Auto e strategie: più una partita politica che ambientale
di Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro studi Fleet & Mobility
Quel che succede nell’industria dell’auto trova spesso le sue cause in fattori che poco hanno a che vedere con le tematiche raccontate e percepite dal pubblico. È un’industria fortemente incastrata negli interessi economici degli Stati, perché occupa milioni di addetti e investe miliardi nella ricerca, e soprattutto per il peso nella bilancia commerciale e nello sviluppo delle tecnologie.
Nel Vecchio Mondo è la Germania il boccone grosso. Nel 2019 è stata il primo esportatore di auto globale, con 145 miliardi, e importazioni pari alla metà, 75 miliardi.
Per i cinesi è un valido motivo per entrare nel capitale dei costruttori tedeschi (che ovviamente più sono deboli e più sono scalabili: il “deserto dei profitti” torna comodo) e per attirare in Cina quel flusso enorme di investimenti in modo da produrre in loco.
Verso gli Usa, invece, dal 2014 le esportazioni sono invece calate molto sia in assoluto, da 27 a 21 miliardi, sia in quota, dal 3,8 al 2,7 per cento. Aver scatenato nel 2015 il Dieselgate ha dato frutti. Gli americani stanno giocando due partite: Cina e Russia. Più la Germania si lega ai cinesi nell’auto (connettività e 5G) e ai russi nell’energia (il Nord Stream 2), più gli Usa si irritano.