Elettrico e allarme lavoro: nessuno si preoccupa

I costruttori di auto hanno il piede sull’acceleratore nello sviluppo della mobilità elettrificata. Lo impone le sempre più stringenti norme sulle emissioni, ma anche anche i legislatori – la stragrande maggioranza – che da anni subiscono il contagio dell’ideologia. L’assist decisivo, in proposito, è arrivato nel settembre 2015 con lo scandalo, innescato da Volkswagen, delle centraline diesel truccate.

E mentre fiumi di miliardi in investimenti green vengono annunciati dalle Case automobilistiche (73 i miliardi annunciati giorni fa per il quinquennio dalla stessa Volkswagen), emerge con sempre maggiore forza il preoccupante rovescio della medaglia. A tornare sull’argomento è il presidente di Daimler Mercedes-Benz, Ola Källenius, in un servizio di Reuters Events. «Nei prossimi 5 anni – spiega il top manager svedese – diventeremo una società più piccola e, dunque, avremo un cambiamento fondamentale nell’impronta industriale per quel che riguarda il gruppo propulsore. Molti posti di lavoro scompariranno perché ci vuole meno tempo per costruire un’auto elettrica rispetto a una versione convenzionale a benzina o diesel. La batteria e il motore di un’auto elettrica hanno solo 200 componenti, rispetto ad almeno 1.400 parti di un motore a combustione».

Källenius aggiunge anche che «il gruppo sta assumendo molti nuovi ingegneri per i software, esperti in chimica delle batterie ed elettrificazione». Quello che arriva da Stoccarda è un nuovo allarme occupazione per il settore automobilistico che, tra l’altro, continua a subire le conseguenze della pandemia ed è costretto a navigare a vista in attesa che il Covid-19 molli la presa. Riecheggia, a questo punto, l’avvertimento, solo un anno fa, di Alberto Bombassei, presidente di Brembo: «C’è un grande entusiasmo per l’auto elettrica. Nessuno, però, considera il suo impatto sociale. In Europa, se smettessimo di produrre macchine a gasolio o benzina e facessimo soltanto più auto elettriche, perderemmo un lavoratore su tre; 1 milione di europei non avrebbe più un posto». La corsa all’elettrico peserà anche tra i fornitori: oltre 100mila i posti che, secondo Clepa (European association of automotive supplies), salteranno in Europa solo nel 2021.

Che fare? La domanda è da girare, per quel che ci riguarda, a Bruxelles ma anche ai singoli Paesi che, giorno dopo giorno, sfogliano il libro dei sogni e lanciano date anche un po’ a casaccio, in particolare sulla morte definitiva dei motori termici, senza pensare che – se proprio sarà così – già da adesso occorre pensare a come mettere in sicurezza tutti quei posti di lavoro più che mai traballanti da qui ai prossimi 5 anni. Tra Covid-19 e transizione energetica, per l’amor di Dio ai nostri polmoni ci teniamo tutti, la situazione è sul punto di precipitare. E’ necessario, mai come adesso, guardare di più al presente.

1 Comments

  1. La decarbonizzazione felice, fake news? Numeri e scenari molto interessanti, su come sia ombrosa la strada disegnata dagli ideologi del green.
    “Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali.”
    Trivellare, scavare, trasformare, dove, con quali mezzi, quale energia, per quanto tempo?
    “Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti, le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal, avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo.”
    Considerazioni realistiche, più solide del gretinismo liquido da filone al venerdì, che prende la forma dei nuovi totalitarismi a batteria.
    Pop business.
    Tutti in piazza allora, un po’ flash mob e un po’ fast food.
    Tik tok.

    Enrico Mariutti

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