Harley Davidson, l’aquila vola sempre alta
di Federico Falsini
Harley Davidson. Non servono spiegazioni. Mi sbilancio affermando che nell’immaginario collettivo la motocicletta sia associata al mito dell’Aquila di Milwaukee tanto quanto le auto al Cavallino rampante.
E la secolare tradizione non smentisce…
In tutta onestà, non sono un harleysta tradizionale. Il mio primo contatto con una Harley Davidson risale al 1998 quando l’amico Alessandro comprò una V53 Custom (se ben ricordo una 883 con l’ anteriore del 1200) e me la fece provare. Ricordo ancora adesso come la cura dei dettagli, le cromature e la verniciatura risaltassero come il bagliore di un lampo. E di come, velocemente, quanto il rombo del tuono che ne segue, gliela restituii. Venivo da una Yamaha e avevo il Bmw, il mio frettoloso verdetto fu: “Bella esteticamente, ma è un cancello con le ruote…La prenderei in considerazione solo per arredamento!”.
Passano gli anni e non cambiano solo le stagioni
Sono passati tanti anni da allora, sono cambiate molto le moto americane. Ma soprattutto, sono cambiato io. Erano circa 15 anni da che avevo venduto la mia ultima moto quando la mia dolce metà mi sorprese con la decisione di comprarsela lei (il mitico Virago XV535). Non avendo più attrezzatura, optai per un casco retrò, il cui rivenditore è la concessionaria Speedshop di Firenze. Da perfetta faccia tosta, visto che sono rivenditori ufficiali H-D, al gentile invito di passare dal salone per provare la taglia, seguì la mia richiesta: “Visto che vengo a provare il casco posso anche provare una moto?”. “Anche due!” fu la cordiale risposta. Galeotto fu quel demo ride…
E scattò la molla
Doveroso aprire una parentesi sul mondo Harley. Se di lì a poco sono divenuto cliente, complici lo sono stati anche lo staff affiliato al brand. Perché già alla seconda volta che ti presenti in quello che più che un salone appare come un ritrovo di amici tipo bar abituale, ti senti dare il “buongiorno” chiamandoti per nome. Magari sono piccolezze, ma a me hanno fatto molto piacere. Ti fanno immediatamente sentire parte di qualcosa, non avverti di essere trattato solo come un potenziale bancomat da cui prelevare. La casa madre stessa annovera istantaneamente i nuovi clienti nel proprio club (HOG) con una serie di iniziative e pacchetti dedicati che rendono il novizio già “integrato” in questo nuovo, curioso, strano “universo”. A tal proposito ho partecipato anche ad alcuni eventi ufficiali e devo riconoscere che il clima di “appartenenza” e di comunione è molto sentito. Ed è tutt’altro che fastidioso.
Sì, vabbè, ma la moto come va?
Per chi non l’ avesse ancora capito, Harley Davidson non è solo motociclette…E solo adesso mi accorgo di non avere ancora parlato della due ruote!
La mia “piccola bastarda” è un Forty Eight, motore 1200 cc su telaio Sportster. La chiamo così perché per me le moto devono avere una anima. Ancor meglio se un po’ “ignorante”. E le Harley sono tutto fuorché anonime! Capisco lo sconcerto ai più smanettoni, ai Valentino Rossi del fine settimana, quelli a cui posso apparire come un uomo il cui tracciato EEG assomigli alla cartografia della pianura padana. Ma a tutti loro rispondo, con sincera onestà, che mai mi ero ritrovato guidando a qualsiasi andatura con un sorriso in faccia perenne.
E allora poco mi importa se il monodisco anteriore non ha un mordente “da staccata”, ci se ne fa una ragione e si frena prima! Se non ha una agilità come altre moto più tecniche, vi assicuro che rimarrete piacevolmente sorpresi e che di frecce al proprio arco per divertirsi ce ne sono di parecchie.
E quel motore…
Già. Forse basterebbe solo quello. Ha una personalità unica. Una coppia da trattore e un allungo che lo fanno più somigliare ad un diesel che a un benzina. E con quel carattere così dannatamente particolare!
Una volta ho sentito dare questa motivazione: “Il motore Harley fa uno scoppio in un cilindro, dopo 45° si ha nell’altro. Poi il vuoto assoluto finché il miracolo non si ripete…”. Una spiegazione tanto meravigliosa quanto vera…