E la Punto va in pensione
di Tony Damascelli
Punto. E basta. Finisce una storia, alla Fca Sata di San Nicola di Melfi si sono abbassate le luci e spenti i robot nella catena di montaggio della storica vettura di casa Fiat. Era il Novantatre, c’era l’Avvocato, c’era Paolo Cantarella amministratore delegato, c’era stata la Guerra del Golfo che aveva affondato il mondo dei motori e dunque la fabbrica di Torino. La Punto fu un’idea, veniva dopo la Tipo e la Uno, era destinata a occupare quella fetta di mercato medio, l’utilitaria importante, non di lusso che era un ossimoro che non piaceva a Umberto Agnelli ancora ai margini delle vicende aziendali.
Nove milioni di esemplari, tanti sono usciti dalla catena di montaggio in un quarto di secolo, l’ultima vettura era di colore bianco, anonimo, per uscire, silenziosamente, dalla storia. Immortalata e postata su facebook, come un cimelio, memorabilia di un’epoca ormai antica, l’immagine è macabra, uno scheletro di vettura, bluastra prima di infilarsi nel reparto verniciatura, è un mostro con le fauci aperte, sarebbe il cofano alzato ma vuoto all’interno, privo del motore che significa la sua vita. Sola, solitaria, ultimo vagone dei sogni e delle opere, vuota di sedili, di lunotto, di vetri.
L’autore dell’immagine nostalgica, storica e malinconica si chiama Massimo Capano, pugliese di Sant’Agata, operaio un tempo, si diceva e si scriveva “tuta blu”, ormai l’abito da lavoro è bianco, come il colore dell’ultimo modello. Capano, oggi promosso a “tecnologo”, era salito, giovanissimo, al Nord, come mille e più dei ragazzi del sud, per dare un senso alla vita.
Lo stabilimento di Mirafiori era l’isola del tesoro, l’approdo per ricominciare, in un periodo già difficile, di lotte operaie e di crisi del settore automobilistico. Ma venne, dunque, l’idea di una nuova automobile. Melfi diventò la speranza del meridione, per qualcuno il ritorno a casa. La fabbrica era ancora un capannone, pioveva dai tetti, i bagni erano chimici, un senso come di precario, il ricordo di Capano è romantico, c’era da metter sù la squadra e l’impresa, senza badare ai dettagli, il comfort andava ricercato nella vettura.
Il primo modello costava diciassette milioni e settecentomila lire, chiavi in mano. Sembra una cifra alta, fuori da ogni portafoglio normale, riconvertita in euro sarebbero diventati quasi novemila. La Punto aveva il suo stile, tre e cinque porte, esibiva anche una versione cabriolet, carrozzata da Bertone, una, di colore giallo, è un pezzo rarissimo da collezione.
Punto, Grande ma non soltanto, era il tentativo di acchiappare il cliente giovane ma pure la famiglia tutta, quattro posti comodi, in breve il voglio e il posso assieme, senza strafare, in attesa di tempi migliori. Il costo, dunque, rientrava nei limiti consentiti, il mercato rispose bene, anzi ci fu un periodo nel quale la Punto superò nelle vendita la Golf che faceva moda a prescindere.
Le nuove tendenze si spostarono sulla Cinquecento, la Fiat stava cambiando pelle, la rivoluzione di Sergio Marchionne portò a scelte forti, anche dolorose ma di un futuro garantito. Proprio la scomparsa improvvisa dell’amministratore delegato ha accentuato le preoccupazioni degli operai di Melfi, lo stesso Capano spera che il nuovo management ribadisca il piano industriale di Marchionne, la Punto finisce al museo dell’auto, in catena appaiono l’ultima versione della Cinquecento X e la Jeep Renegade. Si viaggia verso l’America. Mettendo un Punto sul passato.