Crisi dei microchip: tra Covid-19 e tensioni Usa-Cina

di Pier Luigi del Viscovo, direttore di Fleet & Mobility

La crisi dei microprocessori sta provocando notevoli grattacapi. In termini concreti, sta rallentando la ripresa dell’economia con molte produzioni che vanno a singhiozzo proprio quando invece dovrebbero accaparrarsi la voglia di spesa di miliardi di persone che hanno accumulato soldi sui conti e voglia di consumare in testa. Da un punto di vista geopolitico, è un’altra spinta forte a ripensare l’assetto attuale della globalizzazione. Lo sviluppo della Cina seguito al suo ingresso nel WTO sta facendo conoscere le sue ambizioni.

Un recente sondaggio di Centro Studi Fleet&Mobility per AgitaLab, think tank di Agenzia Italia, condotto presso 160 operatori del settore automotive, ha restituito una fotografia di grande consapevolezza. Un’ampia maggioranza concorda su una causa congiunturale, la pandemia, ma ancora di più sono coloro che ritengono di dover incastrare il fenomeno in un quadro strutturale di rapporti tra potenze.

 

Da un lato, c’è la pressione degli americani a non consentire alla Cina l’accesso alla tecnologia dei chip più avanzati per motivi di sicurezza militare. Dall’altro, la Cina fa sentire la forza del suo dominio sulle terre rare e altri materiali indispensabili per l’industria informatica ed energetica.

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