Il retroscena della rivoluzione elettrica

di Nicodemo Angì

C’è molto da dire riguardo la rivoluzione elettrica che sembra profilarsi all’orizzonte. Alcuni temi erano stati già illustrati in un precedente articolo, ma diversi altri sono ancora da sviluppare, essendo quello delle batterie uno dei più importanti.

La rivoluzione elettrica passa infatti anche dalla circostanza che il costruttore fornisce un “serbatoio” dell’energia che non è più un semplice contenitore per liquidi, ma un gruppo complicato che da solo vale il 40% di tutto il veicolo. A oggi sembra che soltanto Tesla e BYD controllino a la propria catena di approvvigionamento delle batterie, costruendole in-house in uno sforzo che, almeno per ora, non sembra aver molto seguito tra gli altri costruttori.

Batterie in prima linea

Esistono, è vero, dei fornitori indipendenti (CATL, LG Chem, Samsung SDI e Panasonic), ma rifornirsi da loro implica un altro anello nella catena dei fornitori, cosa che innalza il costo delle batterie. Anche contrattare un’esclusiva ha il suo prezzo e, in ogni caso, la capacità producibile sembra non essere al livello di Tesla, che ha da tempo costruito un’intera Gigafactory a questo scopo.

Questo ritardo in un settore così strategico, può costare molto caro alle Case, che sembrano non aver afferrato fino in fondo l’importanza di questo asset: nel 2016, Dieter Zetsche, a capo del gruppo Daimler, affermava senza mezzi termini che produrre batterie in proprio è una scelta stupida. L’apprezzamento dei consumatori per le elettriche (basta pensare all’attrattiva della Tesla Model 3) potrebbe quindi cogliere in contropiede la Case “classiche”, potenzialmente a rischio di shortage delle batterie.

Equilibri a rischio

La rivoluzione elettrica assume anche risvolti geopolitici pensando al ruolo della superpotenza cinese in questo ambito produttivo. L’analisi di Simone Tagliapietra, analista energetico presso la Fondazione Enrico Mattei di Eni, pubblicata da CNN Business, spiega bene i termini della questione.

La Cina è infatti il luogo che ha, nello stesso tempo, le più interessanti prospettive di sviluppo dei veicoli elettrici, grandi riserve delle materie prime impiegate nelle batterie e una grandissima questione ambientale. Questa combinazione ha indotto Simone Tagliapietra a dichiarare che “l’Europa potrebbe assistere, in futuro, a una massiccia migrazione verso la Cina delle produzione delle sue Case automobilistiche. Questo è un rischio enorme per un’area che ospita aziende come Volkswagen, Bmw , Renault e tante altre“.

Abbasso i vincoli

In effetti, sono ormai molte le joint ventures siglate dai costruttori europei con le aziende cinesi perché costruire automobili elettriche in Cina ha molto senso. In quello Stato si trova infatti la maggior parte dei clienti e costruire in loco permette di evitare i pesanti, seppur recentemente attenuati, dazi d’importazione. Gli impianti di produzione in Cina sono infatti vicini alla filiera produttiva delle batterie, elementi che sappiamo rappresentare quasi la metà del valore di un’auto elettrica auto elettriche.

Circa due terzi della capacità produttiva mondiale nel settore delle batterie agli ioni di Litio è attualmente in Cina, mentre l’Europa ha circa l’1% del mercato, secondo la società di consulenza Wood Mackenzie. L’Europa ha la sua risposta più importante in Northvolt, una società fondata da dirigenti ex Tesla, che si propone di costruire in 6 anni il più grande stabilimento europeo nel settore delle batterie al litio.

Una soluzione più d’impatto potrebbe essere una sorta di “Airbus delle batterie”, sull’esempio del consorzio europeo che è l’unico competitor al livello di Boeing nel settore degli aerei di linea.

La rivoluzione elettrica compromette ulteriormente la situazione perché persino le aziende europee costruiscono in Cina: Volkswagen ha annunciato nel 2017 che avrebbe investito 12 miliardi di dollari per realizzare veicoli elettrici in Cina.

L’olandese Lithium Werks, dal canto suo, ha già due stabilimenti per la produzione di batterie in Cina e ha annunciato di voler investire 1,6 miliardi di euro per un terzo impianto insieme a un partner locale. Il Chairman, Kees Koolen ha spiegato che “in Europa ci sono molti problemi e procedure da seguire, ci vuole troppo tempo per aprire un impianto. Il governo cinese ha una visione a lungo termine, mentre l’Europa no”.

Sicuramente in Cina ci sono normative e procedure semplificate (forse un po’ troppo, considerando la sicurezza e la sostenibilità ambientale), ma è altrettanto vero che gli obiettivi del governo sono abbastanza chiari.

