Cremonesi (Pr Kia): pendolare (in treno) da sempre e anche giramondo” 

di Roberta Pasero

 

Una vita andata e ritorno. Un’ora andare e un’ora tornare. Ogni giorno lo stesso viaggio, sempre e soltanto in treno. Da Caravaggio a Milano Certosa. E da Milano Certosa a Caravaggio (Bergamo). Una vita parallela da pendolare che Francesco Cremonesi, Pr assistant manager di Kia Italia, ha trasformato in un diario semiserio su Facebook dove racconta la commedia umana di un mondo abitudinario, ma sempre in movimento, osservato con uno sguardo che cambia secondo gli umori, i ritardi, i compagni di viaggio.

Quando è iniziata la sua vita da pendolare?

“In prima liceo. Oggi come allora il mio punto di partenza è Caravaggio. Prima verso Crema per le scuole superiori, poi a Milano per l’università e per il lavoro. Avevo 14 anni e ricordo che mia mamma il primo giorno mi ha portato in stazione e mi ha detto: “Questo è il biglietto. Quello è il tuo binario”.  In pratica: vai e buona avventura”.

 

Quali doti richiede la vita da pendolare?

“Bisogna essere persone abitudinarie ma non fare in modo che questa vita abitudinaria prenda il sopravvento. E si deve anche avere spirito di adattamento senza essere troppo viziati. Perché il tuo problema, i tuoi ritardi, i treni sovraffollati e tutto quanto capita sui binari, è esattamente il problema di centinaia di persone”.

 

Chi sono i suoi compagni di viaggio?

“Il treno è un mezzo di trasporto democratico: puoi avere la fretta che vuoi, puoi essere chi vuoi ma arrivi assieme agli altri. Su un treno di pendolari c’è un concentrato del mondo e delle sue realtà: i manager, gli studenti, chi tenta corteggiamenti, gli extracomunitari, tantissimi, che hanno portato colore e anche rumore ai viaggi. Ma quando sopprimono un treno si diventa tutti amici di tutti”.

Un modo per imparare la convivenza.

“Infatti. Sulla pensilina della stazione o su un treno incontri di tutto. Il nordafricano che ascolta il notiziario in arabo, il ragazzo centrafricano che ha musica rap a tutto volume, i giovani al primo giorno di lavoro che si indispettiscono per cinque minuti di ritardo senza sapere che li aspetteranno attese interminabili. E poi ci sono i riders che alle 18 e 30 salgono in treno addirittura con le biciclette e con i cubi refrigerati per andare a Milano e iniziare la loro giornata di lavoro”.

 

Come occupa il tempo del viaggio?

“Leggo tantissimo, studio, ascolto musica.E osservo cercando di scoprire chi ho di fronte. Riesco a stare nel mio mondo due ore al giorno. Un vero lusso che non avrei se viaggiassi in automobile”.

 

Lei viaggia in treno soltanto per la sua vita da pendolare? 

“No, anche in giro per il mondo, perché adoro viaggiare. Ho fatto per anni il giornalista e mi è rimasta la curiosità di partire, di scoprire, di esplorare. Per esempio, in treno sono stato in Vietnam del Nord, da Hanoi al confine della Cina, e poi da Mosca a San Pietroburgo e in Thailandia, in terza classe, tra drogati, polizia, venditori di pollo  e polpette. Ho visto sfilare davanti ai miei occhi un’umanità straordinaria”.

Quando è cominciata la sua vita vagabonda?

“Il mio primo viaggio da solo è stato con due amici, a 18 anni. Siamo partiti da casa con uno zaino carico di speranze e tanta buona volontà e siamo arrivati con ogni mezzo consentito fino al confine del Portogallo. A Valencia mi hanno rubato tutto e ho continuato con un sacchetto di cellophane come bagaglio. Ma certi viaggi insegnano a fare a meno del superfluo, come quando si va in Paesi, tipo la Cina, dove il telefono non prende e per orientarsi c’è bisogno di consultare la cartina geografica, le mappe come una volta”.

 

Ha un esempio di grande viaggiatore che l’ha ispirata?

“Da ragazzino il mio libro preferito era Capitani coraggiosi, ma soffrendo il mare ho potuto soltanto sognare con le loro avventure e non metterle in pratica. Poi mi immedesimai nel ciclo di Sandokan e guardando in televisione il Camel Trophy. Con la mia famiglia da bambino ho fatto vacanze bellissime in giro per l’Europa anche in camper. E adesso continuo a viaggiare anche con quello che ho ribattezzato il Francis Van, il mio mezzo della libertà”.

 

La passione del viaggio ha influito sulla decisione di andare a lavorare in un brand automobilistico?

“Sicuramente. Sono cresciuto con la passione per le auto e una delle parti più interessanti del mio lavoro sono proprio i viaggi. E non importa se molte volte non si fa in tempo a visitare la città dove si arriva, ma è bello anche stare in aeroporto: una delle mie esperienze indimenticabili è stata trascorrere una nottata in attesa di un altro volo nell’aeroporto di Muscat, in Oman, e vedere il popolo dei viaggiatori notturni muoversi tra le sale di preghiere, i profumi mediorientali, in un’atmosfera di grande magia che soltanto certi viaggi sanno regalare”.

 

1 Comments

  1. Gran bel personaggio. Sul lavoro e nella vita privata. e poi è anche interista!!!! Grandissimo

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