Fasi 2-3: come cambiano mobilità e sicurezza

di Roberto Sgalla, esperto in sicurezza stradale

In questo periodo di emergenza per il Covid -19, la comunicazione ha subito coniato una frase paradigmatica Nulla sarà come prima. Il significato di questa espressione è complesso: prelude a modelli organizzativi innovativi nei processi produttivi, un ritorno dello Stato in economia per alcuni settori, a una nuova scala di valori nella vita quotidiana e a un nuovo stile di vita nei comportamenti dei cittadini di una comunità.

Proviamo a declinare la frase iniziale in tema di mobilità; è evidente che nella fase post-4 maggio, quando comunque dovremo convivere con il virus in attesa del vaccino, il tema della mobilità diviene centrale. Nella Fase cosiddetta 1, di chiusura quasi totale, i dati Isfort/Audimob disponibili  al 10 aprile 2020, evidenziano una riduzione del 50% della “popolazione mobile” , ossia delle persone che escono per spostarsi, da circa 80% al 40%; evidenziano poi un “numero degli spostamenti” che è passato da 2,5/2,6 allo 0,74 (ossia con meno di uno spostamento per persona) ed una lunghezza media dello spostamento per persona che si è attestata a circa 6 km contro i 10/11 km precedenti.

Questi dati dimostrano una riduzione della mobilità pari al 90% nella fase più critica dell’emergenza, ma appare chiaro che, alla ripresa degli spostamenti nella Fase 2 e, ancora di più, nella Fase 3 con la riapertura delle scuole, al di là di come verrà riorganizzato il servizio pubblico di trasporto, che in ogni caso sconterà una riduzione della propria capacità di offerta se non altro per effetto del c.d. distanziamento sociale, e il ruolo della mobilità dolce (della bicicletta in primo luogo), ci sarà un più che probabile incremento della quota di mercato del veicolo privato, vero competitor del mezzo pubblico.

Occorrerà quindi sviluppare politiche ed azioni utili a evitare questa sostituzione della domanda di trasporto con l’uso privato ed esclusivo della vettura, nonché indurre ad un cambiamento di stile di vita a favore di una nuova concezione di mobilità. La possibile “fuga” dal trasporto pubblico richiede, infatti, una immediata strategia di breve e medio periodo soprattutto da parte delle amministrazioni competenti, che si trovano a dover necessariamente contenere gli indubbi effetti negativi in termini di traffico, inquinamento e correlato danno alla salute. La tutela del TPL è poi fondamentale anche in relazione al valore economico del settore, in grado ogni anno di generare un fatturato diretto di circa 12 miliardi di euro, occupare oltre 120.000 persone, nonché di stimolare un importante indotto economico (produzione di materiale rotabile, servizi manutentivi, assicurativi, ecc.).

Nella gestione dell’emergenza si sono riaperte le zone a traffico limitato e sospeso i pagamenti per la sosta dei veicoli. Tali deroghe hanno costituito una risposta all’emergenza che poteva essere adatta alla cosiddetta Fase 1; nelle restanti fasi sembrerebbe invece una strada non percorribile, almeno nelle forme sperimentate. E’ invece auspicabile che gli enti locali, fermo restando le disposizioni previste dal Codice della Strada, sviluppino interventi per implementare l’uso delle due ruote, specie nel periodo estivo e autunnale, e in particolare l’uso della mobilità dolce e non inquinante, in particolare delle biciclette (anche in sharing), nonché di mezzi diversi, di ultima generazione, quali i monopattini elettrici.

In primo luogo, viene in considerazione l’ampliamento delle corsie ciclabili e la connessione delle medesime corsie con i principali poli generatori di traffico quali ad esempio le stazioni, nonché l’esigenza di meglio gestirne l’uso promiscuo da parte degli automobilisti e dei conducenti di cicli e monopattini, diminuendo la velocità di percorrenza di alcune strade pubbliche. Nelle grandi città, con corsie talvolta sovradimensionate, appare possibile ridurne l’ampiezza per ricavarne spazi per la micro-mobilità, con appositi delimitatori di carreggiata.

L’idea di un maggior ricorso alla bicicletta (anche elettrica) è stata, peraltro, proprio in questo periodo di emergenza, positivamente sperimentata nel mondo. Basti pensare a Londra dove i produttori di biciclette elettriche hanno supportato medici ed infermieri per il raggiungimento del posto di lavoro, offrendole gratuitamente nella fase emergenziale e all’incremento “spontaneo” del ricorso alle 2 ruote in grandi città tradizionalmente molto trafficate, quali ad esempio New York, dove l’utilizzo è aumentato del 50% rispetto allo scorso anno o Chicago, dove è aumentato percentualmente in misura ancora maggiore.

Al momento, nel dibattito pubblico sono già presenti tali linee di azioni che appaiono ampiamente condivisibili. Sono tutte iniziative da favorire per una mobilità attiva ed ecosostenibile, soprattutto da parte dei giovani. Tali policies richiedono però la predisposizione di necessari strumenti a corredo, come l’individuazione di spazi per lo stoccaggio delle biciclette sui mezzi pubblici e aree dedicate alla custodia dei medesimi mezzi in uffici e istituti scolastici.

