C’è chi sogna una città senza auto
di Pier Luigi del Viscovo*
Ma dove andranno tutti quanti? Le macchine degli altri danno fastidio. A lamentarsi in genere sono gli stessi automobilisti, non capendo perché anche altri debbano girare in macchina, creando traffico e rallentandoli. I pedoni tutto sommato non ci fanno caso più di tanto, salvo gioire intimamente per il fatto di non trovarsi imbottigliati. Sì, perché a rotazione siamo tutti automobilisti e tutti pedoni. Ma le auto sono anche dannose, perché producono CO2 e polveri sottili, quelle diesel.
E così è partita una guerra alle auto nelle città, vestita da ambientalismo ma coltivata nel terreno fertile dell’avversione al simbolo di una borghesia in chiave anti-operaia. Tanto che alcune grandi metropoli (con in testa Parigi, dove giustamente ci si aspetta che nascano le rivoluzioni moderne) hanno dichiarato espressamente la visione di una città senza auto. La strategia, ispirata dall’urbanista Paul Lecroart, è quella di sottrarre gradualmente le strade al traffico.
La macchina è indispensabile
Solo che per paradosso l’uso cittadino dell’auto in maniera massiccia e indispensabile è più un appannaggio dei lavoratori che dei benestanti, che possono permettersi di vivere e lavorare in zone limitrofe, laddove i primi sono spesso costretti a spostarsi da quartieri dormitorio ai centri direzionali, accompagnando e riprendendo i figli a scuola. Ma il nuovo Millennio è fondato sul superamento dei conflitti, non sul loro sovvertimento. Allora, sarà il caso di ripensare davvero, e in senso non ideologico, l’urbanistica delle città che, non dovendo più relegare in zone periferiche le industrie inquinanti, potrebbero rimettere insieme la vita residenziale e privata con i luoghi del lavoro concettuale, riducendo così le distanze. E destinare interi fabbricati al parcheggio delle auto, che sono il vero ostacolo a una circolazione meno invasiva: così si riduce e fluidifica traffico, non eliminando le strade sulla pelle dei lavoratori. Per avere poi un traffico meno nocivo, sembra imperativo andare verso auto ibride, che in città possano fare a meno del motore termico.
Inoltre, spesso si dice che in Italia i mezzi pubblici coprano solo il 13% della mobilità, perché inadeguati. Però dobbiamo anche considerare che c’è una domanda di mobilità individuale, che forse non vuole rinunciare al mezzo proprio, e preferisce uno scooter sotto la pioggia a un bus in ritardo.
Vi sono diversi fattori che portano le classi al potere a limitare l’uso delle auto da parte di coloro che non sono ‘più uguali degli altri’. Da un lato, il fatto che degli “operaiacci” possano invadere con le loro utilitarie le strade rode sia ai ‘capitalisti’, sia agli esponenti delle ‘nomenklature’: esempio ne è stato il fatto che, nella città dove vivo, per anni una strada è stata chiusa o aperta, a seconda dell’equilibrio di correnti nella giunta comunale, perché la circolazione dei cittadini disturbava un alto ‘boiardo’ pci-pds-ds-ecc.
Ma credo vada anche considerato il fatto che l’automobile è l’oggetto più potente e potenzialmente pericoloso che sia dato controllare alla maggioranza delle ‘persone qualunque’. Questo evidentemente crea problemi a chi considera il popolo non un insieme di cittadini dotati di libertà e responsabilità personali, ma un mucchio informe di sudditi da controllare e reprimere, lasciando loro solo la facoltà di consumare e ‘sganzare’ su fu.kbuck. Non è un caso che, mentre ancora l’auto che si guida da sola è a livello di prototipi, siano già in commercio vetture che frenano e sterzano di propria iniziativa in casi di ritenuta emergenza. A parte considerazioni tecniche e sociologiche, mi sorge un dubbio in proposito: se un domani una di queste auto per errore causerà un incidente, chi sarà il colpevole: il [non]-guidatore, la ditta costruttrice o lo sviluppatore del sw?