaggio per l’inquinamento generale da CO2. Quella che non si produce lungo il percorso dell’auto si produce nella centrale elettrica che utilizza combustibili fossili. Il vantaggio sta solo nel fatto che il luogo è diverso.Il vantaggio invece c’è solo se l’elettricità è prodotta in centrale a combustibile rinnovabie come biomasse o nucleare.

  3. MOTUS-E says:

    Salve a tutti,
    chiedo venia ma avete letto l’articolo?
    Il vantaggio c’è anche sulla CO2 anche con un mix energetico svantaggioso (cioè con centrali termiche a Carbone sopra al 40% del mix). In Italia dove il mix è decisamente più vantaggioso (http://www.mercatoelettrico.org/newsletter/20180716Newsletter.pdf) c’è un vantaggio innegabile. Sul discorso della delocalizzazione dell’inquinamento sembrate fare confusione: un conto è il discorso sulla CO2 (vedere sopra) che non si individua come un problema locale ma globale, un altro conto sono gli inquinanti locali (NOx e particolato di varie dimensioni), pericolosi direttamente per la salute dei cittadini che vivono in zone impattate. Sugli inquinanti locali non c’è confronto, i controlli e i filtri sulle centrali rispetto alle singole auto non hanno paragone e le emissioni in tal senso di centrali termiche (e ricordiamoci sempre dei mix che dicevamo) non solo sono di gran lunga minori, ma non sono per la maggior parte delle volte in zone densamente abitate). Vi invito poi a non fare confusione sul combustibile… che per definizione non è rinnovabile (né le biomasse né il nucleare). Tuttavia per le biomasse si parla di un processo a basso impatto di CO2 poiché la CO2 emessa in fase di combustione si ritiene possa essere riassorbita dalle piante utilizzate dalle centrali stesse; ma dipende molto dalla tipologia di biomasse utilizzate. Per quanto riguarda il nucleare, “il combustibile” non è rinnovabile, tuttavia si parla di basso o zero impatto di CO2 poiché è di fatto un ciclo a vapore con fluido vettore scaldato tramite reazione nucleare e non tramite combustione (e senza quindi i risultati dell’ossidazione del carbonio).
    Quindi vi consiglio di approfondire voi stessi e non mettere PUNTI alla vostra curiosità.
    Per quanto riguarda la domanda di Lucamax: nell’articolo si spiega proprio perché si è deciso di affidare ai privati l’onere dell’installazione delle infrastrutture di ricarica invece che caricarle in bolletta (modello distributore). Quindi non capisco l’intento della domanda.
    Per quanto riguarda la ricarica, Lucamax esprime un concetto corretto: i tempi di ricarica al 100% sono peculiari e molto più lunghi poiché sopra l’80% la curva di ricarica cambia (più propriamente passa a tensione costante per non inficiare la vita utile delle celle). Per tale ragione, senza dare alcun suggerimento, descriviamo le caratteristiche delle ricariche all’80% (cosa che fanno molte case costruttrici per altro).
    Spero possiate ricredervi e che il vostro pregiudizio nei confronti dell’elettrico a batteria si attenui.

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