Io e Sergio, 14 anni di incontri ravvicinati

Sono seduto attorno a un tavolo, con una decina di giornalisti anche di altri Paesi, pronto a rivolgere alcune domande a Hakan Samuelsson, numero uno di Volvo Car. Alzo la mano: “Please, …”. Subito il top manager mi interrompe e, ironicamente, mi chiede: “But where’s your brother Serghio?”. E tutti si mettono a ridere: colleghi, dirigenti e staff del ceo di Volvo Car. Samuelsson, e non è il primo ad affermarlo, spiega che somiglio molto all’ormai ex ad di Fca e che gli ho ricordato, in quella occasione, l’illustre amico e collega.

La battuta del top manager svedese mi ha fatto piacere. A Sergio Marchionne, che seguo fin dal momento del suo insediamento, nel 2004, alla guida prima di Fiat Group e poi di Fca, devo molto.  Il Dottore, come è chiamato al Lingotto, ha contribuito alla mia crescita professionale, accettando con cortesia e spesso scherzandoci sopra, le mie incursioni e i tentativi di strappargli una battuta o una frase a effetto. In alcune occasioni me lo ha consentito. Ogni suo intervento, comunque, ha sempre dato un titolo. E mai una volta che si sia lasciato prendere dal nervosismo (non avrebbe avuto torto vista l’insistenza).

Di Marchionne ho scritto, in 14 anni, un mare di articoli, mi piacerebbe contarli tutti: 1.500? Forse, ma anche di più. Un giorno, magari, raccoglierò i più importanti e significativi in un libro. Chissà. Il 22 marzo del 2008 ho avuto l’onore di intervistarlo personalmente e pubblicamente. Uno dei primi in assoluto. Ero presidente della Uiga (Unione italiano giornalisti automotive) e i colleghi avevano votato la nuova Fiat 500 come “Auto Europa”.

Non è stato facile convincere l’ufficio stampa torinese a organizzare il faccia-a-faccia davanti a un pubblico. Addirittura, in un primo tempo, sarebbe dovuto essere Massimo Gramellini, allora editorialista de “La Stampa”, a intervistarlo nella sala conferenze del Lingotto. E io avrei dovuto solo consegnare al top manager il premio. Forse temevano qualche domanda insidiosa. Il classico “fuori sacco”.  Fatto sta che Gramellini, per impegni, fece sapere che quel giorno non avrebbe potuto esserci. Allora, toccò a me, come del resto era più giusto, intervistare Marchionne. La sala era strapiena, io molto emozionato. L’ad di Fiat arriva puntuale. In prima fila, piuttosto nervosi, siedono Simone Migliarino, Alfio Manganaro e gli altri amici dell’ufficio stampa di Fiat. Va tutto liscio: e già allora Marchionne disse che per la sua successione, quando sarebbe venuto il momento, gli sarebbe piaciuto qualcuno all’interno del gruppo. Gli chiedo di tutto. E non necessariamente temi legati all’auto e alla Fiat. Parliamo anche di lui, del suo look, della sua giornata tipo, delle passioni e gli chiedo anche se pensa alla sua salute, se fa le visite di routine. Un’intervista a cuore aperto della quale conservo la videocassetta-cimelio.

È la vigilia delle elezioni Usa. Gli domando: “Lei per chi vota? Obama o McCain? “Obama, senza dubbio”, risponde deciso. “E in Italia? Qual è il suo orientamento politico? Con grande abilità gira la domanda a me: “Bonora, e lei per chi vota? “Dottore, – rispondo –  la sa o può immaginare per chi voto…”. Ci alziamo, ci stringiamo la mano e consegno a Marchionne la “Tartaruga Uiga”, il premio assegnato alla Fiat 500 fregiatasi del titolo “Auto Europa”. Poi, come da copione, Marchionne viene accerchiato dai colleghi che lo tempestano di domande. È stata una grande soddisfazione.

