Come investire nella transizione energetica

di Rodolfo Fracassi*

Negli ultimi decenni il settore energetico è stato protagonista di una vera e propria rivoluzione: in Europa, l’elettricità è ormai generata non solo da fonti energetiche tradizionali quali carbone (11%) oppure nucleare (25%), ma anche da una consistente quota di rinnovabili (dati Eurostat, 2017). In particolare, il peso di queste ultime ammonta al 30% del totale, un dato che venti anni fa sarebbe stato inimmaginabile persino per gli ambientalisti più speranzosi.

Tuttavia, il settore energetico è ancora molto eterogeneo: una caratteristica di cui bisogna tener conto quando lo si approccia in ottica di investimento. A fronte di aziende che hanno sempre operato nel campo della sostenibilità e che possono essere definite “pure players” nel settore delle energie pulite e rinnovabili, vi sono quelle che hanno intrapreso un percorso di transizione energetica.

Al primo gruppo, i player puri focalizzati sull’energia pulita, appartiene ad esempio Vestas, azienda danese leader globale in termini di soluzioni per la creazione, sviluppo e installazione di turbine eoliche, con la maggior quota di mercato nell’industria. A oggi ha istallato turbine che producono 101 GW, rispetto ad un totale mondiale di 591 GW.

Guardando nel dettaglio alle aziende che stanno compiendo una transizione energetica, possiamo innanzitutto identificare quelle che hanno concluso con successo questo percorso, incentrando il loro modello di business sulla sostenibilità. Due aziende simbolo in questo ambito sono la danese Orsted e l’italiana ERG, che hanno caratteristiche comuni: in passato avevano business collegati all’oil&gas, ma hanno dismesso le operazioni brown per passare alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Orsted è oggi leader mondiale nell’offshore wind, mentre Erg è la principale società italiana attiva nell’eolico e solare e si sta espandendo in altri Paesi europei. Entrambe hanno deciso di rifinanziarsi tramite l’emissione di green bond e hanno saputo spiegare in modo chiaro il punto di partenza e la direzione della loro trasformazione tramite una comunicazione trasparente ed efficace.

Esistono poi casi di aziende che si trovano nelle prime fasi della transizione energetica: BP ha per esempio annunciato che ridurrà la sua impronta ambientale, fissando degli obiettivi ambiziosi da raggiungere entro il 2025, come la riduzione delle emissioni di gas serra pari a 3,5 milioni di tonnellate, mentre Total ha dichiarato che gli asset green potrebbero raggiungere il 25% nel 2035.

Gli investitori responsabili possono quindi affiancare alle società “puramente” green e a quelle che hanno compiuto con successo la transizione energetica, le aziende che oggi stanno compiendo i primi passi di questo percorso e saranno potenzialmente leader in futuro. È però necessario compiere un’attenta analisi degli obiettivi dichiarati e dei risultati raggiunti da tali aziende per mantenere una forte coerenza rispetto alla connotazione di sostenibilità del portafoglio.

In conclusione, è importante monitorare con attenzione le azioni e le dichiarazioni da parte delle aziende in ambito sostenibilità, cercando di capire se (e come) le aziende brown vogliono diventare green. A fronte di tempistiche particolarmente dilatate o di impegni molto generali, il rischio di greenwashing (proclamare presunti comportamenti sostenibili in modo tale da ottenere un maggior profitto andando ad attirare l’attenzione di quella fascia di consumatori attenti alla salute del pianeta, ndr) potrebbe rivelarsi concreto.

*Amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners

 

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