Elettrico solo andata: l’Italia deve decidere quando
di Pierluigi Bonora
A Bruxelles si apre la discussione sulla mobilità del futuro e per i carburanti tradizionali la situazione si fa sempre più complessa. Quella dell’auto elettrica, volenti o nolenti, è la strada maestra, mentre l’ordine del giorno in Commissione Ue ambiente, come formulato («Scambio di opinioni con la Commissione sulle norme post Euro 6/VI per le emissioni di auto, furgoni, autocarri e bus») non fa cenno all’omologazione Euro 7/VII, nuovo standard ancora più stringente sulle emissioni previsto dal 2026 e sul quale il settore sta già lavorando.
Tra gli ambientalisti, intanto, non mancano le contraddizioni. Per sviluppare il mercato elettrico e smarcarsi dal dominio cinese sulle batterie, è importante che le stesse siano prodotte in Europa. Così intende fare Tesla, a esempio, attraverso una Gigafactory in Germania. Ma gli «ecotalebani» non ne vogliono sapere perché gli americani non hanno ancora dato rassicurazioni sull’impatto ambientale. Un precedente, questo, che potrebbe creare seri problemi ad altre iniziative del genere, tra cui quella di Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, chiamato a scegliere tra Francia, Italia e Germania per un piano analogo.
Pretattica? Il timore di irritare le forti componenti «verdi»? Novità in vista? È da registrare l’intervento del ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile, Enrico Giovannini. «Diversi Paesi, tra cui Spagna e Francia – l’avvertimento – hanno definito una data limite – 2030, 2035, 2040 – dopo la quale non sarà più possibile vendere mezzi a combustione interna anche se parziale. L’Italia non ha ancora preso una decisione ed è una discussione che stiamo facendo con il ministro Roberto Cingolani, in vista del Piano nazionale integrato energia e clima. Questo è un tema in qualche modo ineludibile, non per punire qualcuno, ma per dare un indirizzo chiaro anche al settore privato».
Giovannini ha poi ricordato come ci sia ovunque «un grande investimento perché la direzione è chiara: dobbiamo andare verso un modo diverso di muoversi molto meno impattante. Ed entro il 2030 l’Italia deve abbattere in modo molto consistente le emissioni, secondo gli accordi presi a livello europeo».
Al 2030 mancano meno di 9 anni e serve tempo per consentire alle filiere interessate il cambio di strategia, come sottolinea Anfia in un suo documento dello scorso aprile. La stessa Anfia, inoltre, sollecitava anche «nuove disposizioni Euro 7/VII sostenibili e fattibili». Lo standard Euro 7/VII sul quale ora si attende chiarezza.
Tra gli ambientalisti, intanto, non mancano le contraddizioni. Per sviluppare il mercato elettrico e smarcarsi dal dominio cinese sulle batterie, è importante che le stesse siano prodotte in Europa. Così intende fare Tesla, a esempio, attraverso una Gigafactory in Germania. Ma gli «ecotalebani» non ne vogliono sapere perché gli americani non hanno ancora dato rassicurazioni sull’impatto ambientale. Un precedente, questo, che potrebbe creare seri problemi ad altre iniziative del genere, tra cui quella di Carlos Tavares, Ceo di Stellantis, chiamato a scegliere tra Francia, Italia e Germania per un piano analogo.
Intanto, con il 51,6% di «no», gli svizzeri hanno bocciato, in un referendum, l’introduzione di nuove misure anti CO2, tra cui altre imposte sui carburanti. Anche questo è un precedente. Non sarà facile, per le istituzioni, trovare nell’opinione pubblica le stesse convergenze raggiunte nel dibattito politico.