Pierluigi_Bonora_premia-_Sergio_Marchionne

A proposito di accerchiamenti. A ogni Salone dell’auto, nel momento in cui Marchionne metteva piede sullo stand, andava in scena la solita baraonda. Chi scrive e i colleghi, ma soprattutto i fotografi e gli operatori tv, cercava di indovinare dove il top manager si fosse fermato allo scopo di posizionarsi il più vicino possibile al top manager per ascoltare meglio. Non vi dico gli spintoni, le spallate, ie reazioni della scorta. Chi rischiava di cadere o di restare imprigionato in una morsa. Insomma, il caos. Un giorno, su “il Giornale” scrissi un indiscreto dove parlai di situazione impossibile e anche pericolosa, per noi ma anche per lui. A distanza di qualche mese Fiat cambiò strategia. A ogni Salone, Marchionne avrebbe parlato in una saletta riservata: giornalisti seduti e possibilità di fare domande per tutti. Avevo smosso le acque? Il suggerimento al Lingotto era arrivato dal servizio di sicurezza? Quell’usanza è proseguita fino allo scorso marzo, in occasione del Salone di Ginevra , e continuerà – almeno spero – con il nuovo amministratore delegato Mike Manley.

 

Il 2 dicembre dello scorso anno, dopo la presentazione, ad Arese, del team Alfa Romeo-Sauber per il campionato di Formula 1, gli ho chiesto una foto insieme, come due vecchi amici, ovviamente nel rispetto delle parti. “Ma certo, venga qui, con piacere. Del resto sono 14 anni che mi insegue e mi rompe i…”.  E vai con il clic, tra i sorrisi divertiti di chi assisteva alla scena. Mai avrei pensato che quell’immagine, che trovate allegata a questa ricostruzione, potesse diventare qualcosa di storico, uno dei ricordi più cari. Una coincidenza significativa che, in questo momento, mi riempie di commozione.

Da qualche tempo, al posto di “… buongiorno Bonora, come va?”, frase seguita sempre da una battuta (“La trovo ingrassato”, “Ma come è dimagrito”,  “E al Giornale che si dice?”, “Il suo editore come sta?”, “Si metta lì, in prima fila, così la tengo d’occhio”, e via di seguito), Marchionne mi chiamava per nome: “Pierluigi”. In pochissimi beneficiavamo di questo privilegio. A qualcuno, ma proprio due o tre colleghi, dava e si faceva dare del tu. Sarebbe stato lo step successivo.

La mia specialità – perdonate il vanto giustificato – è sempre stata quella di rompere il ghiaccio alle conferenze stampa (“… date il microfono a Pierluigi”) e di solleticarlo sui temi più scottanti e di attualità. L’ultima volta è successo l’1 giugno scorso, a Balocco, alla presentazione del piano industriale di Fca, quando gli ho chiesto news sul futuro degli stabilimento italiani, visto che il tema non era stato affrontato durante la sua e le altre relazioni. “Ne parleremo dopo l’estate”, la sua risposta secca e un po’ piccata. Toccherà al suo successore, Manley, a occuparsene.

Poco prima della conferenza stampa, all’ora di pranzo, ci siamo comunque trovati faccia a faccia e, davanti alle telecamere, l’ho preso in giro per il nodo allentato alla cravatta, storta, sotto la felpa. “Mi sembra un po’ sbrindellato, dottore…”. La risposta, documentata dalle tv: “Sono dieci anni che non metto cravatte e non mi ricordo più come si fa il nodo”.

Più passavano gli anni più era difficile avvicinarlo. Il fatto di essere diventato un manager di fama mondiale, anche con molti nemici, aveva determinato il rafforzamento della scorta. Soprattutto negli Usa, era un’impresa farsi largo tra gli addetti alla sicurezza. Anche se bastava un suo cenno per consentire al giornalista conosciuto di trovare un po’ di spazio. Più semplice la situazione in Italia, dove la scorta conosceva i soliti “rompiscatole” e si è sempre mostrata un po’ più morbida e comprensiva.

In gennaio, all’Auto Show di Detroit, ho provato a punzecchiarlo: “Dottore,  ma visto che nel 2019 lascia Fca per dedicarsi solo alla Ferrari, come impiegherà il tempo libero?”. La risposta non ammetteva repliche: “Ovviamente lavorando, io lavoro sempre, non mi fermo mai. Cosa crede?”.

