Corsa all’elettrico: primi esuberi, governo immobile
di Pierluigi Bonora
Sono tra 450 e 500 le imprese italiane della componentistica (circa 70mila lavoratori) operanti nelle motorizzazioni tradizionali che la svolta verso l’auto elettrica potrebbe costringere alla resa. Tutte aziende che non possono riconvertirsi dall’oggi al domani, per di più in assenza di un piano nazionale predisposto da un governo che, solo a parole fino a ora, sostiene che la sostenibilità ambientale non debba pregiudicare quella sociale. «Nei prossimi mesi, senza interventi decisi e sostanziosi, lo scenario è solo destinato a peggiorare», puntualizza una fonte industriale.
Bosch e i 700 esuberi nella fabbrica di Modugno (Bari) e la pisana Vitesco (750 i lavoratori dichiarati in eccedenza) rappresentano solo la punta dell’iceberg di una situazione ormai incandescente. C’è poi Marelli (550 gli addetti in uscita) che alle difficoltà interne del momento (riorganizzazione in corso; debito pesante da ripagare dopo l’acquisizione che nel 2019 ha portato l’azienda da Fca a CK Holdings; asset in vendita, come quello che produce ammortizzatori e sospensioni) vede unirsi la «tempesta perfetta» tra crisi dei chip, transizione green improvvisata, caro energia e materie prime.
Intanto, si fa sempre più concreta la profezia che Alberto Bombassei, ora presidente onorario di Brembo, ha fatto nel 2019: «Con l’auto elettrica sono a rischio un milione di occupati in Europa». Tutte persone soprattutto impegnate nell’indotto, «visto che i costruttori, tra la realizzazione di Gigafactory (per la produzione di batterie per le auto elettriche) e portando all’interno alcune produzioni, riuscirebbero a gestire meglio il problema», spiega la stessa fonte.
È comunque singolare come l’attenzione sia delle istituzioni sia di Acea, l’Associazione europea dei costruttori, sia per lo più focalizzata sulla necessità di accelerare la capillarizzazione delle infrastrutture di ricarica, mentre il tema industriale comincia a prendere corpo solo quando un’azienda dichiara esuberi e fa trasparire licenziamenti.
«I rischi a breve termine di una transizione mal gestita o, peggio, non gestita, non possono essere ignorati – afferma Marco Piccitto, senior partner di McKinsey -; raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette dipenderà dall’impegno di imprese, governi e singoli individui in tutto il mondo. E richiederà un cambio di mentalità a 360°, che comprenda anche il modo in cui ci si prepara ad affrontare le incertezze e i rischi a breve, ad agire in maniera più decisa, facendo fronte comune e utilizzando l’ingegno, oltre ad ampliare gli orizzonti di pianificazione e di investimento».
La transizione verso un futuro a emissioni zero, secondo uno studio di McKinsey, se ben gestita potrebbe invece portare a un saldo positivo di 15 milioni di nuovi occupati entro il 2050. È l’altra faccia della medaglia, ma bisogna creare fin da ora le condizioni.
SIAMO IN MANO A UNA MANICA DI IMBECILLI INVASATI CHE CI RIDURRANNO ALLA MISERIA !!!