Elettrico, chi fa e chi non fa 

Non solo benefici per i nostri polmoni, ma anche l’economia del Paese ne trarrebbe dei vantaggi. Credere con convinzione nell’auto elettrica (o elettrificata se comprendiamo anche i veicoli ibridi con possibilità di ricarica della batteria) potrebbe risultare un toccasana per i diretti interessati, le Case automobilistiche, e la filiera tutta. Il punto essenziale, comunque, rimane sempre l’infrastruttura. Senza un’adeguata rete di colonnine di ricarica e un piano dello Stato che agevoli la diffusione di questi veicoli, l’Italia difficilmente riuscirà a seguire il passo di Paesi che, già ora, mostrano di avere le idee più chiare.

Enel in campo
Enel, dal canto suo, ha presentato un programma triennale che consentirà l’installazione fino a 12.000 impianti per la ricarica. Un progetto importante che deve essere però compensato da un piano strategico organico che il governo non può più rimandare. Al recente Forum Ambrosetti di Cernobbio sono stati ipotizzati vari scenari, il più ottimista dei quali indica in 100 miliardi al 2025 e in 303 miliardi al 2030 il fatturato cumulato che potrebbe essere attivato da uno sviluppo concreto della mobilità green. Entro il 2030, stima l’ultimo studio di AlixPartners, le vetture elettrificate rappresenteranno più del 65% di tutti i veicoli venduti nel mondo.
Il rovescio della medaglia
Occhio, però, al rovescio della medaglia, in quanto la forza lavoro per realizzare batterie e motori elettrici è minore rispetto ai motori tradizionali. E senza una forte presenza in Europa di fabbriche di motori elettrici e relativi componenti, il crollo dell’occupazione – come avverte AlixPartners – sarà consistente. È quindi necessario che l’Ue, che spinge tanto per le emissioni zero, provveda al più presto a redarre un piano che tenga conto dei pro e dei contro di questo boom annunciato. Il settore, intanto, ha già predisposto la maggior parte dei modelli che la politica (in colpevole ritardo) immagina da tempo.

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