Tesla costruisce automobili o batterie?

di Nicodemo Angì

Immagazzinare l’energia è sempre più cruciale e quindi pensare a Tesla costruttore di batterie non è fuori luogo. Sappiamo già che le batterie saranno centrali nella rivoluzione dell’auto elettrica ed è quindi interessante ricordare il punto di svolta segnato da Tesla 11 anni fa, quando ha presentato la sua prima Roadster. Questa sportiva, che derivava dalla Lotus Elise, cambiava per sempre l’immagine dell’automobile elettrica, dimostrando che essa poteva essere sportiva, prestazionale e a lunga autonomia.

Per ottenere l’eliminazione della famigerata range anxiety senza appesantire troppo la vettura il team di Elon Musk, oltre ad ottimizzare il rendimento del motore e dell’elettronica di controllo, ha usato per la prima volta delle batterie al litio per la trazione. Il risultato, grazie anche alla leggerezza della scocca in compositi rinforzati con fibre di carbonio, è stato rilevante: la percorrenza in miglia per gallone equivalenti è stata riconosciuta pari a 105 MPG in città (circa 44,8 km/litro di benzina) e 102 MPG in autostrada. L’efficienza “dalla batteria alle ruote”, che indica il rendimento combinato di batteria, motore, controller e trasmissione, era dichiarata essere pari al 88 – 90% in media mentre “scendeva” all’80% a piena potenza. L’unione di questa straordinaria efficienza con la leggerezza e l’ottima aerodinamica ha permesso di sfiorare 400 km di autonomia con un battery pack che, con i suoi 53 kWh, oggi appare di capacità media.

Celle da portatile per la sportiva

Il pensiero di Tesla costruttore di batterie nasce proprio pensando a questa Roadster, per la quale ha preparato un pacco batterie praticamente inedito, ottenuto assemblando quasi 7.000 elementi agli ioni di Litio con fattore di forma 18650, quello delle celle cilindriche comunemente usate nei pc portatili. Esse erano riunite in brick corazzati da 69 celle, studiati per evitare che eventuali catastrophic cell failures potessero propagarsi a tutto il pack.

La fedeltà al formato cilindrico e, soprattutto, la costruzione in-house delle batterie – attualmente in partnership con Panasonic – sono state confermate nella successiva produzione. La recente Model 3 ha la novità del formato 2170, leggermente più grande per un’altezza passata da 65 a 70 mm e un diametro salito a 21 mm. L’aumento delle dimensioni semplifica l’assemblaggio, perché la stessa capacità viene ottenuta con meno elementi, e aumenta la densità dell’energia per un dato volume (la proporzione volume degli elementi attivi/volume del contenitore è più favorevole). Il rapporto superficie/volume rimane a un valore che facilita il raffreddamento, ottenuto con un nastro cavo che trasporta glicole e “tocca” il fianco di ogni elemento.

Il ruolo di Tesla costruttore di batterie si alimenta anche dal fatto che la produzione di celle e pack completi della sua Gigafactory 1 dovrebbe essere arrivata a 35 GWh nel 2018. Questa capacità monstre alimenta anche le unità di storage, proposte nelle 2 declinazioni Powerpack (aziendale e condominiale) e Powerwall domestico, arrivato alla seconda generazione.

Tegole, pannelli e batterie

Il cerchio si chiude considerando che Tesla ha acquisito, con una spericolata operazione che soltanto da poco sta cominciando a produrre apprezzabilmente, SolarCity per produrre pannelli solari con i quali ricaricare auto e storage.

Anche in questo caso è stata fatta una Gigafactory, la numero 2 a Buffalo, NY (la 3 sta sorgendo in Cina), che assembla celle di produzione Panasonic. Incidentalmente, l’originalità di Elon Musk si è manifestata anche in questo settore con le Solar Tiles, “tegole” fotovoltaiche in vetro garantite a vita e che possono essere inserite in tetti esistenti (esistono 4 versioni con estetica differente) senza alterarne l’aspetto, prodotte in parallelo ai moduli fotovoltaici tradizionali.

Ultima pedina, ma non certo per importanza, nella scacchiera di Tesla, è la rete di ricarica proprietaria costituita dai Supercharger ad alta potenza. Ad oggi l’unico modo per aumentare l’autonomia delle elettriche pure, a parità di efficienza, è incrementare la capacità delle batterie. In questo modo, il costo aumenta, anche se i progressi tecnici hanno ormai portato il prezzo dei pack intorno a 100 $/kWh, ma in ogni caso per sveltire la ricarica di batterie così capaci occorrono colonnina molto potenti. I Supercharger hanno una potenza massima di ricarica di 120 kW, un valore che gestisce in tempi ragionevoli i grandi pack delle Tesla.

La guerra delle colonnine

Ricordiamo che il servizio è stato gratuito fino a poco tempo fa per le Model S e X e per la Model 3 top di gamma. In pratica le Tesla hanno mimato il concetto di prodotto – servizio introdotto da Apple con iTunes: ti vendo l’hardware per sentire musica e vedere video e ti vendo anche i contenuti. La “musica” per le Tesla è l’elettricità, che per molto tempo è stata regalata, e l’equivalente di iTunes è la rete dei Supercharger. Come abbiamo visto più sopra, l’offerta di Tesla comprende anche i sistemi fotovoltaici per produrre da soli il “carburante”.

Ritorniamo al punto di partenza: Tesla ha capito sin da subito la criticità delle batterie e le produce per le sue automobili, per i suoi storage e le ha anche integrate, seppur in casi particolari, nelle sue stazioni di ricarica. È di questi giorni, poi, la notizia che Electrify America, la rete di ricarica americana del gruppo Volkswagen (è tra le azioni imposte come riparazione per il Dieselgate) si accinge a integrare Powerpack Tesla in più di 100 delle sue stazioni di rifornimento. Lo scopo è, nelle parole del ceo Giovanni Palazzo, quello di “aumentare l’efficienza e assistere il sistema durante i picchi dell’erogazione. L’esperienza di Tesla nei sistemi di ricarica e negli storage a batteria ha reso ‘naturale’ questa scelta”.

È interessante il fatto che Electrify America adotti massicciamente i Powerpack, da 350 kWh, ben prima che la Casa di Elon Musk faccia lo stesso per i suoi Supercharger, dando così un altro indizio dell’importanza che Tesla annette al costruire batterie. La relativa inesperienza di Electrify l’ha probabilmente indotta a puntare subito su colonnine ad alta potenza (fino a 350 kW in corrente continua) salvo poi accorgersi del rischio di alzare troppo il costo dei “rifornimenti” durante le ore di punta e di squilibrare la rete, donde l’idea dei Powerpack. Questa necessità non è così pressante nei Supercharger Tesla attuali ma si pensa che la nuova versione V3, più potente, li potrebbe adottare.

Musk ha detto infatti che il passare alla Versione 3 dei Supercharger “significantly lower Tesla’s operational and capital expenditures”. Lo storage non è gratis ma abbatte le richieste alla rete nelle ore di punta e diminuisce il numero dei raddrizzatori, dato che esso eroga già corrente continua “pronta” per la ricarica. È inoltre chiaro che la spesa per dotare colonnine di ricarica Tesla con storage marchiati Tesla è più contenuta rispetto a quella che affronta un soggetto terzo quando acquista i Powerpack. Si può inoltre immaginare la “soddisfazione” nel vendere i Powerpack alla rete di un altro Gruppo che ha annunciato investimenti per 50 miliardi di dollari nelle auto elettriche.

Condensatori e batterie

In pratica, delle decine di milioni di celle che escono dalla Gigafactory, una quota verrà acquistata – e pagata – da un acerrimo competitor di Tesla. Un’altra notizia che corrobora il ruolo di Tesla costruttore di batterie è il recente acquisto (in quel di Palo Alto le acquisizioni sono non molto frequenti) di Maxwell Technologies per 218 milioni di dollari secondo un accordo che dovrebbe diventare effettivo entro giugno. Il condizionale è d’obbligo perché una recentissima notizia parla di una class action degli azionisti di Maxwell volta a bloccare l’acquisizione, un evento piuttosto comune in operazioni del genere.

Maxwell sviluppa super condensatori e sta lavorando a elettrodi allo stato solido capaci di immagazzinare moltissime cariche elettriche a lungo termine, proprio come le batterie. Sappiamo che i super condensatori attuali hanno alte densità di potenza (espressa in W/kg), ma non riescono a competere con le batterie in termini di densità di energia Wh/kg. L’elettrodo sviluppato da Maxwell è dichiarato di aver già raggiunto 300 Wh/kg, un valore più che competitivo con quello delle batterie attuali, con la promessa di arrivare a 500 Wh/kg. Questa tecnologia potrebbe essere un elemento importante per la creazione delle batterie allo stato solido, potenzialmente più longeve, sicure e leggere (anche perché meno bisognose di “corazzature”) di quelle agli ioni oggi universalmente diffuse.

Peccati di gioventù

Ecco che l’idea di Tesla costruttore di batterie si rafforza ulteriormente: un grandissimo punto di forza delle sue auto sono proprio i battery pack, che attualmente nessun altro costruttore automobilistico a parte BYC produce internamente.

Nel campo della tecnica automobilista “tradizionale” Tesla è stata brava a creare dal foglio bianco belle automobili che vanno anche bene anche se sono tutt’altro che perfette. La società specializzata Munro & Associates ha smontato la Model 3, trovando per esempio ingenuità progettuali e imprecisioni nell’assemblaggio, con gap eccessivi lungo i bordi dei cofani e delle portiere. Punti di forza comunque ce n’è più di uno: l’elettronica di bordo (siamo nella Silicon Valley) è military grade, i motori sono compatti ma molto performanti e il cablaggio è straordinariamente contenuto.

Profitto in vista?

Tesla ha anche trovato la via di un profitto finalmente positivo e probabilmente sostenibile, che sarà ancora più marcato con l’avvio della produzione in Cina, dove i costi sono più bassi. Gli errori del passato (come il Production Hell) non dovrebbero essere più ripetuti grazie all’esperienza fatta finora. Appare probabile che la concorrenza troverà il bandolo della matassa, anche se oggi colossi con 100 e più anni di esperienza stanno trovando difficile l’auto elettrica (vedi il nostro articolo del 10 gennaio) perché molto nuova rispetto al consueto. A quel punto non è sicuro che Tesla riesca a mantenere il vantaggio tecnologicoe di visione – che le permette di produrre già oggi veicoli a batteria profittevoli. Tra i suoi assi nella manica, che rimarranno ancora validi per diverso tempo, citiamo l’enorme mole di dati raccolti anche riguardo la guida autonoma: le Tesla sono connesse da sempre per aggiornarsi Over-The-Air e per inviare informazioni di ogni tipo. A suo favore anche l’esperienza (che si trasforma in avanguardia grazie all’acquisizione di Maxwell Technologies) nelle celle e nei battery pack, dimostratisi ben industrializzati e affidabili. Se li ha scelti VW per la sua rete di ricarica…

Alla fine l’immagazzinamento dell’energia servirà sempre e a tutti: per questo concludiamo che: Si, Tesla è un costruttore di batterie più che una Casa automobilistica!

Fonte: www.autoconnesse.it

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