Aggregazioni di filiera: lo studio Anfia – EY
Anfia, in collaborazione con EY, ha recentemente completato uno studio dedicato all’analisi della propensione dei fornitori automotive italiani a operazioni di integrazione e fusione. Come noto, il tessuto italiano delle aziende che operano nel settore automotive è molto frammentato. L’impatto della pandemia, inoltre, sta creando molta incertezza sui mercati e sui volumi, oltre ad aver contribuito non poco a innescare una crisi di approvvigionamento delle materie prime in alcune commodity. Anche il fatto che il principale produttore di autoveicoli – Stellantis – stia vivendo una fase di profonda trasformazione strategica ed operativa rappresenta un possibile fattore di ulteriore incertezza.
Innanzitutto, lo studio ha evidenziato che la pandemia ha impattato pesantemente il fatturato 2020 del campione: il 50% delle aziende ha avuto una riduzione del fatturato tra il 10 e il 20% e il 36% delle aziende ha avuto un impatto tra il 20 e 40%. Solo il 14% del campione non ha subito impatti o è cresciuto nel business. Ovviamente, la riduzione del fatturato stressa il sistema aziendale e rende più evidenti le inefficienze, alle quali si può rispondere con attività di miglioramento della performance e/o andando ad aggregarsi con altre realtà, sfruttando sinergie commerciali e di costo. Senza dubbio, le condizioni attuali sono uno stimolo ad attivarsi e a reagire per migliorare.
Un altro aspetto da considerare è l’avvento delle nuove tecnologie, che inevitabilmente influenzerà il modello di business di molte aziende. Nel sondaggio, infatti, più del 75% dei rispondenti ritiene che le nuove tendenze della mobilità avranno un impatto rilevante sul futuro della propria azienda, ma, al tempo stesso, il 67% delle imprese non reinveste più del 6% del fatturato in Ricerca e Sviluppo: è da questi risultati che emerge il timore per il profondo mutamento settoriale già in atto.
Un eventuale processo di aggregazione rientra nella strategia aziendale della maggior parte del campione, ma viene ribadito dal sondaggio come si debbano considerare preoccupazioni e limiti concreti. Tra questi, spiccano i tratti distintivi della natura patronale del management italiano. Elencando in ordine di importanza i vari impedimenti, infatti, risulta come primo fattore che l’imprenditore o il manager non è disposto a cedere le redini dell’azienda; al secondo posto emerge la volontà di garantire la continuità occupazionale dei propri dipendenti e in terza posizione si evidenzia la tendenza a voler mantenere un ruolo manageriale all’interno della nuova realtà. Se da un lato questa mentalità viene ammessa dalla maggior parte dei rispondenti, dall’altro, il 34% del campione sostiene che non ci siano politiche industriali a supporto e auspica un intervento governativo in tal senso.