Un’altra volta, sempre a una Salone, probabilmente quello di Ginevra, mentre passeggio per gli stand mi sento chiamare: “Bonora, venga qui da me un attimo”. Mi giro, e vedo che con fare furtivo mi fa cenno con la mano di seguirlo. Si acquatta dietro una transenna e mi indica, gongolando, lo stand della Maserati. “Guardi quel tedesco d Winterkorn (l’ex ad del Gruppo Volkswagen caduto successivamente in disgrazia a causa del Dieselgate) come si mangia con gli occhi la nostra macchina. Gli piacerebbe… “. Mentre sto per avviare un discorso, ecco arrivare un collega (maleducato) a rovinare tutto. Si intrufola tra noi due e mi fa perdere l’attimo. Non è la prima volta che qualche collega, nel vedermi parlare da solo con lui, con una scusa si inserisce nel discorso. Cosa che io non farei mai se vedessi il soggetto con Marchionne o anche con un’altra persona. Una volta, al bar dello stand di Fiat, si mette per esempio a raccontarmi di tutto e mi chiede se sono sposato, se ho figli, da quanto tempo lavoro al “Giornale”. Il discorso parte ed ecco la solita schiera di taccuini rovinare il tutto. Sarebbe uscito uno dei pochi pezzi su Marchionne e le sue passioni musicali, sportive e cinematografiche. Che rabbia!

Tante le situazioni simpatiche e le frecciatine che qualche volta mi ha lanciato. Ottobre 2016:  Marchionne dà disposizione all’ufficio stampa di convocare per il giorno dopo alcuni giornalisti, tra cui il sottoscritto, con l’invito a pranzare con lui nella sala riservata del Lingotto, in via Nizza, a Torino. L’incontro avviene al termine di un cda sui conti. La tavola è imbandita, i camerieri pronti a farci accomodare, a servire le portate e a versare il vino. All’improvviso mi ricordo che qualche giorno prima, con richiamo in copertina su “il Giornale”, era uscito un mio pezzo, con tanto di foto dei protagonisti, nel quale ipotizzavo – documentata – una certa freddezza nei rapporti tra lui e il presidente di Fca, John Elkann. Che sia questa la ragione dell’invito?

Dal corridoio eccolo spuntare, sorridente, con il solito pullover nero. Lo affianca il direttore della comunicazione, il mitico Simone Migliarino. Marchionne mi viene incontro, ci diamo la mano e dopo essersi complimentato (“bravo, vedo che è a dieta”) mi chiede: “Bonora ha mica un cappotto da prestarmi, sento freddo. E il freddo mi è venuto leggendo il suo pezzo sul presunto gelo tra me e John…”.  E aggiunge: “Si sieda a tavola vicino a me, così mi scalda in po’…”. Tutto il pranzo a farmi battute. E tutto il pranzo a raccontarci simpatie e antipatie nei confronti dei suoi colleghi top manager nel mondo dell’auto. “C’è uno che si dipinge i capelli di blu e io, quando lo vedo, lo prendo sempre in giro…”.  E poi quello che ha in mente di fare. Un fiume in piena. Il tutto gustando un’ottima insalata di mare. Interviene Migliarino, visibilmente preoccupato sotto la sguardo divertito del suo capo: “Ehi, mi raccomando, è tutto off… Niente di ufficiale, non si scrive niente”.

Avrei da raccontare tante altre situazioni e momenti indimenticabili, ma ci vorrebbe un libro. Peccato non essere stato a Roma, alla sua ultima apparizione pubblica, il 26 giugno, per la cerimonia di consegna all’Arma dei Carabinieri di una Jeep Wrangler. È stato il suo ultimo atto. Chi poteva immaginarlo? Poi, il giorno successivo, il ricovero a Zurigo, l’operazione, le complicazioni e le drammatiche notizie di questi giorni. Non lo vedrò più. Mi sembra di fare un brutto sogno. Sono profondamente addolorato. Vi confesso che spesso mi capita di guardare su YouTube i video che lo riprendono, molto affaticato, mentre interviene dal podio quel 26 giugno scorso, e risponde – sforzandosi – alle domande dei colleghi. Bianca Carretto, del “Corriere”, tra i pochi a dargli del tu, si accorge che Marchionne non sta bene. Gli parla. Gli sussurra qualcosa. Lui ribatte: “E tu come stai?”. Si parlano per l’ultima volta. Grazie Sergio. Mi permetto il tu e so che farai un sorriso: “Pierluigi, dimmi…”.

1 Comments

  1. cicciobello says:

    Sergio è stata una calamità per noi ed una manna per l’Olanda

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