Si riparte (quasi) da zero

Le automobili elettriche sono infatti l’occasione per annullare, o quasi, il prestigio conseguito, nell’arco di un secolo, dai grandi motoristi europei e nordamericani e, a partire dal Dopoguerra, dai giapponesi e successivamente dai coreani. I motori elettrici sono sicuramente molto meno complicati di quelli a combustione e questo permette a nuovi attori di affacciarsi sulla scena e conquistare posizioni partendo quasi dal nulla, come successo alla “debuttante” Tesla negli Stati Uniti.

Si può pronosticare che il grande “sbarco” degli occidentali nel Paese-continente cinese faciliterà ulteriormente il travaso di tecnologie verso Est.

Il Boston Consulting Group, del resto, ha pubblicato qualche mese fa un rapporto nel quale si stima che le ibride e le elettriche avrebbero conquistato il 50% del mercato totale delle auto entro il 2030.

Un modello da cambiare?

Le statistiche dicono che la metà degli EV globali è in Cina, mentre le proiezioni confermano per questo Paese il ruolo di leader nelle vendite delle elettriche per i prossimi 5 – 7 anni. La rivoluzione elettrica, però, interessa anche il processo di vendita e il post vendita. Lo schema tradizionale prevede una rete di concessionarie che, oltre a vendere i veicoli, si occupano dell’assistenza e delle riparazioni che, quando sono fuori garanzia, sono piuttosto costose.

Nel caso dei modelli compatti e medi, sono anzi i servizi ad assicurare i margini più alti, una parte dei quali supportano la produzione stessa. Queste operazioni sono però molto meno frequenti e importanti per le automobili elettriche: la meccanica è infatti semplificata e,per questo, ma non solo, intrinsecamente più longeva. In effetti Tesla sta sperimentando powertrain capaci di durare per più di un milione di miglia!

Con questi presupposti, la Casa californiana appare quindi saggia nel vendere le sue auto online o tramite “negozi” di sua proprietà. La rivoluzione elettrica “toserà” gran parte dei ricavi del post vendita e, quindi, anche i fondi per sostenere il concessionario e la produzione; essi vengono quindi incorporati da Tesla nel prezzo di vendita.

Rapporti difficili

I costruttori “tradizionali” sono invece legati al modello delle concessionarie e non si capisce bene come faranno a vendere veicoli elettrici attraverso questo tipo di rete. In effetti i dealer e il loro personale hanno già percepito il pericolo e non sembrano particolarmente motivati a spingere gli EV 

persino nei paesi nordici, come dimostrato da una ricerca compiuta dalla danese Aarhus University.

Si potrebbe “inventare” una manutenzione fittizia per poter generare un certo profitto per i concessionari, ma in questo caso il confronto con Tesla sarebbe sfavorevole. Abbracciare lo schema a bassa manutenzione taglierebbe però i margini e imporrebbe ulteriori spese per creare un sistema di vendita alla Tesla.

Alla fine, i marchi tradizionali si troveranno a dover percorrere le stesse tappe ideate (e subite) da Tesla con, in più, il fardello di una distribuzione non adatta ai nuovi scenari. La cosa migliore per affrontare la rivoluzione elettrica è forse creare un brand e una rete specializzata per le auto elettriche, come hanno fatto Bmw con le “i” e Volvo con le future Polestar.

Le sedan del Terzo Millennio

Per finire, una nota: praticamente tutte le Case stanno spingendo verso i Suv e i Crossover perché, testuali parole dei loro executives, “i consumatori le vogliono e permettono margini più alti“. Quello che si nota, però, è il grande sforzo pubblicitario a favore di questi veicoli, un’azione che almeno in parte crea la grande domanda che i consumatori manifestano per questi segmenti.

Cosa potrebbe accadere, poi, se il prezzo del carburante aumentasse? I Suv non sono propriamente dei campioni di economia… Un’altra considerazione riguarda i margini: quando tutti i marchi avranno Suv in tutti segmenti, la competizione sarà accesa e quindi anche i margini potrebbero soffrire.

Il lato spiazzante della rivoluzione elettrica è un costruttore americano men che ventenne, Tesla, che offre un grande Suv elettrico e tiene alta la bandiera delle tradizionali berline 3 volumi, ormai quasi smobilitato dagli altri costruttori Usa.

1 Comments

  1. maximilien1791 says:

    In punto che non viene detto è che l’adozione dell’elettrico significa il licenziamento di milioni di operai che poi con quali soldi, una volta senza lavoro si compreranno l’auto elettrica ?

    Poi c’è il fatto tecnico, le auto 100% elettriceh sono una bufala, Tesla compresa perché l’anello debole sono le batterie.

    L’Europa potrebbe disintegrare Tesla ed i cinesi semplicemente elettrificando le autostrade e le superstrade con un sistema ad induzione. Le auto allora avrebbero batterie molto più piccole solo per il tragitto casa-autostrade.

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