Film e realtà: se la politica non ascolta la scienza

di Alessandro Ascione, giornalista automotive (alessandroascione.com)

“Don’t Look Up” è tutto fuorché un film. Posso definirlo un documentario, un cinegiornale, una show teatrale. Una sorta di “Idiocracy” del futuro. Inoltre, non è per nulla divertente. Va visto a stomaco vuoto. Anche perché le straordinarie interpretazioni di Jennifer Lawrence, Meryl Streep, Leonardo Di Caprio e Jonah Hill, nell’ordine, hanno un unico obiettivo: provocare nausea.

Il bello di “Don’t Look Up” è che ogni spettatore lo interpreta a proprio modo. La lettura più frequente vuole che sia un avviso ai politici di oggi: non fate niente contro la catastrofe ambientale, come i politici nella pellicola nulla fanno contro la fine del mondo annunciata dagli scienziati.

Può darsi. Ma c’è una seconda traduzione da non scartare. La battaglia a favore della salvezza del pianeta passa anche attraverso la transizione energetica e l’auto elettrica. Ce lo spiegano gli stessi politici. In tv, senza contraddittorio, parlano di decarbonizzazione. Parola che li rende fighi.

A quanto pare, non sarà una transizione graduale e fisiologica; ma imposta. La politica, d’un tratto, decide che il motore termico (per capirci, l’auto a benzina o Diesel) deve morire entro una certa data. Per esempio, il 2035. La burocrazia, d’imperio, fa trangugiare la pillola amara al comparto industriale automotive: beccati l’auto elettrica e stai zitto.

Di contro, gran parte degli esponenti dei gruppi automobilistici, nonché le stesse associazioni che spingono a favore dell’auto elettrica, più i sindacati, fanno notare alla politica che mancano le basi per uno sviluppo dell’auto elettrica. Non ci sono colonnine di ricarica a sufficienza, tantomeno stazioni per fare il pieno di elettroni in maniera rapida. E non esistono ancora una manodopera specializzata né un indotto preparato: si rischia una strage economico-sociale. In più, senza incentivi statali, un esercito di consumatori resterà senz’auto: i costruttori investono somme immense e, per forza di cose, il prezzo di listino di quelle vetture è elevato.

Senza considerare che il problema si sposta: nel 2035, non inquiniamo più allo scarico (l’elettrica è a zero emissioni), ma sporchiamo quando produciamo energia elettrica. Che arriva da fonti molto inquinanti. Lo dice la scienza. E se la politica non ascolta la scienza, sono dolori.

Si fa allora notare alla politica che servirebbero fonti rinnovabili. Tradotto brutalmente, parchi eolici e solari, anzitutto. E anche in questo settore siamo gravemente indietro.

Viene poi spiegato ai politici che, se si imporrà anche la costruzione di parchi eolici e solari in certe aree, esploderà il fenomeno NIMBY. Ossia Not In My Back Yard. Cioè “Non nel mio cortile sul retro”: la protesta da parte di membri di una comunità locale contro la realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante in un territorio. In sostanza, le pale eoliche te le metti nel tuo giardino; se no, ti faccio scoppiare un casino che neppure te lo immagini.

In “Don’t Look Up”, la politica impone di continuare a parlare di cretinate: se cerchi di introdurre argomenti più seri e intelligenti, passi per un rompiscatole da emarginare. Oggi, la politica sposta l’attenzione sulla bellezza dell’auto elettrica, non inquinante (allo scarico) e silenziosa. Il tutto condito dai monopattini elettrici e dalle piste ciclabili: bellissimo, verde, ecologico, un nuovo mondo meraviglioso con gli individui che ridono sempre. Se ti azzardi a mettere sul tavolo una questione attinente la nuova mobilità, divieni noioso, vecchio e petulante.

Per l’auto elettrica, il 2035 si avvicina. La politica ti dice di non guardare a tutto quello che ruota attorno all’auto elettrica: colonnine, fonti rinnovabili, consumatori appiedati, disoccupazione industriale. Così come il meteorite galoppava nello spazio verso la Terra coi politici che dicevano: “Don’t Look Up”.

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