Borkert (Lamborghini): quei primi schizzi di auto al di là del Muro
di Roberta Pasero
Ognuno di noi ha un fermo immagine della sua vita. Un momento indelebile impresso nella memoria del cuore. Un fotogramma che rimanda a un’emozione unica, irripetibile. Il fermo immagine di Mitja Borkert, quarantasei anni, da quasi cinque appassionato direttore del design Lamborghini nel cuore creativo e industriale di Sant’Agata Bolognese (Bologna), è un garage al di là del Muro di Berlino. Primi anni Ottanta, Germania dell’Est. Qui dove la creatività era l’unico lusso che ognuno potesse permettersi. Qui dove il filo spinato graffiava anche i sogni di un bambino.
Il suo sguardo si perde nel backstage dei modelli che hanno fatto la storia del marchio, da Miura a Terzo Millennio. Tra le maquette multicolore delle ultime Lamborghini, tra i materiali che si trasformeranno presto in hypercar, nel centro stile di Sant’Agata Bolognese. “Avevo sette anni quando cominciai a disegnare automobili. Al di qua del muro non c’erano molti modelli d’ispirazione. Prendevo la matita e su un foglio di carta ridisegnavo la Lada perché con la mia fantasia pensavo che il suo nome, ispirato alla dea lituana di amore e bellezza, mi aiutasse a realizzare il sogno di creare, un giorno, una supercar”, spiega Borkert. “Un pomeriggio andai in garage, spostai con la forza della mia passione la Trabant di mio padre e scolpii nel legno il mio primo modello di auto”.
Il car designer che oggi trasforma una linea disegnata a matita nelle dream car Lamborghini é nato in quel garage. E quando nel 1989 il muro si sgretolò Mitja Borkert a 15 anni cominció a costruire il suo futuro: laurea in Trasportation Design all’Università di Scienze applicate di Pforzheim, 17 anni in Porsche dove ha firmato anche Panamera Sport Turismo, Boxster 987 facelift, Cayenne e Macan. Poi la realizzazione di un sogno: disegnare le forme di Lamborghini, supervisionando o creando Huracán Performante, Urus, Aventador Roadster SVJ, la concept Terzo Millennio, la one-off SC18 Alston. E ancora Super Trofeo Evo, Huracán EVO, Sián FKP37, Lambo V12 Vision Gran Turismo. Con negli occhi e nel cuore Countach, Espada e Miura, tre storiche opere d’arte di Marcello Gandini.
Automobili che fanno parte del Dna Lamborghini e come tali sono esposti simili a opere d’arte nel Museo delle Tecnologie MuDeTec, un tutt’uno con il quartier generale Lamborghini, ed é anche qui, in questo mondo di auto, ma anche di sogni, di carbonio e di eccellenza made in Italy oltre la linea del tempo, che nasce l’ispirazione. “E’ anche un laboratorio dove sviluppare le conoscenze che hanno reso queste vetture iconiche”, riflette il car designer. “E’ un viaggio nel sogno firmato Ferruccio Lamborghini e cominciato nel 1963. Perché dalla storia si deve prendere sempre ispirazione per pensare al futuro”.
Ma cosa fa di Lamborghini una Lamborghini? Lo raccontano gli oggetti sulla scrivania di Borkert: matite bianche, cartoncini neri, temperamatite, modellini colorati di automobili heritage. S’illumina il designer venuto dall’Est: “In ogni Lamborghini dev’essere presente una linea centrale, proprio quella inventata da Gandini”, spiega mentre traccia con un movimento danzante della matita l’inconfondibile silhouette Lamborghini.
“Non possono mancare anche le linee diagonali sul cofano, così come quelle sullo specchio di coda. Poi il tipico arco “accelerato” del passaruota posteriore. E le proporzioni architettoniche, profilo basso e tanta spigolosità”. Due tratti e via. Sembra facile. Sembra un sogno. “Dal nostro team di una quarantina di matite creative fast & furious aspettatevi sempre l’inaspettato”, riflette. “Perché, qui in Lamborghini, ogni giorno l’impossibile diventa sempre più possibile”.