Filiera: Fca in campo, governo al bivio
Non tanto tempo fa, avevamo rilevato la necessità che fosse Fca, attraverso i suoi vertici, in particolare il presidente John Elkann, a scendere pesantemente in campo allo scopo di far comprendere al governo l’importanza del settore automotive nel Paese. Pil, gettito fiscale, produzioni, lavoro e commesse alle aziende (piccole, medie e grandi) della componentistica: questi i punti di forza del comparto, tutti essenziali per il buon funzionamento del Paese. Purtroppo la pandemia da Covid-19 ha reso tutto più difficile e l’auto risulta essere uno dei settori più colpiti dalla crisi.
Le associazioni della filiera (Anfia, Unrae e Federauto) si sono spese tantissimo verso il governo, presentando la ricetta che permetterebbe al comparto di ripartire. E a nulla sono valse le conferenze stampa e i comunicati accorati. Il governo continua a fare orecchio da mercante. Intanto, per gli operatori dell’automotive la situazione è diventata drammatica.
È dovuta uscire allo scoperta Fca, con la richiesta di un finanziamento garantito dallo Stato, per scatenare il pandemonio (il riaccendersi delle polemiche sulla sue sedi, fiscale e legale, in Gran Bretagna e Olanda) ed evidenziare le difficoltà del settore. Nel recente Decreto Rilancio, c’è la totale assenza di misure a sostegno del mercato dell’auto. Si quantificano effettivi 0 euro sui 55 miliardi stanziati.
Il governo M5s-Pd-Iv guidato da Giuseppe Conte ha invece confermato, come linea di politica industriale, il sostegno all’acquisto di monopattini e biciclette. E questo in un momento in cui Francia e Germania stanno sostenendo con forza l’automotive riconoscendo il valore che rappresenta per le rispettive economie e l’occupazione.
Per fare chiarezza, Fca ha dovuto diffondere, sabato 16 maggio in tarda serata, una nota dove si precisa che il prestito di 6,3 miliardi garantito dallo Stato serve a “supportare la gestione operativa dei pagamenti alla filiera italiana dei fornitori, sostenendone i livelli di liquidità e garantendo al contempo la ripartenza delle produzioni e gli investimenti negli impianti italiani”.
Nella stessa nota, Fca sottolinea come “nel suo complesso il comparto dell’automotive è un settore chiave dell’industria italiana: e lo è sia per rilevanza sia per struttura. Da solo equivale a circa il 6,2% del Pil italiano e dà occupazione a circa il 7% dell’intero settore manifatturiero”.
“L’ecosistema automobilistico italiano, inoltre – fa bene a ricordare Fca – rappresenta uno dei punti di forza, riconosciuto a livello mondiale, del Paese, oltre a essere uno dei maggiori bacini di know-how specializzato a livello industriale e commerciale in Europa. Questo comparto determina i maggiori investimenti in ricerca e innovazione del Paese, base fondamentale per garantire la futura competitività economica in un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti tecnologici”.
A questo punto, la voce di Fca – polemiche e strumentalizzazioni a parte – potrebbe valere l’attenzione che il settore chiede da tempo. In gioco c’è il motore dell’economia. È l’Italia che ha tutto da perdere, Fca non ha problemi a spostare le sue produzioni altrove, anche e sicuramente a condizioni migliori. Come è già avvenuto.