di Claudio Villa, presidente di Federtrasporti
La carenza di autisti nel settore dell’autotrasporto è diventata una vera, con il rischio di mettere in pericolo la ripresa economica dopo la crisi pandemica. Per risolvere tale emergenza, occorre individuare soluzioni che puntino soprattutto sulla formazione, sulla facilitazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, sull’avvio di percorsi in grado di avvicinare i giovani al volante di un camion. Ma è anche necessario lavorare sul miglioramento dell’immagine della professione, spesso preda di quei luoghi comuni che disegnano i camionisti come vestiti con canottiera, dotati di pance prominenti, prodotte da scorpacciate in trattorie per camionisti, celebrate anche da programmi televisivi poco edificanti per la considerazione del settore.
Nell’opinione pubblica manca la percezione dell’utilità sociale ed economica della professione di autista, il fatto cioè di essere una pedina insostituibile all’interno di un meccanismo distributivo delle merci che non può fermarsi, nemmeno nei giorni più statici del lockdown. Una percezione contrastata anche da una tendenza culturale che ha introiettato in chi acquista online la convinzione che «il trasporto sia compreso nel prezzo». E che quindi non valga nulla. Sono cinque le soluzioni pratiche – quasi tutte ininfluenti per la finanza pubblica – per rendere più attrattiva la professione di autista. Abbattere i costi della CQC, prevedendo che una parte degli insegnamenti teorici e l’intera parte relativa alle esercitazioni pratiche degli aspiranti autisti siano svolte all’interno delle aziende. In questo modo si otterrebbe il vantaggio non solo di abbattere i costi (in quanto diminuirebbe per i candidati il monte ore da frequentare), ma anche di ridurre la distanza tra domanda e offerta di lavoro. È evidente infatti che, al termine del percorso formativo, l’azienda avrebbe tutto l’interesse di assumere la persona che lo ha frequentato. Prevedere una corsia preferenziale per far assumere alle aziende di autotrasporto i lavoratori di società in difficoltà o impiegati in settori produttivi in crisi. In pratica, si potrebbe ipotizzare di far acquisire loro una patente superiore tramite agevolazioni pubbliche e tramite l’iter formativo aziendale proposto nel punto precedente, fornendo poi alle stesse aziende che li formano e li assumono un azzeramento della contribuzione previdenziale per tre o più anni, a prescindere dall’età. Diminuire l’età minima (oggi di 21 anni) per acquisire le patenti superiori anche soltanto di un anno, non tanto per ampliare la platea degli aspiranti, quanto per saldare il tempo tra la fine degli studi e l’opportunità di salire in cabina. Sarebbe infatti importante che un giovane, già nel momento in cui porta a termine il suo percorso di studi, avesse la possibilità di mettersi subito in moto per raggiungere l’obiettivo di lavorare al volante di un camion. Perché il rischio attuale è che lo consideri troppo lontano nel tempo e quindi, seppure interessato alla professione di autista, vada a fare per forza di cose altro. Prevedere in seno alla riforma degli istituti professionali un corso dedicato alla logistica e al trasporto merci, tramite il quale accompagnare i giovani non soltanto verso la professione di autista, ma anche orientarli verso quelle professionalità sempre più richieste e sempre più carenti all’interno del comparto (dai meccanici di veicoli pesanti fino agli stessi imprenditori) e in grado di stimolare un necessario ricambio generazionale. Potrebbe altresì essere utile contemplare un tirocinio presso le strutture aggregative (consorzi e cooperative), perché questa tipologia aziendale, storicamente fondamentale per l’emancipazione professionale dei trasportatori artigiani (anche detti «padroncini»), ha funzionato e può continuare a funzionare come palestra e come «scuola» di imprenditorialità. Prevedere un credito di imposta di almeno il 50% per le società di produzione cinematografiche che scelgano di realizzare film o serie TV che abbiano come protagonisti conducenti di camion o che siano ambientati all’interno del mondo del trasporto merci su strada. La giustificazione di questa misura è presto detta: soltanto una decina di anni fa nessun giovane avrebbe mai contemplato il mestiere di cuoco come prospettiva professionale, perché era un mestiere difficile, gravato da tensioni, consumato in ambienti non sempre salubri, ecc. Eppure, dopo che il cuoco è entrato in televisione e si è trasformato in uno «chef», il numero delle iscrizioni negli istituti alberghieri è schizzato in alto. Tutto questo perché spettacolarizzare una professione la rende attrattiva. Il trasporto, quindi, potrebbe essere reso utile e avvincente raccontandolo come una prova, come una sfida da superare ogni giorno, come una missione da portare a termine a prescindere dalle contrarietà da dover fronteggiare.
A proposito dell’ultimo punto, Federtrasporti sta lanciando un premio da assegnare agli studenti delle scuole di cinema che si misurino nella stesura di una sceneggiatura ambientata nel mondo del trasporto merci, fornendo possibili ausili anche in fase di documentazione. Questi materiali potrebbero diventare utili o di ispirazione per le Case produttive interessate a rendere «protagonista» il settore e motivate a tale scopo dall’esistenza dall’auspicato credito di imposta.