Correva l’anno 1913: la prima stazione di servizio Gulf
di Marco Mocchetti
Il 1913 fu un anno importante per l’automobilismo. Fu infatti nel 1913 che aprì, a Pittsburgh, la prima stazione di servizio, inaugurata dalla Gulf. Sebbene alcuni facciano risalire al 1907 o al 1909 l’inaugurazione del primo impianto moderno, quello di Pittsburgh è normalmente considerato come il primo, vero esempio di stazione di servizio. Lo stile a “pagoda” dell’edificio preannunciava già quella ricerca architettonica che avrebbe caratterizzato il settore in futuro, e che negli Usa sarebbe stata a lungo caratterizzata da una spiccata originalità.
Certo, all’epoca la clientela scarseggiava; il parco circolante era appena di 500.000 automobili (alcune delle quali elettriche e a vapore) e le (misere!) vendite del primo giorno furono di circa 30 galloni (113 litri), venduti a 27 centesimi al gallone. La stazione aprì di martedì; al sabato, i galloni venduti erano già 350. L’impianto offriva gratuitamente acqua e aria compressa (e successivamente anche cartine geografiche), oltre a cambio gomme e pulizia del carter, ed era aperta 24 ore su 24.
Se all’inizio l’idea poteva sembrare fallimentare, solo 7 anni dopo esistevano negli Usa circa 15.000 stazioni di servizio, e le automobili iniziarono a diffondersi rapidamente; complice anche la Ford Model T, la cui produzione in serie iniziò proprio in quel fatidico 1913 (precedentemente era fabbricata con i metodi tradizionali).
Ma quali erano le caratteristiche delle auto di quell’epoca? Innanzitutto, si trattava di “giocattoli” molto costosi che, prima dell’introduzione della catena di montaggio, erano alla portata di pochissimi: ricchi, industriali e, ovviamente, politici e teste coronate. Rispetto alle auto di inizio secolo, quelle del 1913 erano ovviamente più evolute, al punto che, raccontava negli anni ’60 la rivista della Esso, “coloro che poterono comperare nel 1913 una automobile […] erano fermamente convinti che nessuna vettura del futuro avrebbe potuto offrire ai passeggeri” una maggiore comodità.
A quel tempo, infatti, optional come il parabrezza, il tetto e l’accensione automatica erano praticamente d’obbligo per ogni vettura. Anche le forature non erano più un problema, dato che i moderni cerchioni smontabili permettevano agli automobilisti di portare con sé una gomma di scorta, invece di dover rattoppare alla meglio quella vecchia; problema non da poco, sulle strade dell’epoca, al punto che c’era chi di ruote di scorta ne caricava due o tre.
Per la verità, queste auto non erano molto pratiche; il “tetto” era costituito da un “tendone” difficilmente regolabile, sostenuto da sbarre d’acciaio, da cui andavano eliminate le pieghe e al quale bisognava dare la giusta rigidità. “Un paio di robusti meccanici e il proprietario […] potevano sistemare il tetto in venti minuti, mezz’ora al massimo”. Impensabile per i ritmi frenetici di oggi, ma per l’epoca si trattava evidentemente di un metodo semplice e innovativo.
Moderne e funzionali anche le tendine laterali, mentre in mancanza di tergicristalli il parabrezza era staccabile o, meglio ancora, apribile, per avere sempre la massima visibilità. La procedura di accensione, che avveniva tramite interruttori, manopole e leve, risulterebbe oggi alquanto macchinosa, ma all’epoca era considerata estremamente pratica. Con il processo di avviamento “il motore… partiva, diciamo, sette volte su dieci”. La buona riuscita o meno dell’operazione dipendeva anche dalla miscela di benzina usata e dalle condizioni atmosferiche. Male che fosse andata, bisognava aprire alcune valvole e “introdurre una certa quantità di benzina direttamente nei cilindri”. Insomma, diciamo che quanto a sicurezza non era proprio l’ideale…
Un’importante innovazione riguardò i fari: “quando si poterono comandare i fari anteriori (a gas) dall’interno […] sembrò che il limite della perfezione fosse stato raggiunto. Ma si trattò di un miracolo di breve durata perché nel ’13 si era ormai diffusa la luce elettrica”. Inutile dire che i nuovi fari elettrici spopolarono immediatamente! Meno diffuse le portiere, che rimasero ancora “un lussuoso accessorio” dotato di capienti tasche portaoggetti. Quell’anno fecero poi la loro comparsa i primi finestrini che “potevano essere sollevati e abbassati mediante cinghie”.
I parafanghi erano invece costituiti di cuoio verniciato, anche se le auto da corsa ne utilizzavano uno rigido rivestito in tela. L’optional che colpì tutti, però, fu il clacson, o come si diceva all’epoca “la tromba a bulbo”, incorporata nell’abitacolo e non visibile all’esterno.
Insomma, se oggi queste auto ci sembrano scomode e primitive, all’epoca erano considerate un esempio di comfort e tecnologia, l’ideale per affrontare le strade sconnesse di inizio secolo. “Guidare era sorprendentemente piacevole […]: non si trattava soltanto di viaggiare velocemente, era uno sport, un vero passatempo, un’autentica delizia”.