Quale ragazzo, o lavoratore userà la sua ebike per raggiungere il proprio liceo, il proprio ufficio se ciò non avverrà in sicurezza e se il suo mezzo non sarà custodito e protetto rispetto ad eventuali furti? Nelle grandi aziende e nelle scuole andranno, quindi, favorite gli interventi e le opere di manutenzione necessarie a tal fine.

Per sviluppare e radicare poi una cultura della mobilità alternativa, occorre individuare dei soggetti specifici che forniscano un ausilio concreto in tal senso, come ad esempio i Mobility Manager nelle sue diverse declinazioni (aziendali, scolastici, d’area). Il mobility manager è figura prevista ed introdotta in Italia con il D.M. 27 marzo 1998, ma poco valorizzata, sia in termini di capacità di incidere nei processi decisionali, sia dal punto di vista retributivo. Orbene, l’emergenza sanitaria potrebbe contribuire a conferire un ruolo centrale allo stesso che non sarebbe solo collettore di istanze ma, anche e soprattutto, interlocutore privilegiato del mobility manager di area per la definizione dei piani urbani e degli spostamenti casa-lavoro o casa-scuola (basti pensare alle delicate decisioni che nelle prossime settimane dovranno essere prese nella modulazione degli orari delle scuole e degli impatti che tali decisioni avranno sul mondo della mobilità, e del trasporto pubblico in particolare). Il mobility manager dovrebbe infatti operare non solo in stretto collegamento con il mobility manager territoriale ma, anche, avere un ruolo fondamentale nelle decisioni aziendali o scolastiche.

Lo sviluppo e il sostegno di società di bike sharing pubbliche e il potenziamento della sharing-mobility (ad esempio dei monopattini elettrici in città con una “struttura del territorio” compatibile, sul modello di città straniere quale Tel Aviv), sono guardati con estremo favore.

Un piano di incentivazione della mobilità sostenibile potrebbe poi comportare anche l’estensione, a livello statale e comunale, degli incentivi economici per l’acquisto di biciclette elettriche, sulla scia di quanto già fatto con il decreto clima e con la legge di bilancio 2020 (bonus per l’acquisto di una bicicletta elettrica a fronte della rottamazione di auto o motociclo inquinante) o degli incentivi presenti a livello territoriale. Sembrerebbero però da favorirsi incentivi non collegati a procedure di rottamazione, nel descritto spirito di diffondere una cultura per una diversa mobilità.

Per quanto riguarda il tema della sicurezza stradale la riflessione è più complessa. È evidente che oggi c’è stata una riduzione consistente del numero e della gravità degli incidenti stradali per il semplice motivo che non si circola (anche se comunque si sono registrati incidenti mortali). Nel periodo del lockdown si sono ridotti gli spostamenti ma, nonostante tutto, dall’8 marzo al 20 aprile si sono registrati ben 44 morti su strade e autostrade, secondo gli ultimi dati di Polizia e Carabinieri. E’ un numero di gran lunga inferiore rispetto ai 203 dello stesso periodo dello scorso anno ma che rappresenta comunque un campanello d’allarme sull’urgenza di lavorare alla riforma del Codice della strada, includendovi cicli e mezzi di micro mobilità e il connesso tema della identificabilità dei medesimi mezzi e dell’obbligo di copertura assicurativa.

A tale riguardo occorre tenere presente che tra i mezzi elettrici che vengono utilizzati per la micro mobilità urbana sono annoverati anche mezzi a propulsione prevalentemente elettrica come Segway, Hoverboard, Monowheel. Questi mezzi non sono equiparati a velocipedi, come per i monopattini elettrici – potenza massima 500 W e con limiti di velocità 6 km/h o 30 km/h al variare delle aree dove circolano (comma 75 della Legge di bilancio 2020). Per tali mezzi, con il decreto ministeriale 229 del 4 giugno 2019 ne è stata definita la sperimentazione nelle città. Si rimette, però, ai Comuni di autorizzare con un proprio provvedimento la circolazione di questi dispositivi in via sperimentale, nonché di prevedere disposizioni per la sosta. Al momento nel caso di incidente stradale non sono considerati come veicoli, ma gli occupanti/utilizzatori come pedoni.

Occorrerà, quindi, regolamentare anche il ruolo di questi mezzi alternativi al monopattino e a propulsione prevalentemente elettrica e garantirne la sicurezza, cosi come occorrerà prestare attenzione specifica nei PUMS al ruolo e alla sicurezza del pedone, anche in ragione della diffusione delle nuove forme di mobilità.

Cosa succederà con la ripresa della circolazione, in particolar modo quando ci sarà il totale riavvio? Torneremo ai soliti comportamenti (distrazione, eccesso di velocità, uso e abuso di alcol e sostanze stupefacenti, e quante altre violazioni che facevano registrare ogni anno migliaia di morti)? Cosa significherà, e se avrà un qualche significato per la sicurezza stradale, la frase “nulla sarà come prima”? Possiamo esprimere degli auspici e una speranza.

