Fase 2: veicoli industriali in terapia intensiva

 

di Franco Fenoglio, presidente di Unrae Veicoli Industriali

I dati del mercato dei veicoli industriali portano segno negativo fin da gennaio 2019. Abbiamo seguito con attenzione l’andamento dei dati di immatricolazione volevamo capire fino a che punto l’emergenza in corso potesse dare un vero e proprio colpo di grazia alla sofferenza di questo mercato, che non si è mai ripreso del tutto dalla crisi del 2008, arrivando con fatica, dopo dieci anni, a meno del 66% dei volumi fatti nel 2007. È un quadro desolante, in Italia abbiamo il parco più vecchio d’Europa con anzianità media di 13,6 anni su una media europea di 11,5. Il 58,5% dei veicoli è Ante Euro IV (401.000 veicoli), ben il 12,8% del parco è composto da veicoli Euro 0 (88.000 mezzi con oltre 27 anni di età).

Inoltre, è stata sottolineata la suddivisione del parco in relazione all’uso dei veicoli e, in particolare, è stato messo in evidenza che il 52% del totale è destinato al trasporto merci in conto terzi, mentre il 31,6% al conto proprio, ma soprattutto è stato rilevato che l’età media dei veicoli utilizzati in conto terzi (10,7 anni) è molto inferiore a quella del conto proprio (15 anni). Le aziende italiane di trasporto vorrebbero rinnovare le loro flotte perché sono consapevoli di non poter essere competitive se non dispongono di tutti i mezzi oggi necessari per fare efficienza, cioè sostenibilità e sicurezza, che per la committenza significano affidabilità, in un mondo dove la competizione è spietata e fin troppo spesso sleale, e di fronte a concorrenti esteri adeguatamente sostenuti dai loro governi, che ne riconoscono la funzione strategica. Se in Italia è un’impresa fare impresa, fare autotrasporto significa scontrarsi quotidianamente con le difficoltà che nascono da burocrazia, carico fiscale elevato, costi del carburanti e del lavoro non competitivi e carenze infrastrutturali. Il tutto derivante da una ormai storica inefficienza del sistema Paese, che non ha messo in atto alcuna strategia di sviluppo nazionale del settore.

Le nostre aziende di trasporto scontano l’inefficienza di un sistema Paese che non ha mai provveduto a definire una politica dei trasporti che indicasse e sostenesse economicamente le linee di uno sviluppo strategico del settore. Molte risorse pubbliche sono andate sprecate anziché essere concentrate in azioni necessarie ad un consolidamento strutturale del sistema italiano dei trasporti. Mentre le istituzioni e gli esperti tentano di dare una dimensione e definire le conseguenze della pandemia di Covid-19, noi prendiamo atto che negli ultimi dieci anni, come effetto delle condizioni del settore italiano dei trasporti e della conseguente delocalizzazione, abbiamo già perso il 30% delle nostre reti e un miliardo e mezzo di fatturato l’anno, mentre lo Stato ha perso 105 milioni di entrate fiscali l’anno. In questo scenario il settore dei trasporti ha visto scomparire 35.000 imprese e 135.000 addetti, pari a 13 volte il numero dei dipendenti dell’Alitalia.L’opinione pubblica sembra aver scoperto la strategicità del settore trasporto solo in occasione dell’emergenza sanitaria. Non vorremmo che, a emergenza superata, il settore tornasse a godere di scarsa attenzione. Penso che, fuori da ogni retorica, sarebbe sufficiente e necessario che i trasportatori venissero riconosciuti per quei professionisti che sono, sotto la cui responsabilità cade il mantenimento in efficienza di un settore che è strategico sempre, e non solo quando si tratta di garantire l’approvvigionamento di generi alimentari, medicinali e prodotti energetici, anche per scongiurare problematiche sul fronte della sicurezza sociale del Paese. L’emergenza attuale ha coinvolto il sistema della domanda e dell’offerta, che ha subito un vero e proprio shock. Adesso occorre evitare il più possibile fallimenti di imprese e aumento della disoccupazione, che potrebbero peggiorare ulteriormente il quadro e allontanare le prospettive di ripresa. Anche per quanto riguarda le infrastrutture, è indispensabile accelerare: i 130 miliardi resi disponibili a livello europeo devono essere utilizzati subito. Il ponte di Genova ci dimostra che quando si prende coscienza di una emergenza, questo Paese sa reagire in modo esemplare. Bene, oggi siamo in emergenza nazionale, per non dire mondiale. Ogni ritardo sarebbe letale. Infine, per capire e quindi affrontare meglio i problemi, occorre fare “ecosistema”, mettendo insieme tutti gli attori che sono coinvolti a vario titolo, dalle istituzioni al mondo accademico, dalle aziende ai media.

 

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *