Idrogeno: la via sostenibile alla decarbonizzazione
Non possiamo ancora, purtroppo, sperare di utilizzarlo in quei settori che contribuiscono alle emissioni di CO2 in modo evidente, quali per esempio il settore automotive – trasporto di merci su gomma – residenziale e servizi.Naturalmente è proprio sul settore automotive che la discussione è molto viva, anche in virtù dei forti interessi che gravitano intorno all’economia dell’auto. Per Pierluigi Bonora, promotore del movimento di opinione e punto di riferimento della filiera dell’auto Forumautomotive, intervistato dall’agenzia Dire, “l’idrogeno sarà il carburante green del futuro. Tuttavia, anche in questo caso non bisogna commettere l’errore di prevedere incentivi statali senza infrastrutture adeguate. Al momento in Italia l’unico distributore per l’alimentazione a idrogeno si trova a Bolzano. Bisogna, dunque, dare priorità alle infrastrutture e solo in seguito potrà avere inizio la produzione”.
Ma non è solo un problema di infrastrutture perché, come spiega bene Gianni Catalfamo, Ceo di One Wedge, azienda che propone ai gestori di flotte aziendali sistemi intelligenti di ricarica elettrica,”il punto principale è che il principio e la fine dei due cicli (quello di un motore elettrico e quello di un motore a idrogeno – ndr) sono esattamente gli stessi: si parte da energia elettrica (meglio se rinnovabile) e si finisce con energia elettrica che alimenta un motore elettrico; la grande differenza è che il ciclo protonico perde per strada molta più energia di quello elettronico”. Insomma l’uso dell’idrogeno nell’automotive, oggi, non è efficiente ed è meglio l’elettrico. Si torna quindi alla tecnologia e non soltanto all’infrastruttura
Tuttavia, il fascino dell’idrogeno come vettore energetico del futuro è molto grande perché lascia intravvedere un modo di risolvere i pasticci ambientali fin qui combinati dall’uomo con una soluzione che non si discosta troppo dal modo attuale di rifornirsi di energia. In campo automobilistico, l’elettrico spaventa perché ci costringe a cambiare le nostre abitudini (programmare il viaggio, cercare le stazioni di ricarica, gestire l’emergenza dell’energia insufficiente in modo diverso da prima). L’idrogeno, invece, ci sembra una facile chiave di volta per risolvere i problemi legati al riscaldamento globale e alle emissioni di gas serra, fenomeni da arginare velocemente. Oltre il 70% delle emissioni globali è causato dal consumo di energia ed è per questo che dobbiamo in modo rapido cominciare la transizione energetica.
Le tecnologie saranno fondamentali: l’idrogeno è un vettore energetico flessibile e potenzialmente a impatto ambientale zero; se prodotto senza immettere CO2 in atmosfera diventerà fondamentale in tutti quei settori in cui l’elettrificazione non è un’opzione efficace ed efficiente. Quali sono, dunque, le principali sfide per i Paesi che vogliono integrarlo nei loro piani energetici? Per Angelo Era “le politiche di sviluppo dell’idrogeno devono rispondere a due quesiti fondamentali. Il primo è collegato alla modalità di produzione. L’idrogeno può essere generato in modalità 100% green tramite elettrolisi che utilizza energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, sole e vento in particolare. Questa si contrappone all’opzione blu, che prevede l’applicazione di soluzioni di cattura e di stoccaggio del carbonio ai tradizionali processi produttivi basati su combustibili fossili quali gas naturale, riducendo le emissioni fino al 90%. Se consideriamo il costo dell’idrogeno blu in ottica net zero, prendendo in considerazione sia i costi per la cattura della CO2, comunque immessa in atmosfera, sia la compensazione dell’effetto serra comportato delle fughe di metano durante l’estrazione e il trasporto del gas, nostre recenti analisi portano a valutare un costo per l’idrogeno da gas naturale superiore a 3 euro al Kg per un Paese come l’Italia, che ha prezzi del gas relativamente alti. Con queste assunzioni, l’idrogeno verde sarebbe oggi competitivo con quello blu con un costo dell’energia fotovoltaica intorno ai 30 euro al megawattora”.
Quindi, in che tempi si potrebbe arrivare ad avere un idrogeno sostenibile sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista dei costi?
