Covid-19: Deloitte e l’impatto sull’elettrico
Deloitte presenta un’analisi sull’attuale impatto del coronavirus sul settore Automotive da cui emerge un rallentamento di breve-medio termine nella transizione globale verso la mobilità elettrica, causato dallo shock esogeno che ha colpito il comparto con un contemporaneo crollo della domanda di mercato e della produzione industriale, e la necessità di uno slittamento degli attuali target di riduzione delle emissioni di CO2 per favorire il rilancio dell’industria automobilistica.
A livello globale, infatti, si prevede quest’anno un crollo della produzione di veicoli leggeri pari a circa 11 milioni di unità, dagli 88,9 milioni del 2019 ai 77,9 milioni per l’anno in corso. Si prevede un calo della produzione pari a -2,219 milioni di unità nel Nord America e -2,956 milioni in Europa. Anche in Italia, a marzo, si è registrato un crollo delle immatricolazioni dell’85% a quota 28.000 e l’emergenza potrebbe prolungarsi per almeno 4-6 mesi.
Nel medio-lungo periodo la transizione verso la mobilità elettrica non è in discussione, anche alla luce degli ingenti investimenti in innovazione realizzati dagli OEM e dalle istituzioni (ad esempio, il progetto European Battery Alliance da 3,2 miliardi di euro lanciato nel 2017 dall’Unione europea), ma è ragionevole attendersi nei Paesi occidentali un rallentamento della crescita del comparto nel breve termine.
Se in Europa il comparto elettrico aveva chiuso l’ultimo trimestre del 2019 con un tasso di crescita dell’80,5%, il blocco degli stabilimenti in Cina, il principale produttore di batterie al mondo con una quota superiore 50%, avrà significative ripercussioni sulla filiera internazionale, con un aumento dell’incertezza sulle tempistiche di trasformazione del settore e sulle stime per il 2020.
Giorgio Barbieri, partner di Deloitte e responsabile italiano per il settore Automotive: “Il passaggio dei Paesi più avanzati verso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili è un processo irreversibile, ma la complessità della tecnologia legata allo sviluppo della mobilità elettrica richiede enormi investimenti pluriennali, oggi poco compatibili con la contrazione dei margini di profitto e la crisi di liquidità delle imprese. A questa possibile contrazione degli investimenti, vanno aggiunti anche gli effetti dello slittamento del lancio di nuovo modelli elettrici, dovuti anche al rinvio dei principali eventi di settore”.
Inoltre, i modelli elettrici scontano prezzi di listino ancora elevati rispetto alla media del mercato, un aspetto rilevante in un contesto caratterizzato da crisi economica e incertezze reddituali. È probabile, infatti, che molti potenziali acquirenti rinvieranno la decisione d’acquisto a tempi di maggiore sicurezza economica o che la scelta ricada su sistemi di alimentazione tradizionali, che stanno peraltro beneficiando del crollo del prezzo del petrolio.
Nonostante i significativi tassi di crescita dei veicoli elettrici (+52.9% nel 2019 vs. 2018) e ibridi-elettrici (+49.8%), questo comparto rappresenta ancora una parte residuale del mercato Automotive occidentale: 1 milione e 356mila unità immatricolate in Europa nell’ultimo anno. Per rivitalizzare il mercato dopo il crollo dei volumi, imprese e governi non possono che puntare sulle auto più popolari, motorizzate a benzina e diesel, che nel 2019 hanno rappresentato in rispettivamente il 58.9% e il 30.5% delle vendite sul mercato europeo.
Tuttavia, come emerso dalla Global Automotive Consumer Study 2020 di Deloitte, una ricerca condotta su oltre 35.000 consumatori in 20 Paesi nel mondo, il mercato della mobilità elettrica mantiene notevoli potenzialità di sviluppo in un’ottica di lungo periodo, dato che cresce la preferenza dei consumatori per auto più ecologiche, soprattutto in Italia, dove l’interesse per i veicoli ibridi/elettrici sale al 71%.
È ragionevole prevedere che, in ragione del peso del settore Automotive sull’economia europea e degli sforzi finanziari già messi in campo dalla Bce per sostenerla, i vincoli ambientali debbano venire allentati per poter rimettere in moto la macchina industriale.
“Con il crollo delle vendite, non è immaginabile una penalizzazione dei modelli benzina o diesel che hanno maggior mercato. Inoltre, l’incertezza dell’effettiva ripartenza dei produttori asiatici di batterie e componenti elettrici potrebbe compromettere la supply-chain e la capacità produttiva dei veicoli elettrici in Europa”, commenta Barbieri.
Il mantenimento degli attuali vincoli emissivi di CO2 e delle relative sanzioni rappresenterebbe un ulteriore colpo inferto alle finanze dei produttori, con conseguenze lungo la value-chain (breve-medio periodo) e in termini di investimenti futuri in innovazione e sviluppo (medio-lungo periodo) essenziali per l’evoluzione della mobilità elettrica, con possibili ripercussioni anche occupazionali e quindi sociali. Tra le possibili soluzioni ipotizzabili, vi è lo slittamento temporale dei target di almeno uno o due anni, che consentirebbe alle imprese di ritrovare l’ossigeno di cui hanno bisogno per tornare poi a investire in innovazione.
Inoltre, il sostegno alla rottamazione dei veicoli più inquinanti tramite incentivi statali, rivitalizzerebbe le vendite mantenendo una vision orientata verso una mobilità più ecologica e sostenibile. Infine, sarebbe altrettanto importante l’estensione dei super-crediti e l’introduzione di maggiori benefici fiscali relativi all’acquisto di auto nuove, armonizzando le aliquote fra i diversi Paesi dell’Unione per rilanciare l’industria automobilistica europea nel suo complesso.