Automotive: indispensabile un Piano nazionale
di Gianluca Benamati, deputato, capogruppo Pd alla Commissione Attività produttive della Camera
Nel Dopoguerra il decollo della motorizzazione di massa e lo sviluppo dell’industria dell’auto diedero un poderoso contributo alla ricostruzione del Paese e al miglioramento della qualità della vita degli italiani. Nella ricostruzione di cui c’è bisogno ora, dopo le devastazioni della pandemia, il settore dell’auto può dare di nuovo un vigoroso contributo alla ripresa inserendosi in maniera decisiva nel progetto della transizione ecologica.
Il settore dell’automobile è oggi, come ieri, un pilastro dell’economia italiana. Più di 5.500 imprese, un milione e duecentomila addetti e un fatturato con un’incidenza percentuale sul Pil a due cifre includendo i servizi. Sono numeri imponenti, ma che non rappresentano singolarmente l’importanza del comparto. La sola componentistica, infatti, vale 50 miliardi annui e fornisce un saldo attivo alla bilancia commerciale di 6.5 miliardi, mentre l’auto ha il più alto moltiplicatore di valore aggiunto nel settore industriale ed è trainante per le spese di ricerca ed innovazione.
Oggi l’automobile sta vivendo molti cambiamenti, innanzitutto nelle motorizzazioni dove il progressivo superamento dei combustibili fossili previsto nella transizione ecologica ha definitivamente aperto la strada alla propulsione elettrica, all’uso dei biocarburanti ed in prospettiva all’idrogeno. Ma vi sono anche i temi dell’innovazione, come la guida autonoma, che spingono la competitività del settore verso ricerca e sviluppo. Una sfida epocale per l’industria automobilistica italiana che deve seguire lo sviluppo mondiale, adeguandosi velocemente alle nuove tecnologie emergenti.
Adesso siamo di fronte a un bivio che può permetterci di rilanciare questo settore colmando il differenziale creato negli anni passati e proiettandolo nel futuro. È per questo che l’occasione del Recovery Fund è vitale e non va sprecata e l’auto deve trovare quello spazio che sino ad oggi non ha avuto. L’attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è troppo debole e del tutto insufficiente su questo. Va da sé che la diffusione di una nuova mobilità elettrica richiede un’infrastrutturazione capillare e idonea (a esempio, stazioni di ricarica veloce sulle arterie di lunga percorrenza) come precondizione per lo sviluppo di settore.
Nell’ambito di una chiara politica di sostegno al cambiamento servono, infatti, interventi di politica industriale specifici. Il primo è il sostegno agli investimenti in ricerca, innovazione e alla prima industrializzazione. Un’azione che si rivolga allo sviluppo di componenti – batterie e fuel-cell – ma anche di nuovi prodotti e materiali, dell’elettronica, della digitalizzazione, della connettività e della gestione dei dati. Un secondo intervento deve riguardare il capitale umano. La formazione delle competenze necessarie all’incremento dei nuovi trend tecnologici e la riqualificazione delle figure professionali oggi impegnate, sia nel settore produttivo che commerciale, sono passaggi da non disattendere. In questo contesto anche il previsto rafforzamento degli ITS e delle lauree STEM può e deve comprendere un forte orientamento specifico.
Infine, è necessario immaginare interventi sulla filiera, anche finanziari, a sostegno delle imprese con misure che favoriscano i processi di consolidamento tra operatori e supportino il loro adeguamento tecnologico. Non dobbiamo poi dimenticare che il nostro parco circolante di autovetture (38,5 milioni) e di veicoli commerciali (3,97 milioni) è tra i più vetusti, insicuri ed inquinanti d’Europa con il 29 % delle vetture e il 47% degli autocarri che hanno un’omologazione tra Euro 0 e Euro 3.
Numeri che indicano l’urgenza di politiche di aiuto allo svecchiamento del circolante anche per cogliere gli obiettivi ambientali che ci siamo dati. Sostenere la produzione in Italia e aiutare il comparto cruciale della componentistica in questa fase sono due azioni imperative, c’è da augurarsi che il nuovo governo e la revisione del PNRR vadano in questa direzione, che è la direzione della transizione ecologica.