“Sebbene valori così bassi dell’energia elettrica da fonte rinnovabile non siano oggi ancora disponibili in Europa e in Italia, si prevede il raggiungimento della competitività economica intorno al 2030.Guardando al 2050, considerando economie di scala e di apprendimento, il costo degli elettrolizzatori è destinato a ridursi considerevolmente, insieme alla riduzione dei costi dell’energia rinnovabile, questo porterà l’elettrolisi dell’acqua a diventare l’alternativa più economica per la produzione di idrogeno. D’altro canto, la produzione di idrogeno blu da gas naturale dovrebbe prevedere investimenti e infrastrutture di cattura della CO2, il trasporto e lo stoccaggio. Questi investimenti, anche tenendo in considerazione i recenti annunci, non prevediamo possano essere concluse prima della seconda metà del decennio. Gli impianti di produzione di idrogeno blu, una volta realizzati dovrebbero restare operativi per almeno 20-30 anni, periodo nel quale sarebbero meno convenienti rispetto ad altre forme, generando in tal modo stranded cost rilevanti”, concludo l’esperto di Deloitte.
L’idrogeno “green” verrà prodotto da energia solare nei Paesi caldi, da eolico nei Paesi costieri e da reforming del metano nei Paesi ricchi di gas combinato a sistemi di cattura della CO2, in abbinamento con sistemi efficienti di elettrolisi dell’acqua e di trasporto del gas in forma compressa oppure liquida. A beneficiare di questa transizione non sarà soltanto l’ambiente, ma l’economia: il mercato dell’idrogeno in Italia è valutato tra i 3 e i 5 miliardi di euro al 2030, ma si potranno avere importanti opportunità d’investimento anche per le infrastrutture che si occuperanno della produzione, del trasporto, dello stoccaggio e della distribuzione dell’idrogeno.
Un nuovo brevetto nato nei laboratori dei Centri Ricerche Enea di Frascati e Casaccia, con il coinvolgimento di ricercatori dei dipartimenti di Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare e di Tecnologie Energetiche e Fonti Rinnovabili, permetterà di produrre idrogeno e ossigeno attraverso la decomposizione termica dell’acqua realizzata con l’energia solare. Il problema principale di questa tecnologia riguarda le alte temperature a cui si opera; per questo il brevetto propone un reattore, costituito da una camera di reazione dove sono presenti contemporaneamente due tipi di membrane: una in tantalio per separare l’idrogeno e una in materiale ceramico per separare l’ossigeno.
“In questo modo riusciamo a produrre con 500°C in meno la stessa quantità di idrogeno e ossigeno di un reattore tradizionale“, spiega il ricercatore Enea, Silvano Tosti. Produrre idrogeno in modo diretto dal sole è di grande interesse per la realizzazione di una catena energetica green e consente di ottenere elevate efficienze energetiche con costi di investimento contenuti.
In questo settore è particolarmente attiva Westport Fuel Systems Italia, che oltre a essere diventata membro di H2IT, l’Associazione Italiana Idrogeno e Celle a Combustibile, ha annunciato due iniziative nel campo dell’idrogeno applicato al settore dei trasporti industriali. La prima riguarda l’avvio di un progetto di ricerca insieme a Scania per l’applicazione del suo sistema di alimentazione Hpdi 2.0 a idrogeno al più recente motore per veicoli industriali Scania. I risultati dei test preliminari sono attesi nella seconda metà del 2021.
La seconda riguarda invece la pubblicazione dello studio Total Cost of Ownership (TCO) Analysis for Heavy Duty Hydrogen Fueled Powertrains, in colllaborazione con l’azienda Avl che si occupa di sviluppo, simulazione e test di sistemi di propulsione. Secondo i dati di questo studio, i motori a combustione interna alimentati a idrogeno risultano più competitivi, per applicazioni heavy duty, in termini di costi, rispetto alle fuel cell, pur raggiungendo prestazioni simili di riduzione delle emissioni.
Questi risultati sono possibili nell’heavy duty grazie alla tecnologia Hpdi 2.0, già oggi utilizzata dagli operatori del trasporto, in alternativa all’alimentazione diesel. I risultati mostrano una riduzione della CO2 del 23% mediante l’utilizzo di Gnl fossile e garantiscono zero emissioni nette di carbonio nel caso si utilizzi bioGnl. L’idrogeno potrebbe essere utilizzato in maniera complementare ad altre tecnologie e contribuire alla realizzazione di una mobilità a zero emissioni.