di Cinzia Franchini, portavoce di Ruote Libere
Il malore del quale è stato di recente vittima un autotrasportatore di 72 anni, deceduto in provincia di Perugia mentre si trovava alla guida del suo camion, riapre il dibattito sulle norme che regolamentano la professione. Sottoscriviamo l’appello dei sindacati, lanciato in seguito all’incidente, sulla necessità di migliorare le condizioni di lavoro di chi muove le merci nel nostro Paese: del resto il fatto che oggi solo il 18% di chi guida un mezzo pesante in Italia abbia meno di 40 anni, è la fotografia di una difficoltà concreta. Ennesima dimostrazione di come la mancanza di autisti nel nostro Paese sia legata a una professione sempre più sfruttata e senza garanzie, nemmeno pensionistiche, un problema che l’assurda ipotesi di importare altra manodopera a basso costo dall’estero, agendo sul Decreto Flussi, non farebbe che aggravare.
Detto questo, purtroppo, un malore può avvenire sempre a qualsiasi età e va ricordato che le norme per il mantenimento di una patente “c” prevedono, dopo i 68 anni d’età, la verifica del permanere dei requisiti di idoneità psico-fisici attraverso la visita in commissione medica. Per i lavoratori artigiani quindi, così come per altre attività in proprio, non vi sono limiti di età invalicabili.
Al netto di chi continua a lavorare per amore del proprio lavoro, occorre però accendere i fari su chi prosegue l’attività perché costretto per necessità. Spesso purtroppo i trattamenti pensionistici di cui possono beneficiare gli autotrasportatori artigiani sono molto bassi. La causa è sempre la stessa. In primo luogo non avendo il settore, sempre più frequentemente, una marginalità reddituale decente, sta generando pensionati poveri, obbligati di fatto a proseguire l’attività lavorativa.
In secondo luogo l’agevolazione fiscale delle cosiddette “deduzioni forfettarie” se da un lato è il solo ossigeno rimasto per la sopravvivenza di molte piccole imprese, dall’altro, andando ad abbattere drasticamente il reddito sul quale si versano anche i contributi previdenziali, produce come risultato nel tempo una netta riduzione pure del trattamento pensionistico. Insomma davvero un cane che si morde la coda. E’ così quindi che molti pensionati-autotrasportatori si ritrovano con assegni inferiori ai mille euro al mese. Ecco allora che il continuare a lavorare sopra i 70 anni diventa spesso una necessità economica e non una scelta. Infine sottoscriviamo il rilievo dei sindacati sul dato relativo alla professione usurante, ma ricordiamo che per l’Inps quello dell’autotrasportatore non è formalmente un lavoro usurante, nonostante le evidenze dicano il contrario.