Abbiamo detto che questa pandemia potrebbe aver ridefinito i “valori della convivenza civile”, ci ha fatto comprendere il valore della “vita” già presente nella nostra società, ma che il virus ha ancor più rafforzato. Ci siamo educati a un maggior rispetto delle regole? È stata una scelta di “responsabilità”? È cresciuta un’etica della “responsabilità”?

Se sì, ciò potrebbe essere utile per i comportamenti alla guida e cioè maggior consapevolezza e rispetto delle regole senza la paura della sanzione, ma solo per convinzione che è un “bene per tutti” rispettare le regole del codice della strada. Ancora, tra i valori riscoperti ed esercitati è stata richiamata spesso la solidarietà! Nella sicurezza stradale si può declinare anche con il “rispetto reciproco, tolleranza”. Sarebbe utile verificare, superata la crisi sanitaria, se l’automobilista è divenuto più tollerante con il ciclista e viceversa. Sarà così? Sono veramente cambiati gli “stili di vita” e questo cambiamento si potrà vedere nei vari aspetti della vita quotidiana?

Ulteriore elemento di riflessione è legato allo sviluppo della ricerca in tema di mobility. Sarà incentivata e arriveremo alla guida autonoma in tempi sicuramente più brevi del previsto e nel frattempo le varie tecnologie di guida assistita verranno implementate. L’auspicio è che tutte le vetture comunque adottino di serie l’autolock.

L’altro versante sono le smart road; sarà un aspetto collegato alla tracciatura dei cittadini e comunque l’Italia deve diventare leader in questo settore, infrastrutture che dialogano con gli utenti e questi tra loro.

In sintesi, nella cosiddetta Fase 3 sarà necessario esaminare, valutare e monitorare se e come i comportamenti in materia di sicurezza stradale siano stati influenzati dopo la ripresa dal periodo di lockdown, individuando e costruendo percorsi di formazione e responsabilizzazione anche sulle cause della incidentalità, in particolare per quanto concerne i giovani e gli infortuni sul lavoro. A tale proposito occorrerebbe altresì attivare un ampio dibattito per aggiornare, alla luce della nuova situazione di emergenza sanitaria, i casi di “infortuni in itinere” che possono essere coperti da assicurazione Inail, ovvero scongiurare un trasferimento tout court , in capo al datore di lavoro, di rischi non gestibili in alcun modo, in quanto legati alla circolazione del virus e alla sanificazione di mezzi.

Si è già accennato della necessità, nel periodo di convivenza con il virus, di attuare una efficace gestione della domanda di mobilità verso il TPL riducendo le ore di punta e spalmando gli spostamenti nell’arco della giornata. In tal senso sembra chiaro che si dovrà tener conto di alcune problematiche già esistenti prima dell’emergenza Covid-19, quali la scarsità di mezzi e alcune rigidità organizzative del settore. A ciò si aggiungeranno i problemi enormi di attuare misure di controllo degli ingressi, delle distanze e della sanificazione dei mezzi. Quando le restrizioni alla mobilità cesseranno si verificherà un vero e proprio schock, soprattutto alla riapertura delle scuole.

A tal proposito, sono da favorirsi tutti quegli strumenti che consentano di tracciare in tempo reale il grado di riempimento dei mezzi o applicazioni su telefono che gratuitamente informino gli utenti circa la capienza dell’autobus e tempi di attesa del successivo. Allo stesso modo appare altamente condivisibile favorire orari lavorativi altamente flessibili per diluire sull’intera giornata gli spostamenti, ma soprattutto potenziare il lavoro agile che richiederà, tuttavia, una regolamentazione e una contrattazione collettiva specifica: è peraltro logico ritenere che alcune attività potranno essere svolte da remoto ed altre no. Le grandi aziende con palazzi dedicati ad accogliere tutto il personale saranno verosimilmente indotte a superare tale modello organizzativo, con conseguenti risparmi che potrebbero essere anche ridistribuiti al personale.

Il lavoro agile potrà ben neutralizzare parte della domanda di trasporto, ma non si arriverà a risolvere il problema del tutto. Del resto, è ormai scontato che si dovranno definire strategie che vadano oltre il mero potenziamento delle corse o destinazione di maggiori risorse finanziarie al sistema dei trasporti pubblici locali.

La ridistribuzione degli orari nella giornata diviene essenziale, per contenere strategicamente i cosiddetti “picchi” e la “calca da ora di punta”, rivedendo soprattutto i tempi di scuola, uffici e negozi. In tale ottica, occorre approfondire il tema di una rimodulazione dei tempi della scuola soprattutto secondaria quando, dopo la pausa estiva, il quadro sanitario sarà più chiaro.

Si ritiene, infine, anche in considerazione di quanto innanzi specificato su un possibile rinnovato ruolo del mobility manager scolastico, che – partendo da alcune scuole di grandi centri urbani che possano fungere da progetto pilota – si rafforzi tale figura in ambito scolastico, potenziandone ruolo e competenze nel dedicarvi parte di queste risorse, anche attraverso la realizzazione di nuovi Piani di spostamento casa-scuola.

 

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