Digital: che accelerazione con la pandemia
La digitalizzazione del lavoro. Secondo il report di Deloitte, la media europea di lavoratori che ha provato il remote working per la prima volta dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19 è del 23%. Un valore che in Italia è ancora più rilevante, riguardando un intervistato su quattro (25%). Significativo anche il dato secondo cui il 38% dei rispondenti dichiara di essere riuscito a svolgere le proprie attività regolarmente durante il lockdown solo grazie all’innovazione tecnologica. Un chiaro segnale della trasformazione digitale su cui le imprese stanno spingendo, introducendo nuovi modelli e modalità operative.
La digitalizzazione dei consumi. Oltre ai significativi impatti sul mondo del lavoro e sulla sua organizzazione, le restrizioni causate dal Covid-19 hanno spinto i consumatori allo shopping on-line: il 30% degli europei intervistati ha scoperto lo shopping online e ha usato per la prima volta l’e-banking. Una percentuale ancora maggiore, pari al 35% degli intervistati, pensa che utilizzerà i canali di vendita digitali anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Anche gli italiani sono in linea con questa tendenza: colmando il gap che li separa dai cittadini di altri Paesi Ue, il 34% degli italiani ha sperimentato per la prima volta canali di vendita digitali, mentre il 32% ha usufruito di servizi di e-banking.
Limiti dell’innovazione: non tutto può diventare virtuale. L’emergenza sanitaria ha anche messo in luce anche alcune lacune infrastrutturali che ostacolano il corretto funzionamento delle tecnologie a disposizione. A esempio, circa 2 rispondenti su 5 denunciano la difficoltà ad accedere ai servizi scolastici erogati tramite piattaforme di e-learning così come la mancanza di condivisione di dati sanitari tra strutture. Ma, al di là dei limiti infrastrutturali, ciò che emerge è che il processo di digitalizzazione non consideri abbastanza l’aspetto umano. A pensarla così il 36% degli italiani, in linea con la media europea del 38%. Ma ci sono Paesi dove il problema è ancor più sentito, come la Francia, dove quasi la metà dei rispondenti (46%) lamentano tale carenza.
Alla base di questa percezione diffusa c’è il fatto che la dimensione digitale e quella fisica non sono sufficientemente integrate: da qui nasce la perdita di efficacia dell’innovazione. A esempio, chi durante il lockdown ha lavorato soltanto in “smart working” ha espresso in percentuale maggiore l’esigenza di contatto umano (55%) rispetto a chi ha lavorato in presenza o in modalità ibrida (50%).Per il futuro, quindi, si prevede che le soluzioni innovative più efficace e funzionali saranno costituite da un mix integrato di fisico e digitale.
Effetti collaterali della tecnologia incontrollata: il rischio infodemia. Infine, tra gli effetti collaterali dell’uso massiccio e incontrollato della tecnologia sperimentato per la prima volta durante la pandemia da Covid-19, c’è anche l’infodemia, ovvero quel fenomeno che l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha definito come «quell’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno».