Allarme CO2: clima, investitori e “codice rosso”

di Stéphane Monier, Chief Investment Officer, Banque Lombard Odier & Cie SA

Un report delle Nazioni Unite di agosto ha stabilito che i livelli così elevati di anidride carbonica nell’atmosfera, mai toccati in due milioni di anni, sono una prova “inequivocabile” dell’attività umana sul cambiamento climatico. La prima parte del report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, alla sesta edizione dal 2013, supporta la nostra tesi secondo cui le aziende devono agire più velocemente, creando vincitori di mercato e opportunità di investimento nella transizione verso un’economia a zero emissioni nette di carbonio, offrendo maggiori rendimenti corretti per il rischio.

Il report mette in evidenza il forte impatto del cambiamento climatico, associando i dati ad alcuni eventi, come inondazioni, siccità e incendi. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha descritto la situazione come un “codice rosso per l’umanità”. Questo secolo assisteremo all’innalzamento delle temperature al di sopra della soglia dei 2°, fattore che produrrà a effetti irreversibili per il clima, a meno che non si riescano a ridurre profondamente le emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas serra nei prossimi decenni.

Il report dell’IPCC dovrebbe servire a rafforzare la già solida domanda di soluzioni d’investimento che combattono il cambiamento climatico. Segnala un periodo caratterizzato dall’intensificazione della sensibilità e della reazione del mercato ai rischi legati al clima, che porta a delle alterazioni nell’universo degli investimenti. Secondo il World Economic Forum, nel 2020 la capitalizzazione di mercato delle aziende “clean tech” è cresciuta di circa 1.000 miliardi di dollari, mentre quella delle aziende del settore Oil&Gas è ridotta di circa 680 miliardi di dollari.

Tre rischi chiave

Gli investitori dovrebbero tenere in considerazione tre rischi legati al cambiamento climatico durante il processo decisionale degli investimenti: rischio di transizione, fisico e di responsabilità: In primo luogo, l’esposizione alla transizione verso un’economia a zero emissioni nette comporta una serie di rischi, da quelli normativi alle imposte sul carbonio, ai cambiamenti della domanda man mano che i clienti scostano sempre più la loro attenzione dai prodotti e servizi a elevate emissioni di carbonio. Se da un lato questo rappresenta un rischio per la sopravvivenza stessa delle aziende che non vogliono o non possono adeguarsi, dall’altro può consentire loro di generale valore attraverso strategie di business con un impatto positivo sul clima.

In secondo luogo, gli asset esposti ai rischi fisici del surriscaldamento globale, ovvero eventi estremi più frequenti come uragani, inondazioni e incendi, affrontano importanti problemi in termini di valutazione. Le aziende i cui beni, catene di fornitura o bacini di clienti si trovano in regioni ad alto rischio potrebbero subire ingenti perdite finanziarie. Ovviamente questo è un problema che coinvolge specifici settori come il real estate e quello assicurativo. Infine, il settore privato e pubblico sono esposti a rischi di responsabilità via via che la responsabilità di un’azienda nel ridurre le emissioni di gas a effetto serra e il loro impatto sul clima diventano più evidenti, creando potenzialmente notevoli passività in alcuni bilanci. Stiamo assistendo a controversie legate al clima, connesse alle emissioni storiche delle aziende, al fatto che non sono riuscite a mitigare tali emissioni o ad adattare le loro infrastrutture. Il database del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment della London School of Economics conta 1.859 casi di controversie relative al clima.

A maggio di quest’anno, un tribunale dell’Aia ha ordinatoo a Royal Dutch Shell di ridurre entro il 2030 le emissioni di carbonio del 45% rispetto ai livelli del 2019. Il tribunale riteneva che i programmi dell’azienda per ridurre le emissioni fossero molto vaghi e le ha ordinato di allinearsi con gli impegni previsti dell’Accordo di Parigi. A marzo, la Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti ha annunciato di voler armonizzare le comunicazioni delle aziende sui rischi legati al clima, rendendole più simili tra loro in modo da poter essere confrontate e potenzialmente passibili di contestazione

In quanto investitori, miriamo a valutare questi rischi legati al clima e il loro probabile impatto sul valore degli asset di un portafoglio utilizzando una metrica denominata Climate Value Impact (CVI), che misura l’esposizione totale di un’azienda a questo triplice rischio climatico e aiuta ad analizzarne l’impatto sulle valutazioni. A nostro avviso, tra i tre rischi, crediamo che attualmente quelli di transizione siano i più significativi. L’esposizione alla transizione, in determinati scenari di surriscaldamento globale, mira a identificare la percentuale di ricavi di un’azienda che potrebbe essere colpita dalla transizione verso un’economia a zero emissioni.

La CVI ci permette di distinguere le aziende non esposte alla transizione (dal momento che i loro ricavi non sono legati alle emissioni di gas serra); quelle che potrebbero avere un’impronta di carbonio significativa, ma che stanno comunque contribuendo a ridurre le emissioni in altre aree dell’economia; quelle che sono altamente esposte alla transizione a causa delle alte emissioni ma che sono sulla giusta traiettoria per ridurle, con ricavi che noi definiamo “ice cubes” e quelle che hanno un’esposizione simile, ma che invece non sono sulla buona strada per ridurre le emissioni, con ricavi del tipo “tizzoni ardenti”.

Questa analisi ci consente di determinare la percentuale dei ricavi di un’azienda potenzialmente esposta alla transizione verso un’economia a impatto zero e di stabilire se questi ricavi risulterebbero esposti in modo positivo o negativo. In questo modo puntiamo a distinguere le aziende al fine di effettuare allocation migliori e maggiormente informate per quanto riguarda il clima. Le aziende con un’esposizione positiva alla transizione climatica, che offrono prodotti e servizi che possono trarre beneficio dall’aumento della domanda in scia al progredire della transizione, come le energie rinnovabili e la mobilità elettrica, saranno esposte positivamente alla CVI.

Le aziende dei settori con emissioni elevate – tra cui acciaio, cemento e prodotti chimici – saranno altamente esposte alla CVI, ma la positività o la negatività dell’esposizione dipenderà soprattutto dalle strategie di transizione implementate dalle aziende stesse. I leader della transizione possono ottenere significativi vantaggi di mercato.

 

È necessario agire ora

Se gli eventi estremi diventano più frequenti, allora il target delle zero emissioni nette entro il 2050 potrebbe non essere più sufficiente. Se non anticipiamo le tempistiche avremmo bisogno di un numero maggiore di iniziative di adattamento per minimizzare gli effetti negativi del cambiamento climatico. Queste considerazioni dovrebbero portare a una spinta in termini di equilibrio tra le decisioni di investimento che riguardano la mitigazione degli effetti con quelle che riguardano l’adattamento degli stessi. Tutto questo significa agire adesso è più importante che mai.

Le banche centrali stanno assumendo un ruolo sempre più centrale sul fronte delle politiche. Recentemente la Banca Centrale Europea ha pubblicato un piano d’azione che illustra i progressi che intende fare nella transizione verso un’economia carbon neutral. Il piano include lo sviluppo di nuovi indicatori sperimentali che comprendono strumenti finanziari green rilevanti e l’impronta di carbonio delle istituzioni finanziarie, così come le loro esposizioni ai rischi fisici legati al clima, e un programma per iniziare a effettuare stress test climatici sul bilancio dell’Eurosistema nel 2022. Man mano che il meeting delle Nazioni Unite di novembre a Glasgow si avvicina, è chiaro che gli investitori hanno un ruolo importante da svolgere nel contribuire a sviluppare risultati positivi per il clima. Fortunatamente esistono le competenze per far sì che ciò accada. Non c’è tempo da perdere.

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