Francoforte, il Salone della resa dei conti

Il Salone di Francoforte di quest’anno, oltre a essere orfano di numerosi marchi (ben nove), e per questo motivo molto indebolito rispetto alle precedenti edizioni, rischia di avere al centro dell’attenzione più le polemiche in Germania tra media, governo e Case automobilistiche tedesche, che le novità sugli stand. Due anni fa, in pieno Salone, scoppiò il Dieselgate e il Gruppo Volkswagen fece appena in tempo a mostrare tutti i suoi muscoli nella tradizionale “Vw Night” prima di essere travolto dallo Tsunami.

 

Date fatidiche

 

Ora, il Salone, in programma dal 14 al 24 settembre, cade proprio negli ultimi giorni della campagna in vista delle elezioni politiche tedesche. Le urne saranno aperte proprio il 24 settembre. Già in questi giorni il tema dell’auto, annessi e connessi, è quello più caldo sul fronte politico tra chi cerca di difendere l’industria teutonica vista la centralità per l’economia, l’occupazione e l’export, e chi la vede come il fumo negli occhi e non perde occasione per indirizzarle nuove pesanti accuse a proposito dei problemi ambientali. L’impressione è che si stia andando verso una vera resa dei conti e i media, soprattutto quelli tedeschi, hanno già cominciato a gettare benzina sul fuoco.

 

Le stilettate dei giornali


Prendiamo il quotidiano “Bild” che in questi giorni si è scagliato contro il numero uno dell’Audi Group, Rupert Stadler, rivelando che avrebbe ordinato di manipolare i dati delle emissioni dei motori a gasolio negli Usa. I fatti risalirebbero al novembre 2015, quando le autorità americane stavano indagando sul coinvolgimento dell’Audi nella vicenda del Dieselgate di Volkswagen. Non è la prima volta che la stampa tedesca punta il dito contro Stadler.
C’è poi “Der Spiegel” che fa un’analisi politica, guarda caso, del problema, accusando la cancelliera Angela Merkel di aver evitato il recente vertice tra Governo e costruttori per tentare di salvare il diesel in quanto timorosa di ledere la propria immagine (nel summit si è deciso che le Case tedesche richiameranno, gratuitamente per i proprietari, 5,3 milioni di veicoli Euro 5 ed Euro 6 per ridurre di un ulteriore 25/30% le emissioni degli ossidi di azoto: un’operazione, alla quale parteciperà lo Stato, da 500 milioni di euro). E anche il ministro dei Trasporti, Alexander Dobrindt, lo stesso che ha più volte cercato di incastrare il Gruppo Fca sul tema Dieselgate, è stato messo in croce da “Der Spiegel” per aver spostato la sede della riunione dal suo ufficio al ministero dell’Interno, accogliendo le richieste dei costruttori che temevano di trovarsi di fronte a una manifestazione di protesta.

 

Il tramonto di un mito
Il più duro di tutti, però, è risultato il “Financial Times” del 31 luglio scorso che ha messo in fila gli scandali con al centro l’auto tedesca: il Dieselgate e l’accusa da parte dell’Antitrust Ue di “cartello” ai danni dei consumatori. L’autore dell’articolo, il tedesco Wolfgang Muenchau, tirando le somme, scrive che “i costruttori tedeschi magari sopravviveranno, ma senza più la passata immagine e influenza. In pratica, diventeranno ciò che hanno sempre respinto:  aziende come le altre”.
La guerra è destinata a diventare più cruenta con l’avvicinarsi della scadenza elettorale. E il Salone di Francoforte rischia di trasformarsi in un’arena.

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